Benvenuti a Favazzinablog
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Salutamu!
UGRECU
giovedì 29 novembre 2007
U scriviu: magù u iornu: giovedì, novembre 29, 2007 1 commenti
Argomento: Varie
mercoledì 28 novembre 2007
U scriviu: Scibbalocchiu u iornu: mercoledì, novembre 28, 2007 4 commenti
Argomento: Indovinelli favazzinoti
giovedì 22 novembre 2007
I "Cippi"
Come la maggior parte di voi sapranno era tradizione fino a pochi anni fà la vigilia di Natale accendere il falò sulla piazza della chiesa, e tutti i noi in quegli anni, giovani meno giovani ci siamo adoperati alla raccolta "ri cippi".
In questo episodio divertente, tratto sempre dal mio libro, voglio far conoscere ai più giovani come passavamo a quel tempo le serate. Quando dopo cena io e i miei amici andavamo a prendere i "i cippi" nei numerosi, allora, giardini di limoni.
.....Il Natale era alle porte e il paese parato a festa si preparava a celebrarlo. I bambini non riuscivano più a contenere la loro gioia, i regali, il vagheggiamento desiderato, non erano più un sogno. Anche tra noi ragazzi vi era molta animazione e ci adoperavamo affinché le vacanze fossero all'insegna del divertimento. Solo nelle persone anziane vi era indifferenza, d'altronde loro ne avevano viste troppe di miserie per avere ancora entusiasmo per il Natale. In quei giorni, come era consuetudine, andavamo negli orti a prendere i ceppi per il falò della Vigilia. Era una vecchia tradizione quella del falò, che si ripeteva ogni anno in paese e noi ragazzi eravamo orgogliosi di tenerla viva. Si cominciava dai primi di dicembre a raccogliere i ceppi, tutte le sere, nei numerosi orti che vi erano fuori del paese. I contadini durante tutto l'anno, tagliavano parecchi alberi di limone, che colpiti dai parassiti si ammalavano e inevitabilmente seccavano. I rami erano usati come legna da ardere, nelle vecchie cucine in muratura, ancora rimaste in alcune case, oppure per fare carbone, da utilizzare poi in inverno nei bracieri. I ceppi invece, venivano lasciati negli orti per il falò, e solo in caso di necessità i contadini li spaccavano, con i cunei e la mazza, per avere ulteriore legna. Durante il giorno andavamo negli orti, in ricognizione per individuare il punto esatto dove si trovavano i ceppi. Talvolta erano i contadini stessi ad indicarci il luogo, così la sera non perdevamo tempo a cercarli e soprattutto evitavano che noi arrecassimo danni alle colture. I ceppi raccolti venivano poi ammucchiati in un angolo della piazza e si continuava così, fin quando la pigna diveniva sufficientemente alta, tanto da ardere tutta la notte, fino all'alba. Si aspettava poi con impazienza la Vigilia di Natale, poiché il falò non era solo tradizione, ma diveniva un momento di aggregazione per tutto il paese e soprattutto era una serata di festa per i bambini. Si cominciava già dal mattino con i preparativi. Guglielmo, lo spazzino del paese, scendeva in spiaggia e trasportava con la carriola la sabbia da mettere sul selciato, in mezzo alla piazza, dove poi avrebbe arso il falò. Serviva la sabbia a proteggere le lastre di pietra dal fuoco, altrimenti si sarebbero crepate o addirittura sbriciolate per il forte calore. Ma tutto ciò sarebbe stato vano se il tempo non fosse stato clemente. Era importante soprattutto che non piovesse o vi fosse vento, altrimenti non avremmo potuto accendere il falò. La cena nella quale, come era consuetudine, non mancavano mai le crespelle, il baccalà fritto, i broccoli e per dolce il torrone, era consumata in fretta da noi ragazzi, ed eravamo i primi ad arrivare in piazza. E in preda ad una eccitazione crescente, aspettavamo con impazienza il momento in cui i giovanotti avrebbero acceso il falò. Poi piano, piano, tutta la gente del paese, o buona parte di esso, richiamata dal tocco delle campane, arrivava per la messa di mezzanotte e la chiesa si riempiva completamente. E prima che il prete desse inizio alla funzione, i