Anche quella sera ero in piazza con i miei soliti amici e insieme a noi, cosa alquanto inusuale, vi erano Biagio e Ciccio, due nostri amici, due ragazzi che di mestiere facevano i contadini.
Come tutti quelli che lavoravano la terra era assai raro che uscissero la sera, solitamente si vedevano in giro al sabato, la loro serata libera.
Erano passate da poco le dieci e meditavamo già di andarcene a casa a dormire. Al mattino bisognava alzarsi alle sei per andare a prendere il treno e la sera non ci fermavamo mai fino a tardi. All'improvviso un lamento strano, confuso, turbò la quiete della notte. Era simile ad un ululato, un guaito bestiale, non aveva niente di umano. Prestammo attenzione e ci parve provenisse dalla via Marina.
«Che sarà?» domandò Peppe.
«A me pare un cane» risposi.
«Anche a me» aggiunse u Longu.
Il lamento non cessava, anzi saliva di tono, diveniva cupo, prolungato, intervallato da pause sempre più brevi.
«Perché non andiamo a vedere?» chiese Enzo alquanto curioso.
«Ma sei matto! E se è un cane rabbioso?» lo reguardì Peppe.
«Io vado!» insistette e si avviò verso il luogo donde avevano origine quei lamenti. A malincuore anche noi lo seguimmo. Man mano che ci avvicinavamo i lamenti giungevano più distintamente e con grande sorpresa scoprimmo che provenivano dalla casa Bianca.
«Minchia! Ma è l'americano» esclamò Peppe «Mi sa che sta male».
«Andiamo a vedere, magari ha bisogno» sollecitò Enzo.
Affrettammo il passo e rapidamente arrivammo davanti alla sua casa.
Subito Enzo suonò il campanello e senza attendere risposta, spinse il portone e vedendo che era aperto entrò, seguito da tutti noi.
Il tempo di mettere piede in casa che udimmo un lamento ancora più spaventoso degli altri. Attraversammo di corsa la cucina e ci precipitammo in camera da letto.
L'americano era steso sul letto bianco come un lenzuolo, pareva morto.
Entrammo e appena tutti fummo nella stanza, egli si tirò su all'improvviso, le braccia tese in avanti, come in atteggiamento ginnico e il movimento fu così rapido che la nappina della papalina che aveva in testa, gli cadde davanti agli occhi. Emise un rutto enorme ed esclamò «Muoio!» e si ributtò sul letto a peso morto.
La scena si svolse in un lampo, ma era stata così tragicomica, che io, Peppe, Enzo e u Longu trattenemmo a stento le risa. Biagio e Ciccio avevano meno confidenza di noi con l' americano ed erano quindi, pieni di riguardo nei suoi confronti, rimasero perciò seri accanto al capezzale.
«Cugino Rocco che avete» gli chiese Biagio.
«Muoio!» egli rispose con un filo di voce e ripeté la scena di prima.
A quel punto non riuscimmo più a trattenerci, indietreggiammo in cucina e scoppiammo a ridere in preda alle convulsioni.
«Volete che chiamiamo il medico?» sentimmo Ciccio chiedere.
«Dove lo trovi il medico a quest'ora» rispose rassegnato.
«Cosa vi sentite?» chiese ancora Biagio.
«Ho un peso qui sullo stomaco, e mi viene da vomitare» alle parole fece seguire il gesto e con una mano si toccò la pancia. Intanto noi dalla cucina, sbirciavamo in camera da letto e seguivamo l'evolversi della situazione.
«Cosa avete mangiato?» gli chiese allora Ciccio.
«Peppino mi ha regalato un mutulu e me lo sono fatto alla griglia» confessò.
Peppino era un nostro amico, ed era un pescatore molto abile.
«Forse vi ha fatto male» Ciccio azzardò come diagnosi.
«Ma se lo aveva appena pescato!» si giustificò.
Il fatto che il pesce fosse fresco, era sufficiente secondo lui a non dover stare male.
L'americano soffriva di ulcera gastrica e soprattutto la sera, doveva limitarsi nel mangiare. Sovente però eccedeva col cibo e inevitabilmente stava male. Per lo più avvertiva pesantezza di stomaco, dovuta a cattiva digestione, ma dato che era ipocondriaco esagerava parecchio con i mali e le lamentele. Aveva la voce flebile e la faccia smorta, pareva un moribondo, inoltre seguitava a tirarsi su e a ruttare. Biagio sentendoci sghignazzare, alla fine non resistette più e uscì dalla stanza, ridendo anche lui, lasciando l'americano da solo con Ciccio.
Poco dopo, pure Ciccio venne in cucina e serio ci disse «Mi ha chiesto di fargli una limonata calda e di metterci un cucchiaino di bicarbonato».
«Come sta?» gli chiese Peppe.
«Dice che sta male, che gli sembra di morire. Per me non ha digerito» rispose. Tra noi era quello che se la prendeva più a cuore.
