Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

domenica 26 febbraio 2012

Benvenuta Anna !!

Auguri infiniti a Malumbra e consorte.

mercoledì 15 febbraio 2012

Uno spaccato di vita contadina

Umberto, u bucceri, che mio padre aveva preventivamente contattato e al quale aveva già fatto vedere il maiale, arrivava con la sua lambretta da Scilla direttamente all’orto, solitamente la domenica mattina.
L’acqua nella caldaia bolliva già e la grande panca sulla quale il maiale veniva poi steso per essere sgozzato era pronta.
Umberto arrivava sempre con un aiutante e insieme a mio padre, dopo aver fatto uscire il maiale ra zimba e avergli immobilizzato le zampe con una corda, non senza una certa fatica (il maiale pesava quasi sempre oltre il quintale) lo stendevano sulla panca.
Come sapesse già il destino che l’attendeva il maiale lanciava dei grugniti strazianti che a me ragazzino facevano accapponare la pelle.
Mentre gli altri due lo tenevano fermo, Umberto, brandendo un lungo coltello si avvicinava al maiale e con un colpo deciso lo sgozzava.
Il sangue fuoriusciva a fiotti e veniva raccolto in un secchio che mia madre aveva precedentemente sistemato vicino alla panca.
Le urla del maiale erano talmente forti che io per non sentirli mi tappavo le orecchie, poi col defluire del sangue le urla lentamente scemavano e quando il secchio era quasi completamente pieno, finalmente cessavano.
A quel punto, mio padre, Umberto e il suo aiutante tiravano su il maiale dalla panca e lo appendevano a testa in giù in un ramo robusto di limunara e, usando l’acqua calda, lo mondavano dai peli.
Completata questa operazione Umberto lo squartava, dividendolo in due parti perfettamente uguali, una per noi e l’altra per lui (mio padre invece di pagarlo gli dava metà del maiale, era questo l’accordo).
La sua parte la caricava intera sulla lambretta, mentre la nostra la macellava secondo le richieste di mia madre in modo da poter ottenere, oltre alla carne da consumare fresca, come costine, braciole, lonza, filetto eccetera, tutte le parti, ad esempio le budella, che servivano poi per fare satizzi, suppizati, capicoddhu e la parte più grassa per ricavare u lardu, tutta roba da consumare poi nei mesi successivi.
Niente veniva sprecato e tutto veniva rigorosamente utilizzato, perché come certamente sapete, del maiale non si butta mai niente.
Anche se mi dispiaceva per il povero maiale, (la carne però me la mangiavo, eccome!) ho voluto ricordare questo spaccato di quando ero ragazzo, di quando Favazzina era diversa e tutto era gioia, come per l’imminente arrivo ru Carnaluari, al quale, mio padre mi diceva sempre, “i satizzi nci ficiru mali”.

martedì 14 febbraio 2012

LA GIACCA

Quando ero un’adolescente i miei genitori, non so per quale recondito motivo, decisero di regalarmi una giacca.
Non una giacca qualunque che si potesse acquistare ai Grandi Magazzini di Reggio o di Messina, ma con tanto di sarto, con scelta di stoffe, colori,misure.
Il sarto era mastru Ninu, marito di Marina a putiara, l’atelier era nel retro putia in mezzo a provoloni giganteschi, mortadelle di ogni misura, scatoloni di pasta, detersivi quasi tutti OMO e AVA, scatole di scarpe da tennis, ciabatte di plastica.
Cominciò la Via Crucis delle prove , tutte all’ora di cena, continuamente interrotti dalla clientela alimentare, cu vuliva cento grammi i mortadella, cu na fetta i provoloni, cu na gazzusa per digerire, insomma restavo in piedi comu nu trussu per ore con mastro Ninu che misurava e scappava a servire i clienti.
Manco il progetto Apollo che gli americani stavano facendo per andare sulla luna, aveva subito tante prove.
Il motivo era che essendo un’adolescente, quindi in piena crescita, la giacca si doveva adattare a tali cambiamenti, con il risultato finale che ci entravo due volte, però ero elegante, almeno secondo mia madre e l’interessato mastru Ninu.
A me faceva schifo, era di un giallo autunnale con quadratini neri, abbinata a pantaloni grigio scuro, camicia azzurra e cravatta scura a pallini bianchi
Rimaneva un vago odore di provolone piccante
Naturalmente non l’indossavo mai, poi una mattina che dovevo andare a scuola, fui costretto.
Quando arrivai in classe con giacca e cravatta l’apoteosi, specialmente le compagne, urlavano che manco avessero visto i Beatles, una presa per il culo che volevo morire, da predatore ero diventato preda, maledetta giacca.
Aula di chimica, il professore non c’era,la cattedra era in cemento piena di alambicchi e provette, i miei compagni spostarono tutto ed in coro urlarono:
:- Sfilata, sfilata, sfilata –
Non mi feci pregare, saltai sulla cattedra e cominciai la sfilata.
Mi toglievo e mi rimettevo la giacca, sbottonavo la camicia, la cravatta legata in testa tipo guerriero vietnamita, pantaloni slacciati.
Un baccano della madonna, applausi,fischi alla caprara, baci mandati, baci effettivi , lanci di libri, risate a crepapelle.
All’improvviso il silenzio.
Ero talmente scatenato che non me ne accorsi subito, continuavo a sfilare, sulla porta c’era il preside che applaudiva, da solo.


