Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

venerdì 30 settembre 2011

Ihr ball

Sono stato un virtuoso della gingomma. Cose grandiose. Masticavo, masticavo e producevo con la bocca palloncini che mi esplodevano in faccia. Il pezzo forte era la ripresa del fiato, inspiravo e mi riprendevo l'aria insufflata, il palloncino s'accartocciava sulle labbra lasciandomi un'incrostazione a mò di baffi e pizzetto che ci voleva l'alcool per eliminarla.
Fu un'estate infelice. Compravo gingomme e non vincevo. Nel foglietto interno della confezione c'erano disegnate le facce di due dadi, se facevi dodici vincevi dieci chewingum. Agosto e settembre passati di putia in putia, Marina, Chiangiusu o ponti, Galletta. Ormai era ottobre, mi stavo giocando gli ultimi, alle quattro della sera entrai nella bottega di Sara, nel vicolo dei palloncini colorati, per tentare ancora una volta. Sul banco, accanto alle confezioni delle gomme da masticare c'era una scatola che attirò la mia attenzione. Era una scatola con buchi in fila e a colonna, da ogni buco emergeva un cilindretto di carta arrotolata. Sara mi spiegò che era una riffa, svolgevi il rotolo e appariva un numero a cui corrispondeva o un premio oppure ritenta sarai più fortunato. Il costo per un cilindro equivaleva al costo di un chewingum, la tentazione era grande. Srotolai e venne il dodici, dodici ma vaffanculo pensai ma prima di altre plateali rimostranze Sara disse: -Dodici, hai vinto un pallone da calcio-. Ah le passioni infantili, sono amanti infedeli e capricciose (dove l'ho letta questa?), esultai: nto culu 'e gingommi!
Pallone da calcio non proprio, di gomma e anche di poco peso, rimbalzava troppo e seguiva traiettorie antigravitazionali e a muzzu, però era bello, al posto degli esagoni neri c'erano le facce dei giocatori dell' AS Roma, campionato di calcio 1968-69. Uno dei giocatori me lo ricordo ancora, assomigliava a don Pepè, il salumaio di sbarre inferiori angolo vico Furnari a Reggio, era il capitano della squadra e si chiamava Losi.
Portai quel pallone in giro per il paese, in piazza due coetanei si unirono alla mia felicità, giocammo nella filanda fino a quando qualcuno disse: -Scindimu nta marina.-
Davanti alla caserma c'era uno spiazzo di spiaggia a ghiaia e sabbia, era un piacere giocarci soprattutto per i portieri che potevano tuffarsi senza farsi male.
Giocavamo, il pallone mi venne a portata di tiro a volo, calciai con violenza. Il pallone s'impennò a campanile, s'infilò dentro una corrente ascensionale, zizzagò come un aquilone che tenta di raggiungere il cielo e poi ricadde al suolo, rimbalzò sull'ultimo metro di ghiaia e dopo aver scavalcato la cresta dell'onda si immerse nel mare a due metri dalla riva.
Galleggiava e lentamente prendeva il largo, vedevo il salumiere guardarmi beffardo; ora dovevo togliermi le scarpe e i calzettoni, esitavo e intanto quello andava, ora dovevo togliermi i pantaloni all'inglese e la maglietta, non mi decidevo e ormai il pallone era a venti metri e non mi era permesso raggiungerlo a nuoto, in mutande.
Che faccio, piango? Oppure me ne sto triste e inconsolabile a ricordare nonostante tutto "godi fanciullo mio stato soave stagion lieta è cotesta", stagione della minchia, o Giacomino, prima i gingommi ora u palluni? Decisi di non piangere.
Chi se n'era accorto nella foga dei calci a un pallone? chi poteva pensare che ci fosse qualcuno a prendere il sole? in una giornata nuvolosa e niente calda d'ottobre?
La donna s'alzò a sedere sul telo, guardò verso di me poi guardò il mare, in pochi secondi in un tutt'uno con la mia speranza, raggiunse l'acqua, si tuffò e con poche vigorose bracciate recuperò il pallone naufrago. La vidi uscire dal mare, giovane, bella, chiara di capelli e la pelle come miele brunito. Camminava agile sulla sabbia bagnata e sulla ghiaia, fu davanti a me con il pallone nelle mani.
Du sahest lang mich an,
Wie man ein Kind mit Blicken misst,
Und sagtest freundlich dann:

-Ihr ball, weil du so traurig bist?-*
Non disse queste parole ma avrebbe potuto dirle: lo sapete, i tedeschi sono tutti poeti.


