Giocare a pallone è sempre stato un problema per noi ragazzi di Favazzina, poiché come sapete benissimo non è mai esistito un vero campo di calcio. L’unico posto dove poter tirare quattro calci era la piazza delle Rimembranze, soprannominata “u campu”. Era già abbastanza stretta in più, ai miei tempi, ai lati della piazza, dedicata ai caduti della guerra, vi erano piantati degli alberi, sui quali il giorno dei morti venivano legati intorno ai tronchi, dei mazzi di fiori in ricordo appunto dei caduti, e quando noi giocavamo a pallone, oltre agli avversari, dovevamo dribblare anche gli alberi. Come se non bastasse allora, intorno alla piazza, vi erano diversi giardini di limoni e il pallone molto spesso ci finiva dentro.
Subito arrivando, sulla destra, vi era l’orto i Gianni u Bagnarotu, e a seguire l’orto i Marina a Llara, sulla sinistra invece vi era l’orto ra Mazzamamma e più in giù quello i Tiresa a Liuni. Di fronte vi era la spiaggia e alle spalle l’orto i Peppino u Tighiri.
Eppure, nonostante tutto, facevamo delle interminabili partite di pallone che si concludevano quasi sempre per sopravvenuta oscurità.
Un pomeriggio io ed alcuni miei amici giocavamo a passaggi, nell’attesa che arrivassero gli altri per iniziare la partita. Uno di noi fece un tiro troppo alto e il pallone finì nell’orto ru Tighiri. Nessuno voleva andare a recuperarlo poiché avevamo tutti un certo timore. U Tighiri era gelosissimo dell’orto e non permetteva a nessuno di entrarci senza il suo permesso. Visto che il cancello era chiuso e dall’interno non proveniva alcun rumore pensammo non ci fosse. Decidemmo allora di scavalcare il muro ed entrare a prenderci il pallone. Per farci coraggio entrammo io e altri due miei amici che, per quanto mi sforzi, non riesco proprio a ricordare chi fossero. Subito ci mettemmo a cercare il pallone ma non riuscivamo a trovarlo nascosto com’era tra l’erba alta. Eravamo dentro da un paio di minuti quando all’improvviso, dal nulla, comparve u Tighiri che imbracciando il fucile e facendo la faccia feroce ci intimò «Fermi o sparo!»
Invece di fermarci scavalcammo il muro in un lampo e scappammo a gambe levate verso la spiaggia e per la paura che ci inseguisse continuammo a correre a perdifiato fino a Suttafrunti.
Lì ci fermammo terrorizzati e indecisi sul da farsi aspettammo che calasse la sera per tornare a casa.
Quando arrivai, mia madre preoccupata per l’ora tarda, mi chiese dov’ero stato ed io per giustificarmi abbozzai una scusa, ma non fui molto convincente anche perché sul mio viso si leggeva ancora la paura (allora avrò avuto tredici anni). Alle sue insistenze finii per raccontarle il fatto e credendo di essere in colpa mi aspettavo mi sgridasse. Lei invece di arrabbiarsi mi strinse tra le braccia e per tranquillizzarmi mi disse «Non ti preoccupari chi u Tighiri non spara a nuddu, anzi quandu u cuntru nciu ricu ieu a undi si l’avi a mentiri u fucili»
Non credo di sbagliare se dico che madri come quelle di una volta non se ne fanno più!
Benvenuti a Favazzinablog
Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU
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UGRECU
mercoledì 4 marzo 2009
U campu
U scriviu: Spusiddha u iornu: mercoledì, marzo 04, 2009
Argomento: Storie 'i Favazzina
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11 commenti:
Bella Spusey, che tenerezza.
Ti ricordi quando, ci cadde il pallone nell'orto da Mazzamamma, un pallone nuovo, appena comprato,
tutti se ne andarono, ed io e te, entrammo dal lato della marina, e strisciando come due indiani apaches, lo recuperammo.
Ricordo ancora la paura e l'adrenalina, avevavamo sfidato i grandi.