:- Bravo Velardi, mi segua in presidenza -
Raccontai tutto nei minimi particolari, della giacca, del sarto, ed il preside ridendo, lasciò perdere.
Non ci crederete ma quella giacca, a distanza di tanti anni, è ancora in un armadio in casa di mia madre, insieme alla divisa della marina e tante altre cose.
Mia madre non butta via mai niente

sabato 11 febbraio 2012

Lettere dal gelo



Товарищ Доминик Антонович Велардск,
ne abbiamo fino ai maroni di questa neve reazionaria e zarista. Prima di quest'ultima nevicata si era fermata alle ginocchia e qualcosa ancora si riusciva a fare, ma così? se non smette ce la ritroviamo al collo, seppur bianca e inodore saranno comunque cavoli acidi, con o senza smetana. Devi farmi un favore, batiuska, quando vedi quello Smerdjakov della protezione civile mandalo, prima a cagare e dopo, a ripassare la matematica: al sindaco di Roma aveva detto millimetri e erano centimetri, a noi qua a Krasnoyarsk (Siberia, allura chi?) aveva detto centimetri e sono metri! Sono scherzi del cazzo! diglielo, tovarish. Sono solo e isolato nell'isba. Non posso neanche andare al Magazin, della troika è rimasto solo il normanno, gli anglo-arabo-sardi purtroppo non si sono acclimatati. Solo tuo cugino Spusidskij poteva pensare che gli unterzisangue sono i cavalli più resistenti. Ci ha convinto ma avevano ragione le nostre perplessità, compagno: le carcasse giacciono ai piedi di un tumulo nevoso e Spusidskij mi dicono, se la gode nel tepido golfo dei poeti: imperialista e controrivoluzionario! Non poter andare al Magazin significa niente sigarette, ma di più mi manca il giro di трессетте ora che l'avevo insegnato a Fëdor Michajlovič, Lev Nikolàevič e Nikolaj Vasil'evič. Per la cronaca, io gioco con Cola, sempre per la cronaca Liuni è u chiu scarsu, peggiu ru Cicala. Dominik Antonović, se ci riesci manda qualche genere di primo conforto -ce l'hai il numero di telefono di Nastasha Filippovna?- comunque con i viveri sono a posto, conservo svariate boccacce di storione sott'olio e numerose scatolette di caviale di mulettuni. E vodka. Compagno, se hai modo ringrazia per mio conto la Signora delle Torte: apprezzo molto, mais, toujours tatin? falle capire con garbo che sarebbe apprezzata pure qualche pernice. Hai mai potuto dubitare del mio coraggio, Dominik Antonović? Mi hai mai visto in difficoltà nelle contese politiche e nella pugna? Tovarish, fuori nella neve c'è un orso! Si è mangiato gli anglo-arabi-sardi e si avvicina sempre di più all'isba. Questa è una situazione che non ho mai affrontato, compagno, ma non tremo, me la caco solo un poco. Spero che il cavallo normanno viva ancora qualche giorno e poi si faccia mangiare con gusto e lentamente. Soprattutto spero che quello che vedo ogni giorno, non solo quando bevo, quel biancore che dirada le nubi, quei raggi di luce ancor timidi, finalmente annunci il trionfo rivoluzionario. Il sol dell'avvenir.

Do svidaniya

venerdì 10 febbraio 2012

Tatintin




Come si vede la mia è più spiaccicata.
Come si vede ho preso in prestito l'alzatina di mia suocera per abbindolare lo spettatore.
Come si vede ho addirittura tagliato una mela per fare la foto.
Come si vede lo strofinaccio è sbagliato perchè c'è su la pera, ma con la mela non l'avevo.
Non è malaccio. è buona.

Tarte tatin





Non è che voglio retrocedere il flamenco, bellissimo e infinito, ma anche gli ispiratori (o cospiratori) meritano soddisfazione.
Esame organolettico:
Brisè: è venuta bene, croccante e friabile. A me non s'è ammollata: siccome ho visto nel rivoltare la torta che si era formata parecchia acqua (le mele, credo) l'ho scolata il più possibile.
Ho usato mele golden, la prossima volta penso di usare le renette, più acidule ma forse meno acquose, più acquiescenti alla buona riuscita.
Pel caramello penso di aver messo un eccesso di zucchero, il burro andava bene: ho usato un burro tedesco comprato a Monaco di Baviera, ormai prossimo alla scadenza.Dicevamo che la pasta brisè va lavorata a freddo, come freddo deve essere il burro. L'ho stesa con una bottiglia di vetro presa dal frigo, anche perché non ho ancora capito dove cavolo teniamo il matterello in questa casa. Au revoir.