più esperti finalmente appiccavano il fuoco. Ardevano i ceppi e le fiamme si levavano in alto vibranti, e le scintille sprizzavano vivaci e svolazzavano nel buio. I vecchi stavano raccolti accanto al fuoco e si scaldavano, per attenuare il tremito perenne, che correva per le ossa indurite oramai dal gelo della vecchiaia. I fanciulli invece, si rincorrevano festanti intorno al falò, coi visi illuminati dal forte chiarore che emanava dalle braci. Mentre i giovani a turno alimentavano il fuoco e lo tenevano vivo aspettando pazienti che nascesse il Bambino. Il prete subito dopo la mezzanotte, usciva dalla chiesa seguito dai fedeli, reggendo tra le mani un canestro di vimini, nel quale vi era tra la paglia, una statuetta raffigurante Gesù Bambino. La tradizione voleva che il fuoco servisse a scaldare il neonato, per cui al momento della celebrazione era motivo d'orgoglio per i giovani far trovare il fuoco al massimo dello splendore. Il prete insieme ai fedeli, che intonavano "Tu scendi dalle stelle", faceva un giro intorno al falò, poi si fermava a benedire il fuoco e finita la funzione rientrava in chiesa. Da quel momento il falò, che prima era considerato sacro e apparteneva solo al Bambino, diveniva bene comune. Dopo la cerimonia religiosa, le donne si recavano a casa in tutta fretta e ritornavano nella piazza coi bracieri. Si avvicinavano al fuoco e con l'aiuto di una paletta, tiravano su le braci e riempivano i bracieri fino all'orlo. Dovevano riscaldare la casa tutta la notte, mentre con i familiari e i parenti avrebbero giocato a tombola. Poi la gente, dopo aver sostato ancora un attimo accanto al fuoco, ad immagazzinare un po’ di calore, piano, piano abbandonava la piazza per riunirsi ai parenti o agli amici e il falò rimaneva ad ardere fino all'alba. E la notte era rischiarata dal forte chiarore e nel silenzio sacro si udiva solo il crepitare del fuoco. E quando sul paese s'avanzava pigramente il giorno, sulla piazza, rimaneva dei ceppi solo la cenere a ricordare che, ancora una volta, era arrivato il Natale.
...Quella sera cenai in fretta e altrettanto in fretta uscii di casa. Ero in ritardo, dovevo trovarmi con i miei amici in piazza per andare a prendere i ceppi. Saremmo andati negli orti alla Favagreca, dopo il cimitero, dove sapevamo ve ne erano in abbondanza. La luna era apparsa silenziosa e brillava alta nel cielo, la sera era serena e al gran chiarore le case si tingevano d'argento. Le strade erano illuminate a giorno e la luna scorreva sugli alberi dilatando le ombre. Non vi era bisogno di luci artificiali quella sera, per muoversi negli orti tra i limoni. In piazza oltre i miei soliti amici, Peppe, Enzo e u Longu, vi erano degli altri ragazzi che si erano uniti a loro.
«Era ora!» mi disse Peppe vedendomi arrivare.
«Ho fatto più in fretta che potevo, mio padre è tornato tardi dall'orto e ho appena finito di cenare» mi giustificai.
«Bene! Andiamo!» disse Enzo e rivolgendosi ad uno dei ragazzi chiese «Hai portato la pila?»
Questi rispose di si con un cenno della testa e all'affermazione fece seguire il gesto, tirò fuori di tasca la pila, l'accese e diresse il fascio di luce in un punto buio della piazza. Rapidamente ci avviammo e lungo la strada ognuno di noi si mise a parlare col compagno che gli era più vicino. Io ero accanto a Peppe e gli chiesi «Dov'eri questo pomeriggio? Come mai non sei venuto al circolo a giocare a carte?»
«Ho dovuto aggiustare l'impianto elettrico a casa di mia zia»
Sebbene lui non fosse un elettricista, si intendeva ugualmente di corrente e quando in una casa vi era un guasto, sovente la gente in paese lo chiamava per ripararlo.
Talvolta Peppe mi portava con se nella veste di aiutante, ma più che dargli una mano ci andavo per fargli compagnia, poiché di elettricità ne capivo poco o niente. Inoltre avevo una paura folle della corrente, per via di varie scosse che avevo preso da bambino, toccando dei fili scoperti inavvertitamente.