*Tu mi guardasti a lungo
come si saggia un bambino con lo sguardo
poi mi dicesti con tenerezza:
-............................................? -
da H.Hesse, modificato

martedì 27 settembre 2011

Immobili

"Inserzione per una casa in cui non voglio abitare" (B.Hrabal)

Fortilizi indipendenti prospicienti, il fronte non vede il retro, il retro non vede il fronte, si perdono una vista mare e una vista colle, cortile a tramezzo attrezzato per arrampicate, pallamuro, volendo pure bocciodromo.
Scale che vengonovanno da soprassotto, disegnate postume da Escher. Terrazzamenti vetrati palladiani e panteonici al momento non finiti.
Palazzo pluripiano rosso indemoniato a insabbio parziale, indemaniato, vista mare pare riduttivo siccome a una palafitta.
Trittici non omogenei, moderno tu classico egli eclettico, cubature a disposizione di gaudì in minuscolo.
Casamenti a un piano regolatore, colonne armate in attesa di altri piani.
Borgotti di riviera tracimanti sulle sponde: il giusto inverso non avviene, Arno placido Don.
Palmenti palmeti, con villa. Schiere schierate per ogni verso il prossimo condono.
Edifici triangoloretti e pitagorici costruiti sull'ipotenusa, il doppio al mq.
Immobili, li chiamano.

lunedì 26 settembre 2011

L'immobilismo

Entrando nel blog quello che immediatamente salta all’occhio è l’immobilismo che perdura ormai da parecchio, anzi, è più giusto dire, da troppo tempo.
Da diversi giorni infatti il post del Longo “Lezioni di ballo”, campeggia sulla prima pagina del blog e ripensando al ballo mi vengono in mente i ballerini di un carillon immobili nella stessa posa, nell’attesa che la mano di qualcuno gli dia la carica per risolverli dalla loro immobilità e dia loro il movimento.
Possibile che nessuno di noi sappia dare la carica? Possibile che dobbiamo aspettare il Longo per far muovere il blog? E’ vero che lui è unico, che i suoi scritti sono insuperabili, ma noi non possiamo rimanere inerti nell’attesa del suo ritorno.
Certo che quando lui tornerà dalla pesca ci auguriamo “miracolosa” ai mutuli, avrà sicuramente tante storie divertenti da raccontarci, ma nel frattempo noi cosa facciamo? Dove sono finiti tutti quelli che da sempre hanno animato il blog? Non posso credere che siano tutti spariti o siano sittati a chiacchierare nte scaluni ra cresia.
Se così fosse speriamo allora che torni presto e nell’attesa, quello che posso augurare, è lunga vita al Longo!

