Agosto se n’era da poco andato e aveva portato via con se i paesani emigrati che tornavano e i rari turisti che, in quegli anni, venivano in ferie a Favazzina. A goderci le ferie settembrine eravamo rimasti i soliti studenti, nell’attesa che riaprissero le scuole, e Italo il “Capotreno” immancabile con il suo mitico e unico ombrellone.
Quel giorno era già pomeriggio inoltrato ed io e i miei amici seduti sulla spiaggia ormai da parecchie ore a cazzeggiare, avevamo deciso di andarcene e ci stavamo preparando per tornare a casa. Un’anatra (o almeno così ci parve), penso persa, o stanca di volare, si posò dolcemente sul pelo del mare lasciandosi cullare dalle onde. Incuriositi ci mettemmo ad osservarla (nessuno di noi aveva mai visto un’anatra a Favazzina) e subito qualcuno disse che quella sarebbe stata una buona preda per un cacciatore.
Lei, incurante dei nostri sguardi, se ne stava tranquilla adagiata sul mare e pareva non avere alcuna intenzione di andarsene.
Decidemmo allora di chiamare Pasquale “Contino”, uno dei tanti cacciatori che vi erano allora a Favazzina, e lui arrivato in spiaggia abbastanza celermente confermò che si trattava proprio di un’anatra. Eccitato per l’imminente battuta di caccia, corse subito a prendere il fucile, raccomandandoci nel frattempo di non spaventarla e farla scappare e di procurarci una barca. E mentre lui si avviava io mi diressi a casa di don Mimì a prendere i remi, di quella barca che sarebbe stata il mito della nostra adolescenza.
Il mare intanto si era leggermente ingrossato ed io e u Longu (credo fosse lui che aveva deciso di venire con noi) mettemmo la barca in mare, non senza una certa difficoltà. Quando lo vedemmo arrivare accostai e u Longu lo aiutò a salire a bordo. Pasquale era talmente bardato con fucile, cartucciera, carniere, richiami e accessori vari, che invece che a caccia di una povera anatra, pareva dovessimo andare ad un safari.
Mi misi a remare e ben presto mi portai a tiro dell’anatra, Pasquale in piedi a prua, mi ordinò di fermarmi e dopo aver preso la mira sparò, sollevando una miriade di spruzzi. Quando tutto si calmò, l’anatra spaventata dal botto, ma totalmente incolume, si alzò in volo e placidamente si posò un duecento metri più a largo.
«Na pigghiai!» esclamò Pasquale
«No! Non d’ accurgimmu» io e u Longu pensammo dopo averci scambiato una occhiata significativa.
«Nbiciniti chi stavota na sbagghiu» mi incitò Pasquale.
Ripresi a remare ma stavolta, nell’avvicinarmi, l’anatra sospettosa si levò in volo e si allontanò più o meno della stessa distanza. Pasquale allora, non appena gli pareva di essere a tiro sparava, ma sempre con gli stessi risultati di prima. L’anatra pareva prendesi giuoco di noi e invece di scappare, si alzava in volo e si posava ogni volta, all'incirca, alla stessa distanza.
Eravamo ormai parecchio al largo, stava già calando la sera e il mare continuava ad ingrossare. Io e u Longu cercammo di convincere Pasquale a rientrare a riva, ma lui preso dalla frenesia della caccia seguitava a sparare (fece fuori quasi tutte le cartucce) e a spingermi ad andare sempre più avanti.
Le onde si facevano sempre più alte ed io davvero preoccupato al pensiero di come avremmo fatto a tirare la barca a riva, sperai vivamente che l’anatra se ne andasse o che come Biasi, quando vinse il montone, Pasquale riuscisse per sbaglio a colpirla. Poi forse perché anche lui prese coscienza che il mare si era ingrossato e dato che non sapeva nuotare (quelli della mia età se lo ricordano nuotare con due cucuzze, a mo’ di salvagente, legate in vita) decise, sebbene a malincuore, (ovviamente si sentiva offeso nell’orgoglio come cacciatore) di interrompere la caccia e di ritornare a riva.
Fu un rientro davvero difficoltoso e ci mancò poco che ci ribaltassimo, fortuna che alcuni dei nostri amici erano rimasti sulla spiaggia e ci aiutarono a far scendere Pasquale, parecchio spaventato e inzuppato fradicio, e a tirare la barca a riva.
Feci in tempo a girarmi e vidi l’anatra librarsi in volo e allontanarsi verso l’orizzonte e velocemente, con la sera che oramai incombeva, sparire alla mia vista, fortunata almeno in quell’occasione di aver incontrato un cacciatore come Pasquale.
Benvenuti a Favazzinablog
Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU
lunedì 17 gennaio 2011
Pasquale “Contino” e l’anatra.
U scriviu: Spusiddha u iornu: lunedì, gennaio 17, 2011
Argomento: Storie 'ì favazzina
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
6 commenti:
Bella Spusidda. Ricordo perfettamente la scena, con l'anatra che s' immergeva per ricomparire più al largo.
Sarei curioso di sapere che fine ha fatto Pasquale, dov'è ?
Come cacciatore era una schiappa, ma ingegnoso fino alla genialità per il resto.
Faceva il bagno sempre di fronte a Falò alle tre di pomeriggio e con l'immancabili cucuzze secche a mò di salvagente.
alevelaCaro Longu, Pasquale purtroppo è ricoverato da diversi anni in una clinica a Melito in uno stato quasi di demenza.
A Francesca, sua sorella, quando la incontro Favazzina, chiedo sempre sue notizie e ultimamente mi ha detto che non riconosce più nemmeno lei.
Questo post l'ho voluto scrivere in suo omaggio, a ricordo appunto della sua genialità.
Donc, alevela, questo simpatico palindromo immagino sia Alessandro Velardi tuo figlio.
Leggendo la storia capisco da dove viene il detto "fare un buco nell'acqua", da Pasquale e l'anatra.
Bella storia Spusidda.
Riguardo all'elettrodotto, niente paura Mimmo, tutt'al più ti rizzunu chiù ssai i capiddi.
I capiddi, scrivìa i capiddi.
Oh cazzo, mi dispiace per Pasquale.
Non conosco il caso specifico,ma deve essere un fatto di depressione, dalle nostre parti ti chiudono e buttano via la chiave.
Per questo faccio un'appello a tutti i miei amici:
se dovessi deprimermi in quel di Favazzina, abbattetemi
Ho letto questo racconto tutto d'un fiato nella speranza che il bersaglio fosse sempre mancato...ma quando sono arrivata alla battuta ''No...Non dindaccurgimmu!!!'''
ahahahahha bellissima!!!
Grande spusidda e complimenti per l'animo animalista che sfoggiava in voi in quegli anni che furono....ahahhah
meglio Pasquale ferito nel suo orgoglio che l'anatra ferita nel suo volo...ciao!!!
Bella Spusy, Pascali, geniali e factotum. Aviva na vigna supra ra stazioni, di tanto in tanto u viriva passari insieme a suo padre cu zappuni supra a spanna e le gambe avvolte dalle fasce di pezza. Faciva un ottimo vino da quella vigna
Posta un commento