Man mano che ci avvicinavamo al cimitero, il tono della nostra voce si affievoliva, si abbassava sempre di più, poi come se si fosse stabilità un'intesa, contemporaneamente tra noi scese il silenzio. Avevamo rispetto dei morti e forse, qualcuno di noi, anche un po’ di paura e ci pareva di turbare con le nostre voci il loro sonno eterno. Una sorta di mistero gravava su quel luogo.
Le credenze della gente avevano creato fantasmi, che popolavano il cimitero e vagavano di notte. E anche noi eravamo cresciuti con quelle superstizioni, che le persone anziane e soprattutto i nonni ci avevano inculcato coi loro racconti, nelle sere d'inverno, seduti intorno al focolare. Passammo davanti al cancello quasi trattenendo il respiro ed io fissai dritto davanti a me, non volevo guardare all'interno del cimitero. Ma mentre lo superavo diedi uno sguardo di sfuggita e vedendo i lumi sulle tombe e l'immagine dei defunti che mi fissavano, fui percorso da un brivido per tutto il corpo. Poi appena oltrepassato il cimitero, quasi come a stemperare la paura riprendemmo a chiacchierare allegramente e in breve arrivammo nell'orto dove vi erano i ceppi. Scrutammo intorno e rimanemmo un attimo silenzio per assicurarci che non vi fosse il contadino e, non udendo alcun rumore, ci accingemmo a scavalcare il muro di cinta per entrare nell'orto. I pezzi di vetro posti in cima al muro per scoraggiare i ladri, mandavano dei tenui luccichii, riflettendo i raggi della luna.
«Dove minchia è?» domandò Enzo, chiedendolo più a se stesso che a uno di noi.
«Per me è ancora dentro» risposi
«Longu, Longu. Dove sei?» chiamammo con voce sommessa
«Sto arrivando!» la sua voce ci giunse da dietro il muro e subito dopo apparve la sua faccia.
«Dove ti eri cacciato?» gli chiesi .
Accennò un sorriso furbo e con la sua solita flemma scavalcò il muro e si lasciò cadere accanto a noi.
«Non ne potevo più, e ho lasciato un ricordino sotto un albero di mandarini»
«Sei sempre il solito, potevi almeno coprirla! Adesso il contadino pensa che siamo venuti a rubargli la frutta» lo rimbrottai.
«Chi se ne frega !» rispose. U Longu era fatto così. Ci caricammo i ceppi spalla e ognuno di noi scelse quello da portare, in virtù della sua forza fisica. Quelli più pesanti li portavamo in due, talvolta anche in tre, addirittura alcuni estremamente pesanti, li trascinavamo legandoli con le funi. Col nostro carico gravoso ci avviammo con la massima sollecitudine e arrivammo in piazza stremati dalla fatica. Avevamo ancora un viaggio da fare, prima di tornarcene a casa, ma Peppe si rifiutò di seguirci.
«Mi dispiace ragazzi, me ne vado a letto, domattina mi devo alzare presto» Tentammo di fargli cambiare idea, di convincerlo a venire ancora con noi a darci una mano, ma fu irremovibile. Senza di lui ritornammo alla Favagreca e passammo di nuovo davanti al cimitero, e ancora una volta ci imponemmo il silenzio. Poco distante i ceppi stesi sulla strada assumevano al chiaro di luna forme mostruose. Arrivati sul posto ci ricaricammo i legni sulle spalle e riprendemmo la strada del ritorno. Procedevamo in fila, ad una certa distanza uno dall'altro, per non infastidire chi seguiva ed evitare che inciampasse. Eravamo intanto giunti al cimitero e i primi avevano appena superato il cancello, quando all'improvviso, udimmo provenire dall'interno delle grida strazianti e dei rumori infernali, amplificati dal silenzio di tomba che vi era in quel luogo. I capelli mi si rizzarono per lo spavento e lanciai un urlo prolungato, buttai il ceppo e cominciai a correre all'impazzata. Anche gli altri in preda al panico fecero come me, tranne Ciccio, che seppure a fatica continuava a correre col ceppo sulle spalle.