mercoledì 14 settembre 2011

Lezioni di ballo

Qualche anno fa, tra i verdi limoni della Sena, apriva un locale, Luna Rossa.
Ogni sera prima ballo liscio poi latino americano, pista immensa tra i limoni ed il mare, tutto il paese e dintorni si riversava nel locale e si ballava e come si ballava, chi mancu nella riviera romagnola..
I ballerini, compaesani e limitrofi, erano impostati, agganci precisi, passi sicuri, giramenti di collo a scatto, guardavano a destra e danzavano a sinistra, passavano da un ballo all’altro avec nonchalance, alla fine baciamano e accompagnamento al tavolo della signora.
Era chiaro che avevano frequentato lezioni di ballo.
Porca puttana ma dove e come avevano imparato ? Non sapevo di scuole di ballo in provincia, a meno che negli ultimi anni avessero aperto scuole nei castaniti di Melia o nei pergolati d’uva fragola di Sciumara i Muru.
Erano bravissimi , tirati a lucido, asciutti, anche belli, al tavolo da soli io e mia moglie affogavamo l’invidia con cola e rum, che ce ne voleva due litri solo per un giramento di testa.
Mia moglie mi guardava come se le tarpassi le ali, come se lei fosse una ballerina del Bolscioi ed io un tiratore di sciabica, dimenticando che anche lei come me, ignorava ogni forma di ballo in tutte le sue infinite varianti.
:- Tornati a Milano prenderemo anche noi lezioni di ballo – dissi per consolarla, mentivo sapendo di mentire.
Rientrati a Milano, qualche mese dopo, nella cassetta della posta una reclame che recitava:
"Corsi di ballo liscio e latino americano presso la palestra xx in via Console Marcello, orari serali e prezzi modici , maestra di ballo Pamela"
Che occasione !! a due passi da casa, dopo cena, sui prezzi modici occorre però aggiungere qualcosa, sta minchia.
Ci preparammo per l’occasione, io in giacca cremisi su camicia nera e pantaloni d’identico color, scarpe color cacarella, capelli corti tirati indietro con il gel fregato a mio figlio, baffi ridotti al minimo sindacale.
Non mi avreste riconosciuto.
Mia moglie esagerò, vestito nero lungo con scollatura davanti e di dietro (praticamente a nura), capelli corvini (tintura) raccolti, scarpe con tacco alto rinforzato.
Ci vergognavamo un po’, pertanto nonostante la scuola di ballo fosse a due passi, andammo in macchina, anche per evitare il blocco del traffico sia automobilistico che tranviario.
Ci accolse Pamela la maestra, una bella donna matura, parlava con leggero accento andaluso e si esprimeva con le ciglia, lunghissime, le apriva e le chiudeva accompagnando le parole, le spalancava per indicare sorpresa, disprezzo, le batteva velocemente per indicare dolcezza, approvazione.
Comunque i soldi per le lezioni li ha voluti tutti e subito.
Incominciammo dai primi passi, come i bambini, la maestra era brava, faceva ripetere gli esercizi, toglieva e rimetteva la musica, spiegava, rifaceva i passi, ma soprattutto muoveva le ciglia.
Passarono le prime lezioni, valzer, mazurke, beguine, ma io volevo il sangue, volevo il tango.
Con Pamela avevo un po’ di feeling, non mi rimproverava mai anche quando sbagliavo completamente i passi , la cosa non era sfuggita a mia moglie, io capivo che la maestra mi perdonava per gli anni e per il mio andamento da bradipo, mia moglie continuava a dire che la sapevo lunga.
Il posto era molto bello, pieno di piante e di specchi, pavimenti lucidi, ma la palestra che l’ospitava era famosa per il tetto che spandeva e quindi con il pavimento bagnato, quando pioveva, venivano fuori dei casquets non proprio volontari.
Infine l’incidente sull’inizio di un passo di ballo, io insistevo con il destro, mia moglie insisteva sul sinistro, interpellammo la maestra.
:- Ma certo Domenico hai ragione – disse sbattendo cento volte le ciglia, a mia moglie la gelò a ciglia spalancate.
:- E’ finimmu i ballari – pensai, e cosi fu
Mia moglie si rifiutava categoricamente di ballare , non tanto per la mia competenza quanto per le ciglia della maestra.
La maestra accortasi che non ballavamo, ci cambiò di coppia.
A me toccò una casalinga prolifica, quattro figli in quattro anni, (aundi cazzu u truvava u tempu mi balla), aveva talmente latte che quando si fermava di botto se ne sentiva lo sciabordio.
A mia moglie toccò un postino leggermente claudicante sulla sinistra che per nasconderlo si poggiava sulla destra, con il risultato che ballavano sbilenchi e con grande impaticamento di pedi.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso, mia moglie non venne più alle lezioni, io mi ritirai con l’amaro in bocca.
Non avevo ancora assaggiato le delizie del tango

mercoledì 7 settembre 2011

2° Trofeo “Arancino d’oro”

