Quante storie abbiamo vissuto a Favazzina? E quante ci sono arrivate dalla lunga tradizione orale del racconto? Come nella mitologia greca queste piccole storie di paese, tramandate di bocca in bocca, assumono aspetti leggendari e anche dopo anni è bello sentirle di nuovo raccontare per farci ricordare posti, persone sensazioni, momenti che non ci sono più, ma che sono parte della nostra storia.
Dopo questa piccola premessa vorrei ricordare una storia che mio padre amava molto raccontare e che lo vede comprimario.
Era un’estate dei primi anni ’80. I miei genitori avevano fatto amicizia con una famiglia di Campobasso che piantava l’ombrellone vicino a noi (prima spiaggia, pre Pie***no). Il signor “Campobasso” (non ne ricordo il nome) era un tipo sulla cinquantina, impiegato di banca, conformazione fisica a mo’ di barattolo di Nutella, immancabili occhiali da vista e cappellino. Il poveretto odiava profondamente il sole (lo faceva morire di caldo), il mare (non sopportava il sale sulla pelle), la sabbia (odiava i granelli di sabbia tra le dita dei piedi), pertanto, dopo aver accompagnato la moglie e i figli in spiaggia preferiva defilarsi e passare il tempo in un cono d’ombra immerso nella lettura della “Gazzetta dello sport” e del “Sole 24H”.
Una mattina accadde il miracolo: “Campobasso” si presentò in spiaggia in tutto il suo splendore. Si sbottonò la camicia, sganciò il Rolex, tolse i sandali e i calzini (ve l’ho detto. ODIAVA la sabbia tra le dita dei piedi), tolse i pantaloncini mostrando un improbabile costumino a righe verticali (oggi sarebbe stato quasi un perizoma) e disse “Vado a farmi un bagno”.
Mio padre lo guardò un po’ perplesso, ma coinvolto dagli altri coinquilini di ombrellone in un’estenuante partita a carte, non prestò più di tanta attenzione.
Nel frattempo il mare favazzinoto decise di sfidare il coraggioso e si esibì in una delle sue migliori trappole: “menza maretta” + “currenti chi ietta pi fora” + “ventu chi si iasau versu Messina”.
All’epoca veniva a Favazzina un signore con cui mio padre aveva fatto amicizia. Riggitano, sui 40, calvo con i baffoni neri, sorriso ironico sempre stampato sulla faccia, specialista nel tuffo a cascitta e abilissimo nuotatore, cognome tipicamente riggitano (come un noto personaggio di Shakespeare).
Shakespeare guarda il mare, ragiona sull’opportunità di fare il bagno o meno, ma la sua attenzione è rapita da una scena che ai più era passata inosservata. “Campobasso” annaspava con grande difficoltà tra le onde. Lo prendevano, u rucciuliavano ‘nti rocche, lo riprendevano, calava sutt’acqua, MBIVIVA! e, con il suo aplomb da impiegato modello proferiva a bassa voce e con tutta calma la parola “AIU - TO, AIU - TO”, manco avesse chiesto “signore mio, che forma di pagamento preferisce?”
Shakespeare con tutta calma lo guardò con rassegnazione, si mise a guardare la spiaggia e individuò mio padre poi, sempre con la dovuta calma, raggiunse l’ombrellone, salutò gli astanti e: “Permittiti? .... Don Ciccio, l’amico vostru si sta ‘ffuando. Chi facimu, u pigghiamo o u rassamu?”
Mio padre di rimando “come u rassamu? e chi è, na iatta?”. Così ebbe luogo il salvataggio.
7 commenti:
Meravigliosa Grecu e grazie per aver ricordato l'ironia del grandissimo Ciccio.
greco sei un artista del racconto!
Bellissima Grecu, veramente bella,
Bello anche il ricordo di Ciccio, favazzinoto DOC.
Quante risate con tuo padre, ci accomunava l'ironia ed un sottile velo di cinismo che diventava sempre bonarietà, specialmente per lui.
Stupenda Grecu, mi immagino la scena e la faccia di tuo padre.
Mi hai fatto venire i brividi ricordando un personaggio, il mitico Ciccio, a me molto caro!
Bellissima Grecu, e' un piacere leggerti
Mauro, questo è il tuo post migliore!
Meravigliosa! Tuo padre indimenticabile.
Questa storia è bella bellissima e meravigliosa. Complimenti all'autore e ai protagonisti.
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