Avevamo percorso all'incirca un centinaio di metri quando sentimmo una voce dietro di noi che intimava «Fermatevi! Fermatevi!». Rallentammo la corsa e ci voltammo a guardare, increduli vedemmo Peppe che ci veniva incontro, anche lui di corsa.
«Ma non eri andato a casa?» gli chiesi alquanto stupito, ma subito mi sovvenni «Che stronzo, eri tu nel cimitero»
«Si! Ero io, ho voluto farvi un scherzo» ammise sorridendo
«Bello scherzo del cazzo, c'è la siamo fatta sotto» lo aggredii un po’ infuriato. Con Peppe non riuscivamo mai ad arrabbiarci.
«Voi! Immaginatevi io, da solo lì dentro, ero mezzo morto di paura»
«Quando sei entrato?» gli chiese u Longu
«Vi ho seguiti per un po’ da lontano, poi mentre voi prendevate i ceppi ho scavalcato il cancello e mi sono nascosto dietro al muro»
«Hai avuto un bel coraggio» gli disse ammirato uno dei ragazzi.
«Perché sapevo che eravate lì vicino, ma quando vi ho visto scappare, non c'è l'ho più fatta a stare nascosto e sono scappato anch'io»
«Come sei riuscito a fare tutto quel baccano?»
«Mi ero procurato due lattine e le ho sbattute una contro l'altra, inoltre mi sono messo a urlare come in ossesso»
Tornammo indietro e riprendemmo i ceppi che avevamo abbandonato nella corsa e, con passo spedito, proseguimmo. Pure Peppe ci aiutò, e durante il tragitto seguitò a chiederci con evidente soddisfazione se davvero ci eravamo spaventati. Chi più, chi meno affermò che un po’ di paura se l'era presa. Solo Enzo non voleva ammetterlo e spavaldo gli disse «Guarda che io non mi sono spaventato affatto» E Peppe rivolgendosi verso di noi esclamò «Minchia, però se correva»
E tutti scoppiammo a ridere.
U scriviu: Spusiddha u iornu: giovedì, novembre 22, 2007 1 commenti
Argomento: Storie 'i Favazzina
U scriviu: Scibbalocchiu u iornu: giovedì, novembre 22, 2007 1 commenti
Argomento: Indovinelli favazzinoti
Il prossimo 16 Agosto a Favazzina.. non mancate!
U scriviu: Malumbra u iornu: giovedì, novembre 22, 2007 1 commenti
Argomento: Curiosità
lunedì 19 novembre 2007
Irmina "la dolce" e il perfido coro delle Brigate
U scriviu: trilly u iornu: lunedì, novembre 19, 2007 4 commenti
Argomento: Storie 'i Favazzina
sabato 17 novembre 2007
Pelè e la scimmia
Come tutti ben sappiamo Pelè è un grande inventore di storie, unico nel suo genere! Volevo qui raccontare una storia molto vecchia che riguarda la mia infanzia e le mie prime amicizie a Favazzina! Quando abitavo "supra o ponti", all'età di 12-13 anni, venivo giù in paese sempre in bici e, puntualmente, incontravo Pelè per le strade che mi chiedeva di fare un giro! Poi iniziava a raccontarmi sempre delle storie incredibili! Pelè era così, un vulcano di fantasia in un paese dove non c'era niente! Una delle prime storie che Pelè mi raccontò ( alla quale, devo ammetterlo, credetti per un pò di giorni) e che segnarono la mia amicizia con lui fu quella della scimmia! devo precisare però che non lo conoscevo bene, tanto meno conoscevo la sua "inventiva"..!
Pelè, dunque, mi raccontò con incredibile naturalezza di essere stato in Africa per un periodo e di essere ritornato da lì con una scimmia! La povera creatura l'aveva nascosta nella valigia per il viaggio e adesso la teneva a casa: "non ci criri? poi ta fazzu viriri, caiella!"
.....................Sei un mito!
U scriviu: Malumbra u iornu: sabato, novembre 17, 2007 2 commenti
Argomento: Storie 'i Favazzina
Come cazzu si scrivi 'ntu blog?
Questo post è dedicato a tutti i nuovi che hanno problemi a postare su Favazzinablog!
Prima di tutto dovete essere registrati... cioè mi dovete mandare un'email alla quale vi risponderò inviandovi il regolamento e poi l'email di invito.