La sera di Ferragosto si è svolto in piazza S. Croce a Favazzina il 2° Trofeo Arancino d’oro, organizzato e sponsorizzato dalla rosticceria “Nonsolopizza” di Luca e Peppe De Franco.
Il comune con una solerzia mai vista, ha montato il palco a tempo di record e grazie alle sedie della chiesa che Rosina ci ha gentilmente messo a disposizione, abbiamo potuto allestire un parterre di primordine.
La serata, con la piazza gremita in ogni angolo di posto, ha avuto inizio con un toccante ricordo che Peppe ha voluto fare al nostro amico e compaesano Salvatore, prematuramente scomparso.
Subito dopo tra la sorpresa generale si sono diffuse nell’aria le note dell’inno di Mameli, mentre due bambine salite sul palco reggevano in mano la bandiera italiana.
Dopo il prologo, la palla è passata a Letterio Musumeci, il presentatore della serata, showman di Bagnara molto conosciuto nella zona e ottimo interprete delle canzoni di Domenico Modugno.
Fatte le dovute presentazione la gara canora ha avuto inizio e i cantanti molto agguerriti si sono dati battaglia all’ultima nota. La giuria presieduta magistralmente dal Longu ha svolto il suo compito in maniera esemplare e, è doveroso ricordare, in modo imparziale e ha emesso un verdetto che ha trovato tutti d’accordo, proclamando vincitrice Eleonora L. alla quale è andato in premio l’arancino di circa tre chilogrammi preparato dalle cuoche della rosticceria Nonsolopizza.
Per dare un tocco culturale alla serata, tra una canzone e l’altra, sono state lette delle poesie che il pubblico ha fatto vedere di apprezzare molto, sottolineando ogni lettura con numerosi applausi.
Ma il momento clou della serata, quello da tutti febbrilmente atteso, è stato l’entrata in scena di Peppe Maciste il quale, secondo un copione ormai consolidato, si è presentato verso la fine dello spettacolo.
Un momento prima del suo arrivo, sul palco è comparsa una foto di Mino Reitano, al quale da anni ormai il nostro amico rende omaggio, poi in un abbaglio di luci, in un completo grigio, nonostante il caldo che si squagliava, sulle note di uno dei suoi cavalli di battaglia “Una ragione di più” Peppe ha iniziato a cantare.
La folla in delirio ha sottolineato la sua performance con fragorosi applausi anche se in verità, e qui parla il cronista e non l’amico, dobbiamo dire che l’esibizione di Peppe non è stata delle migliori (alla fine del concerto si è giustificato dicendo che le basi delle canzoni non erano quelle che lui usa normalmente). Comunque il successo è stato strepitoso e il pubblico come sempre ha mostrato di gradire la sua interpretazione e gli ha regalato oltre che un’accoglienza calorosa, una ‘standing ovation, culminata quando Peppe si è tolto la giacca e la lanciata ai suoi fan in visibilio.
Tra ringraziamenti, premiazioni e saluti la serata ha avuto termine e Peppe ci ha dato appuntamento alla prossima estate, al 3° Trofeo Arancino d’oro, ricco di sorprese, si è affrettato ad aggiungere, come del resto conoscendolo è nel suo stile.

martedì 6 settembre 2011

Il malocchio

Non c’era verso, non c’era esca che tenesse, avevo cambiato tutti i posti, moli nuovi e vecchi, Sutta a Frunti, sui massi di pietra della scarpata ferroviaria tra Favazzina e Bagnara, non c’era un cazzo da fare, non prendevo più un pesce.
Per giunta la mia gloriosa canna presentava segni di cedimento al terzo elemento, rumori sinistri, e ciliegina sulla torta un’infezione ad un piede che mi costringeva a zoppicare.
Ho provato con la barca a traino, niente, ho provato al fondo a surici, sono riuscito ad arroccare pure nella sabbia, addirittura pure il motore s’era rotto costringendomi ad un poco glorioso rientro a remi.
Non è che io ci tenga molto a prendere i pesci, molto spesso li libero, ma non sentire nemmeno un tocco mi faceva sentire solo, come rifiutato, come se la natura non facesse il suo corso.
Allora misi le canne in un angolo, niente più sveglie mattutine e pomeriggi assolati, solo lettura, sudoku, e orzate, quelle con lo sciroppo, fanno veramente schifo.
Il piede era guarito ed io m’annoiavo a morte, mi mancavano i massi, la maretta, il silenzio del mare, i gabbiani e pure i rompipalle che ogni tanto mi venivano a trovare.
Mia madre mai abituata a vedermi girare per casa mi chiese.
:- Cosa c’è Micuzzu ? – nell’intimità mia madre mi chiama così
Allora raccontai dei pesci che non mangiavano più, della canna quasi rotta, del motore che non partiva, del mare deserto.
:- E’ malocchiu, veni chi tu cacciu – disse sicura
Voi lo sapete come la penso su queste cose, ma per farle piacere e per la curiosità d’assistere direttamente al rito o meglio alla stregoneria, accettai.
Versò in un piatto dell’acqua, fece con la mano una serie di croci sullo stesso, recitando nel contempo, in un latino molto improbabile, una specie di litania.
Dopo avermi fatto segnare ,toccandomi la testa, intinse un dito in un bicchiere d’olio facendone cadere una goccia nell’acqua del piatto.
Dalla macchia d’olio subito se ne formarono altre.
:- C’è u malocchiu – mi spiegò – ma ora u cacciamu-
Rifece l’operazione fino a quando dalla macchia iniziale non si formarono altre macchie, alla fine il malocchio non c’era più, andato via.
Io ridendo la prendevo in giro :- Adesso sono guarito, saranno cazzi amari per i pesci -
All’indomani aggiustai la canna con l’Attak e me ne andai a pescare.
Mangiavunu paru paru, mezzu pagghiulu, e pure la canna sembrava nuova, non si lamentava più.
Ora non è che basta questa storia per farmi cambiare idea, ma una curiosità mi rimane, atroce:
:- Cu cazzu è chi mi fici u malocchiu ? –