Peccato che l telefono azzurro non sia mai arrivato dalle nostre parti.
bellissima Mimmo. A propositu ra Liuna e i Ninu Pinghi vi ricurdati i nuciddi americani?
Ci sono ricordi sopiti da tempo nella memoria ma appena qualcuno ne fa cenno riemergono improvvisi così è stato per il tuo post i Lambrazzuni, appena ho letto delle partite al campo mi è tornata in mente questa storia, come il fatto a cui fai riferimento e subito mi sono rivisto con te dentro l'orto ra Mazzamamma. Lo stesso vale per l'orto i Tiresa a Liuni che mi fa ricordare quando l'aiutavamo a togliere la sabbia dal condotto per irrigare, episodio che coincideva con l'arrivo dell'estate, così come i nuciddi americani che gli andavamo sempre a fregare.
Bei ricordi Longu e Mario!
Bella storia Mimmo!
Il campo l'unico spazio dove poter giocare. Però che esagerati i proprietari terrieri nostrani bbonu bbonu nu palluni era.. e chi cavulu!
La cosa che noto comunque è il "rispetto" o timore boh chiamatelo come volete che si aveva per gli adulti, si capiva che oltre non si poteva andare (al di là dei mezzi discutibilissimi che in alcuni casi adottavano)
ogni generazione era ben distinta. In un certo senso oggi lo apprezzo, apprezzo il fatto che i ragazzi crescevano con i ragazzi ma con sopra gli adulti, nel bene e nel male.
Penso che andare a recuperare il pallone con il cuore in gola ma forti della complicità dell'amico fosse un'esperienza che fortificava e legava.
Ninu Pinghi poi..... cu era??
Il problema era che per i nostri genitori il gioco del pallone era una perdita di tempo, rapportata a tutto quello c'era da fare nei giardini e nelle vigne.
Difficilmente mio padre o il padre di Spusidda o gli altri genitori, avrebbero mai accettato delle angherie sui loro figli, ma il gioco era considerato futile, e gli uomini non avevavo tempo per occuparsi delle futilità.
Rimane il fatto che quelli che ci spaccavano ii pallone, erano e rimarranno nella nostra memoria, come dei grandissimi stronzi.
L'orto della Liuna era protetto dalla ramagghia, facilmente scavalcabile e fonte inesauribile per forcelle di fionda.Le noccioline americane crude, facevano schifo, infornate, buonissime. Ogni anno se ne portava via un pezzo il mare, all'ultimo era rimasta solo una casetta di legno a due piani.
Fosse rimasta credo che oggi varrebbe un casino di soldi
Cara Mariuzza Ninu Pinghi credo fosse il marito di Tiresa a Liuni. A tal proposito senti questa filastrocca che mi diceva mio padre.
Ninu Pinghi iau mi caca e non ci vinni, si spirdiu a porta aperta, nci rubaru a schiupetta, si ndi iaru muru muru e nci spararu nto bucu ru culu.
Spusidda i tuoi compagni di disavventura erano Maciste e Mimmu Bellinu, a quest'ultimo gli venne la febbre a quaranta per la paura ed i fratelli più grandi chiesero pesantemente conto all'uomo del fucile
Grande Longu!
Di Maciste mi pareva, ma di Mimmu Bellinu non mi ricordavo proprio, tra l'altro fu proprio lui a proporre di rimanere Suttafrunti e di ritornare a casa quando si fosse fatto scuro, effettivamente era il più spaventato.
Bellissima Spusy, molto tenera.
La ricerca del pallone perduto nelle proprietà altrui è stato un classico anche per me, mio fratello e tutti i nostri amichetti d'infanzia. Anche noi, col cuore in gola,puntualmente ci avventuravamo nel campo del "contadino" per recuperarlo e quello che ci sgridava perchè pensava che, con la scusa del pallone, volessimo fregargli le pesche!!Era tremendo.Ce ne ha sequestrati davvero tanti.E noi a ricomprarlo puntualmente.
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