Nell'email di invito c'è un link. Cliccateci e vi porterà alla pagina di registrazione. In questa pagina dovrete inserire nome utente (la vostra email) e password. NON V'I SPIRDITI!!!!!!!
FATTO QUESTO SIETE AUTORI DI FAVAZZINA BLOG!
Per postare:
andate a http//favazzina.blogspot.com
poi
Se fate clic su salva adesso il post viene salvato come bozza, ma NON VIENE PUBBLICATO! Per pubblicaro aiti a cliccare su PUBBLICA POST (guarda caso)
PS: per le etichette (mettetela sempre) non ne facciamo cinquantamila diverse, ci sono diverse sezioni che contengono un solo post! Se possibile cerchiamo di fare rientrare il post in un'etichetta disponibile... Quando avrò tempo farò il lavoretto di ricollocare i post in 6-7 etichette significative!
salutamu
U scriviu: u Grecu u iornu: sabato, novembre 17, 2007 2 commenti
Argomento: favazzinablog
giovedì 15 novembre 2007
la domanda sorge spontanea:
Ma.. muriu stu blog??
U scriviu: Malumbra u iornu: giovedì, novembre 15, 2007 8 commenti
Argomento: domande favazzinote
domenica 11 novembre 2007
Favazzina
Lieve vola, su di qualche amicizia,
il tuo paesaggio, che di viver mi vizia;
la tua solitudine, non che la mia libertà,
mi toglie dal dolore di questa maledetta città;
amami, non privandomi di farmi innamorare,
del tuo esser meridionale.
La mia forte desolazione anch'essa genuina,
mio amor di nome "Favazzina";
luce di stelle, calor del sole, profumo di mare,
aria di vita;
Grazie!!, sei una gioia infinita.
Luca Caccamo
U scriviu: Malumbra u iornu: domenica, novembre 11, 2007 1 commenti
Argomento: Poesie favazzinote
venerdì 2 novembre 2007
U "Lido Pelè"
Nei primi anni '90, a causa di alcuni lavori di manutenzione da fare a casa, e per la preparazione del temibile Diritto Pubblico, passai circa un mese a Favazzina di inverno. La mia giornata, verso le 18, si concludeva con l'immancabile passeggiata in compagnia di Malumbra lungo le vie deserte del paese, chiacchierando di filosofia orientale e di naccheru. In una di quelle sere incontrammo il mitico Pelè che, con fare misterioso, ci parlò di una sua brillante e segretissima idea.... "non v'u pozzu riri.. non l'avi a sapiri nuddu... ma fici 'na pinsata... u prossim'annu ...". Si vedeva benissimo che aveva una voglia matta di metterci al corrente, anche perché Pelè non è mai riuscito a tenersi nulla per più di mezz'ora, ma voleva creare un po' di pathos attorno a sé... Malumbra cogliendo la palla al balzo gli disse "Vabbè, Pelè è meglio che non ci dici niente, perchè, se poi ti ritorna da qualcuno, pensi che siamo stati noi a parlare!". Tale frase fece superare a Pelè le ultime ritrosie!
Pelè: "Allora, mi mintia già d'accordu cu E* G*, u prossim'annu iaprimu nu Lidu sutt'a frunti!". Io e Malumbra gli facemmo notare che l'idea non era tutto questo granché, un lido c'era già e non c'era tutta questa richiesta, ma lui: "SENT'A MIAAAAAAAAAAA, non capiscistu nenti!!!!!!!!" E ci descrisse come aveva in mente il nuovo lido.
La Spiaggia di Favazzina doveva essere acchittata a mo' di Beverly Hills, con palme e quant'altro. Il pezzo forte dovevano essere un numero imprecisato di cameriere/bagnine (modello Pamela Anderson), poco vestite e possibilmente in topless che, una volta raccolta l'ordinazione, munite di vassoio galleggiante dovevano tuffarsi in acqua e portare il drink ai bagnanti!!!!! Pelè, in qualità di gestore, si sarebbe trovato sotto le palme a sollazzarsi in compagnia delle tipe!
Per quanto l'idea fosse completamente surreale presentammo le ovvie obiezioni: "...Ma come fai c'a spiaggia?.... e se c'è u mare mossu?.... e i bagnine?... aundi i trovi?...", ma lui non ci ascoltò, ci lascio a sganasciarci dalle risate e se ne andò a casa a sognare il "Lido Pelè" che, per la cronaca, non fu mai realizzato.