sabato 3 settembre 2011

I nuovi mostri


Le tuffatrici


Primo pomeriggio di fine luglio, abbastanza fresco data la stagione, ero sul nuovo molo, quello nano, quello in pietra di sciumara , pescoso, pulito e non molto frequentato.
Accanto a me, mentre ero intento a non farmi fregare dai cefali, comparvero quattro fanciulle bellissime, sorridenti, quattro modelle di Botero.
Si volevano tuffare ma non osavano, data la mole, poi finalmente trovata la rampa adatta, la prima si lanciò con uno strillo acuto, seguita dalla seconda urlante e la terza roboante.
La quarta aveva paura, le altre dal mare l’incoraggiavano strillando e lei si scherniva sempre strillando, poi prese coraggio e si tuffò alzando uno spruzzo chi mancu na bumba i Caratella.
Incominciò così una serie interminabile di tuffi, sempre a bumba, sempre strillando, fottendosene completamente di me, della canna e dei cefali che nel frattempo avevano pensato bene di andare a mangiare in posti più tranquilli.
Mi stavo incazzando, poi di fronte a tanta gaiezza, giovinezza, pensai :- Chi sono io per disturbare questa felicità ? – posai la canna mettendomi a fumare.
Non riuscivo però a capire il motivo degli strilli, di quel baccano.
La risposta mi arrivò dalla base del molo.
Erano due ragazzi, adolescenti anche loro, spalle strette e gambe storte, sicuramente collinari, che attratti dagli strilli come gli squali dal sangue, erano pronti all’approccio.
Mi sembrava di vedere una scena di fine anni 60, pasoliniana, stessi personaggi, stesse atmosfere, ero affascinato, come vedessi un film del maestro.
La presero larga, nel senso che s’immersero alla base del molo poi, nuotando come solo i collinari sanno fare, s’avvicinarono alle tuffatrici venendo dal largo.
Più si avvicinavano più gli strilli aumentavano, quando furono veramente vicini gli strilli cessarono.
L’approcciò fu tra i più romantici che io ricordi :- Malanova un dai comu ti tuffi bonu –
E una delle ragazze, finalmente, invece di strillare, sorrise