«Chissà come si è abbuffato» sentenziò Peppe.
Nel frattempo Ciccio si era avvicinato alla cucina e aveva acceso il gas e aveva messo sul fuoco un pentolino con dentro l'acqua. Poi appena l'acqua iniziò a bollire tagliò un limone a metà e vi spremette il succo.
«Il bicarbonato è nella vetrina. Me lo prendi per favore?» egli disse rivolgendosi a Biagio. Sicuramente doveva averglielo detto l'americano.
Biagio rovistò tra una montagna di scatole di medicine e trovò quella col bicarbonato, la prese e la porse ad Ciccio. Questi ne riempì un cucchiaino e lo versò nel pentolino, poi pigliò lo zucchero e fece altrettanto, ma ne mise due di cucchiaini, bei colmi, mescolò il tutto e versò la bevanda in una tazza. Tutti insieme, preceduti da Ciccio, rientrammo in camera da letto e lui porse la tazza all'americano. Egli si tirò su a sedere, prese la tazza e iniziò a bere. Ma appena mandò giù i primi sorsi, il bicarbonato fece il suo effetto ed egli mollò un rutto così potente, che rimbombò per tutta la stanza. E nel contempo atteggiò il viso a sofferente, come per volersi scusare. E noi, che seppur celatamente, non avevamo ancora smesso di ridere, a quella nuova emissione, ritornammo in tutta fretta in cucina, con le lacrime agli occhi, lasciando ancora una volta Ciccio da solo con lui. L'americano stava troppo male per badare a noi, la confusione gli dava fastidio e sicuramente preferiva che in camera con lui rimanesse solo Ciccio, dato che egli lo serviva e lo assisteva amorevolmente.
Noi d'altro canto non ce la facevamo a rimanere seri, l'americano aveva un aspetto troppo ridicolo e destava in noi una ilarità irrefrenabile. Inoltre come se non bastasse, si era messo pure Peppe a farci ridere ancora di più.
«Per me muore» continuava a ripetere «E visto che i suoi parenti sono lontani, la casa e tutto ciò che possiede c'è lo dividiamo tra noi».
Io, Enzo, Biagio e u Longu non riuscivamo nemmeno a respirare, tanto i singulti ci scuotevano e lui, ormai senza freni seguitava a sciorinare parole come un fiume in piena.
«Anzi sapete che vi dico? Lo facciamo subito il testamento»
e chiese a ognuno di noi cosa preferissimo avere, giacché non voleva scontentare nessuno, voleva fare una spartizione equa. Ma visto che non riuscivamo a metterci d'accordo, decise lui le parti.
A Biagio toccò l'orto, a Enzo la cucina, al Longu la camera da letto, a me il piano di sopra, per se si prese la vigna. Ad Ciccio non toccò niente, lui non faceva parte del nostro giro.
Certo che se l'americano avesse potuto sentire i nostri discorsi, sicuramente avrebbe fatto i debiti scongiuri e quanto meno si sarebbe toccato immediatamente le parti basse.
Si era fatto tardi e all'americano, ora che cominciava a stare meglio, gli era venuta voglia di dormire. Ci chiamò quindi tutti in camera da letto e ci ringraziò per essere corsi, così prontamente in suo aiuto, e ci congedò dicendo che voleva riposare.
Anche se a fatica riuscimmo, almeno in quella circostanza ad essere seri, ma appena fuori, ricordando quanto era accaduto, ricominciammo a ridere più forte di prima.
Benvenuti a Favazzinablog
Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU
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UGRECU
lunedì 29 ottobre 2007
Roccu l'americanu 2° episodio
U scriviu: Spusiddha u iornu: lunedì, ottobre 29, 2007
Argomento: personaggi mitologici
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2 commenti:
spudidda i tuoi racconti risvegliano una favazzina che noi abbiamo conosciuto solo di striscio, ed è un piacere leggerli anche perchè, come ti dico spesso, le tue parole accendono immagini..
grazie
Mi hai riportato il ricordo di un vecchi nonno,un po' ambiguo e bizzarro ma a suo modo aveva un'attenzione molto tenera con me e mio fratello,simpatiche le storie che hai raccontato,molto realistiche...
Di quell'uomo ricordo due cose
in particolare,lo strinpello di una chitarra mal suonata e la puzza di fumo che lo avvolgeva....
Mi ricordo che il suo funerale e' stato il girno del mio ottavo compleanno (8 FEBBRAIO) e che per giorni mi sono seduta fuori dal suo portone come in attesa del suo ritorno ,lui era contento quando mi vedeva giocare fuori dal suo portone lo ricordo con molta dolcezza....SICURAMENTE ERA UN GRAN PERSONAGGIO...da ricordare e tu non hai rivali nel farlo...complimenti
CIAO SPUSIDDA
SONO ALESSANDRA alias Olivia
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