U scriviu: u Grecu u iornu: venerdì, novembre 02, 2007 0 commenti
Argomento: Storie 'i Favazzina
Pelè e u telefoninu
Erano i primi anni '90 e mi trovavo in piazza a fare due chiacchere con il mitico Pelè.....
Si parlava dell'avvento del cellulare come novità assoluta da avere a tutti i costi.....
Ad un tratto feci a Pelè una semplicissima domanda : " Pelè, ma se ti 'ccatti u telefoninu e poi caccarunu ti cerca na chiamata a gratiss tu che 'nci rrispundi???
Pelè ci pensò un attimo e poi mi rispose in versione dialetto di Sinopoli:
"U telefonu??? Mancu se mi 'mmazzanu.........anzi 'nci rrispundu: I voi dducentu liri mi vai 'nta na cabina?? "
U scriviu: Scibbalocchiu u iornu: venerdì, novembre 02, 2007 0 commenti
Argomento: Storie 'i Favazzina
M.... L..K e l'omosessualità
Una delle 1000 serate a Favazzina, parlando con M. L..K, si affrontò l'argomento sulle sue fantasie erotiche.. Fra le innumerevoli ed indicibili "animalate" del personaggio, ce ne fu una che stranamente è comune a tanti altri uomini....ossia vedere due lesbiche scambiarsi forti "effusioni"...... Questa fu la sua descrizione, più o meno: " Se viu ddu fimmini che si lliscianu e si 'ddiccanu nesciu pacciu..... capiscisti..... chidde propriamente lebbì....comu si rici.....i lebbì......... "
Io rettificai dicendogli : " M...o, vuoi dire le lesbiche? ", e lui rispose : " E ieu che dissi......Lebbì, appunto! "
U scriviu: Scibbalocchiu u iornu: venerdì, novembre 02, 2007 1 commenti
Argomento: Storie 'i Favazzina
L'Orlando furioso
Primi anni cinquanta, nel vecchio pastificio, quello in centro al paese,
fabbrica di tapparelle di plastica per un certo periodo, poi anche bar
del mitico P.... u C.... ed oggi rifugio per topi (vergogna).
I giovani dell'azione cattolica misero in scena, non senza una certa
difficoltà e un notevole sforzo organizzativo, la rappresentazione
dell'Orlando Furioso.
Gli attori, tutti ragazzi del paese, studenti e pure qualche contadino,
si prodigavano dando il massimo impegno e la commedia, tra epici
duelli con la spada, fra saraceni e cristiani, andava avanti senza intoppi.
La gente accorsa numerosa, il pastificio era stracolmo, sembrava
gradire moltolo svolgimento della commedia, sottolineando
l'interpretazione degli attori, con continui e scroscianti applausi.
Ad un certo punto della rappresentazione, Rinaldo doveva affrontare
Orlando in duello.
L'attore, un giovane contadino, spada in pugno si presentò sulla scena
e ad Orlando nascosto dietro a una siepe, per invitarlo al duello,
doveva dire la seguente battuta,
«Orlando perchè ti nascondi dietro la siepe, hai forse paura?»
Sarà stata l'emozione o, cosa più probabile la scarsa conoscenza
dell'italiano, ma il giovane attore esordì dicendo,
«Orlando, perchè t'ammucci arretu alla sipala, forse te la cachi?»
Potete immaginarvi il resto.
U scriviu: Spusiddha u iornu: venerdì, novembre 02, 2007 1 commenti
Argomento: Storie 'i Favazzina
U Continu e u marocchinu
Volevo raccontarvi brevemente una storia di alcuni anni fà che ha come protagonista 'u Continu, personaggio portato alla luce sul blog dal nostro caro Galanti!
La scena si svolse 'ntà Chiazza Santacroce, nei pressi dell'allora ufficio postale.