La moto d’acqua


Stesso molo, stesso periodo, tardo pomeriggio.
Ad una ventina di metri di fronte a me una moto d’acqua, ferma come ancorata, bianca come la schiuma del mare, lucente al tramonto.
La cavalcava un essere peloso, ma veramente peloso, sembrava una ragno, un Vedovo Nero (era maschio) di bianco aveva solo la pelata .
Guardava fisso verso la spiaggia, puntava qualcuno.
La moto accesa in folle tossiva, come affogasse, lui puntava immobile.
All’improvviso partiva a razzo, faceva quattro piroette, poi ritornava allo stesso posto e puntava.
Quando ormai sulla spiaggia non c’era più nessuno anche lui se ne andava, verso Bagnara.
Il giorno dopo stessa scena, puntamento, piroette, fino all’imbrunire.
Lo stesso il giorno dopo.
A questo punto la pesca non m’interessava più, dovevo scoprire chi era il soggetto di tanto interesse, di tanto accanimento.
Venne allo scoperto.
Era enorme, quadrata, muscolosa, costume, manco a dirlo, nero con scollatura a spalanco e due vezzosi orecchini d’oro.
Era bella nella sua bruttezza, era fisica, cadente e tonica, non l’avrei toccata nemmeno con la mia canna e sono sette metri, non per ribrezzo ma per paura, mi dava la sensazione di una che finito il coito te lo stacca e se lo porta a casa.
Parlavano fitto fitto in dialetto separati dagli scogli, quando dalla riva arrivarono buci.
Era il marito, un mingherlino incazzoso, che armato di palo d’ombrellone richiamava la moglie che, lesta, rientrò verso la riva.
Il puntatore sfogò il suo dolore sulla moto d’acqua, accelerate, impennate, piroette, ed alla fine, peli al vento, si diresse verso il sole al tramonto.




giovedì 1 settembre 2011

NONSOLOPIZZA UN ANNO DOPO

E bene si, anche se non sembra ancora vero, è passato un anno dall’apertura della rosticceria “Nonsolopizza”, rosticceria che, per i pochi che ancora non lo sanno, Peppe e Luca De Franco hanno voluto fortemente a Favazzina.
Un anno, è giusto ricordarlo, ricco di soddisfazioni e che ha visto la rosticceria incrementare il numero dei suoi già numerosi estimatori.
Quest’estate oltre alle svariate prelibatezze che la rosticceria già proponeva (pizza, pasta al forno, lasagne, cannelloni, parmigiana, panzerotti, arancini, tramezzini, piadine, tortine, patatine, ecc.) i De Franco, grazie anche all’inventiva della cuoca Patrizia, hanno voluto incrementare la pur ricca scelta facendoci gustare anche la pizza ai fiori di zucca (deliziosa), l’arancino al pescespada (una vera sorpresa) e un ottimo, novità assoluta, pollo allo spiedo.
Ma se siamo qui, dopo un anno di distanza, a parlare ancora della rosticcerie “Nonsolopizza” è soprattutto per dare il suo giusto merito all’arancino che ha avuto (anche se un po’ c’è l’aspettavamo) un successo davvero strepitoso.
Sotto la sapiente regia della signora Patrizia una cuoca, non ci stancheremo mai di dire, bravissima e con l’aiuto di Lina, la moglie di Peppe, anche lei molto brava e di Lorena, la figlia, che sta facendo passi da gigante apprendendo rapidamente, a detta di Patrizia, i segreti della cucina, l’arancino, preparato con le loro sapienti mani, è diventato il simbolo della rosticceria, facendosi conoscere oramai in tutta la zona, varcando addirittura i confini dello Stretto e arrivando in Sicilia considerata, come tutti sanno, la patria degli arancini.
La soddisfazione maggiore, mi raccontavano Patrizia e Lina, è stato quando un siciliano, che si trovava a Favazzina di passaggio, assaggiando gli arancini, dopo averle fatto i complimenti, ha detto che sarebbe tornato ancora, e grande è stata la loro sorpresa quando, qualche giorno dopo, l’hanno visto entrare in rosticceria a comprare ancora degli arancini.
Se è giusto dare il merito a Peppe e Luca De Franco per aver avuto l’idea di aprire la rosticceria, non possiamo altresì riconoscere i meriti delle cuoche, Patrizia in testa, senza le quali, bisogna ammetterlo, la rosticceria non avrebbe avuto il successo che finora si è ampiamente meritato, poiché se i prodotti non sono buoni è difficile che la gente ritorni e come si dice dalle nostre parti “na sula vota si futti a vecchia”.
Con l’augurio che la rosticceria “Nonsolopizza” ci sappia regalare sempre nuove sorprese, come ha fatto quest’estate col gazebo in piazza e non finisca mai di stupirci con la bontà dei suoi squisiti manicaretti, noi saremo ancora qui a decantarne le lodi poiché, lo diciamo senza voler fare della retorica, il successo, grazie all’abilità dei De Franco, padre e figlio e alla bravura delle cuoche Patrizia, Lina e Lorena, la rosticceria se l’è saputo conquistare.