Favazzina si era da poco colorata della presenza di nuove figure di venditori ambulanti che sempre più frequentemente visitavano il paese per vendere cuperti, inzola, tappeti, ecc..! Erano i marocchini, quelli con le Mercedes scassate! Questi personaggi, per riuscire a vendere, si erano talmente integrati con la popolazione locale tanto da sfoderare veri e propri discorsi in dialetto. Molte volte, invece, li si vedeva pregare a terra secondo la loro tradizione musulmana! Alcuni erano diventati ormai di casa e nelle loro soste in paese si intrattenevano con gli anziani per parlare del più e del meno.
Fù così che un giorno uno dei marocchini più conosciuti in paese, scontento per l'insuccesso delle vendite giornaliere, espresse ad alta voce tutto il suo sfogo con una bestemmia in dialetto, rivolta a San.. R...u! Per sua sfortuna passava da lì proprio in quell'istante P...... 'u Continu il quale, con animo turbato ed offeso per la bestemmia appena udita, si rivolse al marocchino esclamando con orgoglio di vero Cristiano:
"je - je - jestimati i Santi toi chi i nostri 'ndì jestimamu nui!"
U scriviu: Malumbra u iornu: venerdì, novembre 02, 2007 2 commenti
Argomento: Storie 'i Favazzina
giovedì 1 novembre 2007
Auto rozze
Anche noi, dopo anni e anni di attesta, raggiungemmo alla fine i 18 anni ed arrivammo alla tanto agognata patente che ci portò magicamente ad allargare il nostro mondo favazzinoto e addirittura a raggiungere la mitica Scilla allora considerata meta di divertimenti e di chissà quali serate!
Negli anni abbiamo cambiato diverse auto, ma a me piace ricordare quelle dell'esordio. Le mitiche auto con le quali abbiamo per la prima volta percorso le strade e i vicoli di Favazzina.
SCIBBALOCCHIUMOBIL: Forse l'auto alla quale siamo rimasti tutti più affezionati vista anche la tragica fine che fece! Scibbalocchiu aviva una mitica clio bianca bellissima, perfetta, nuova... tanto ché un giorno trovo la serratura forzata! Il nostro Scibba penso bene di premunirsi contro il tentativo di furto acquistando u Bullok (l'antifurto con le palle), ma purtroppo la notte dopo si futtiru a clio cu tuttu u bullok. La Clio era l'auto con la quale durante la notte si raggiungeva Scilla...rischiando la vita in quanto l'autista non scendeva mai sotto i 100 Km/h (su quella strada!) e rallentava solo dietro minacce di spegnere la sigaretta sui sedili!
BAMBINUMOBIL: U bambinu, che aveva preso la patente in tarda età, si presentava con una mitica OPEL Ascona e già qui il fatto è abbastanza grave, ma come se non bastasse, tale auto, era dotata di un antifurto sicurissimo: il colore marrone della carrozzeria.... nessuno avrebbe mai rubato un'auto simile! All'interno erano presenti le immancabili caramelline per gli eventuali ospiti, cuscini da divano sui sedili posteriori e, attaccata al cruscotto, l'immagine di S. Gaspare sotto la quale campeggiava la scritta "S. Gaspare proteggimi".
MAGUMOBIL: U TOPO era ed è una spettacolare Fiat 500 vecchio modello di colore grigio (appunto topo) che per tanti anni ha accompagnato Magù e so' frati nelle loro scorribande favazzinote. Molti pensano che Magù abbia inventato e tenga segreta una macchina del tempo dove conservi il Topo, comunque, fatto stà che la grigia 500, ancora nel 2007, compia strenuamente il suo dovere. I cani di Favazzina e per primo Scubidù dovevano aver fiutato qualcosa di soprannaturale nella Magumobil, tant'è che ogni volta che la vedevano passare, la rincorrevano abbaiando rumorosamente!
MALUMBRAMOBIL: Fiat Panda anch'essa di colore grigio metallizato. E' l'auto con la quale il nostro amico percorreva le strade favazzinote spesso accompagnato da u Nuccatu (u so cani). Memorabile il giorno nel quale andammo tutti a Scilla con la Malumbramobil e Scibbalocchiu fece mezz'ora di polemica perchè si schiantava du Nuccatu!
GRECOMOBIL: Lascio ad altri la descrizione
GEKOMOBIL: Non mi ricordo che macchina avesse il Geko.....
U scriviu: u Grecu u iornu: giovedì, novembre 01, 2007 8 commenti
Argomento: Storie 'i Favazzina