Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

venerdì 28 dicembre 2007

Un salto nel passato


Sempre per la serie "come eravamo" ho deciso di pubblicare questa mitica foto che ho ritrovato qualche giorno fa.
La foto in questione, che presumo databile intorno al 1983, ritrae il sottoscritto, u Bambinu e Hugo in posa davanti al mare in tempesta di Favazzina. Oltre al deperimento fisico, psicologico e "capillifero" dei soggetti, è da notare la bellezza assoluta della spiaggia di Favazzina di quegli anni!!!

Lo scoop del 2007!


Poco fà mi sono collegato ad internet per la navigata del dopo pranzo, ho aperto la posta e...... mia grande sorpresa!!!! Tra i messaggi c'era un'email del mitico Rocco Ra Palasia!! Non potete immaginare il mio stupore a risentire dopo tanti anni un simile mito, ma la sorpresa non è finita qui: in allegato c'era una foto che veramente ha del mitologico! Tale documentazione testimonia la presenza di due miti: il sopracitato Roccu e Pelè che mangiano u meluni!!!!
Bè... che dire di fronte a tanta magnificenza??? Per me la considerazione è ovvia... si tratta dello scoop del 2007, ma vi rimando alle parole del mitico Rocco che spero possa comparire presto tra gli autori di questo blog!
"vi invio, in allegato, una foto che ritrae me ed il mitico Pelè in una delle nostre girate foris portam in quel di Bagnara Calabra... pregandovi di inserirla quanto prima nel vostro archivio delle foto più belle e significative degli anni compresi tra il 1990 ed il 1995."

giovedì 27 dicembre 2007

Auguri a tutti!!!!

AUGURI FAVAZZINOTI!!!!!!

IL MAGO DELLE GRANITE, in qualità di sponsor ufficiale di questo blog, porge a tutti i migliori auguri di Natale e felice anno nuovo!
Ricorda inoltre che è disponibile la nuova granita natalizia allo champagne e panettone (offresi acqua freddissima).
PS: tantissimi auguri anche dal GRECO!!!!

mercoledì 26 dicembre 2007

Buon Natale




Auguri


a


Tutti

martedì 25 dicembre 2007



AUGURI !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

giovedì 29 novembre 2007

Esibizionisti!

mercoledì 28 novembre 2007


Facile........... :

giovedì 22 novembre 2007

I "Cippi"

Come la maggior parte di voi sapranno era tradizione fino a pochi anni fà la vigilia di Natale accendere il falò sulla piazza della chiesa, e tutti i noi in quegli anni, giovani meno giovani ci siamo adoperati alla raccolta "ri cippi".
In questo episodio divertente, tratto sempre dal mio libro, voglio far conoscere ai più giovani come passavamo a quel tempo le serate. Quando dopo cena io e i miei amici andavamo a prendere i "i cippi" nei numerosi, allora, giardini di limoni.

.....Il Natale era alle porte e il paese parato a festa si preparava a celebrarlo. I bambini non riuscivano più a contenere la loro gioia, i regali, il vagheggiamento desiderato, non erano più un sogno. Anche tra noi ragazzi vi era molta animazione e ci adoperavamo affinché le vacanze fossero all'insegna del divertimento. Solo nelle persone anziane vi era indifferenza, d'altronde loro ne avevano viste troppe di miserie per avere ancora entusiasmo per il Natale. In quei giorni, come era consuetudine, andavamo negli orti a prendere i ceppi per il falò della Vigilia. Era una vecchia tradizione quella del falò, che si ripeteva ogni anno in paese e noi ragazzi eravamo orgogliosi di tenerla viva. Si cominciava dai primi di dicembre a raccogliere i ceppi, tutte le sere, nei numerosi orti che vi erano fuori del paese. I contadini durante tutto l'anno, tagliavano parecchi alberi di limone, che colpiti dai parassiti si ammalavano e inevitabilmente seccavano. I rami erano usati come legna da ardere, nelle vecchie cucine in muratura, ancora rimaste in alcune case, oppure per fare carbone, da utilizzare poi in inverno nei bracieri. I ceppi invece, venivano lasciati negli orti per il falò, e solo in caso di necessità i contadini li spaccavano, con i cunei e la mazza, per avere ulteriore legna. Durante il giorno andavamo negli orti, in ricognizione per individuare il punto esatto dove si trovavano i ceppi. Talvolta erano i contadini stessi ad indicarci il luogo, così la sera non perdevamo tempo a cercarli e soprattutto evitavano che noi arrecassimo danni alle colture. I ceppi raccolti venivano poi ammucchiati in un angolo della piazza e si continuava così, fin quando la pigna diveniva sufficientemente alta, tanto da ardere tutta la notte, fino all'alba. Si aspettava poi con impazienza la Vigilia di Natale, poiché il falò non era solo tradizione, ma diveniva un momento di aggregazione per tutto il paese e soprattutto era una serata di festa per i bambini. Si cominciava già dal mattino con i preparativi. Guglielmo, lo spazzino del paese, scendeva in spiaggia e trasportava con la carriola la sabbia da mettere sul selciato, in mezzo alla piazza, dove poi avrebbe arso il falò. Serviva la sabbia a proteggere le lastre di pietra dal fuoco, altrimenti si sarebbero crepate o addirittura sbriciolate per il forte calore. Ma tutto ciò sarebbe stato vano se il tempo non fosse stato clemente. Era importante soprattutto che non piovesse o vi fosse vento, altrimenti non avremmo potuto accendere il falò. La cena nella quale, come era consuetudine, non mancavano mai le crespelle, il baccalà fritto, i broccoli e per dolce il torrone, era consumata in fretta da noi ragazzi, ed eravamo i primi ad arrivare in piazza. E in preda ad una eccitazione crescente, aspettavamo con impazienza il momento in cui i giovanotti avrebbero acceso il falò. Poi piano, piano, tutta la gente del paese, o buona parte di esso, richiamata dal tocco delle campane, arrivava per la messa di mezzanotte e la chiesa si riempiva completamente. E prima che il prete desse inizio alla funzione, i più esperti finalmente appiccavano il fuoco. Ardevano i ceppi e le fiamme si levavano in alto vibranti, e le scintille sprizzavano vivaci e svolazzavano nel buio. I vecchi stavano raccolti accanto al fuoco e si scaldavano, per attenuare il tremito perenne, che correva per le ossa indurite oramai dal gelo della vecchiaia. I fanciulli invece, si rincorrevano festanti intorno al falò, coi visi illuminati dal forte chiarore che emanava dalle braci. Mentre i giovani a turno alimentavano il fuoco e lo tenevano vivo aspettando pazienti che nascesse il Bambino. Il prete subito dopo la mezzanotte, usciva dalla chiesa seguito dai fedeli, reggendo tra le mani un canestro di vimini, nel quale vi era tra la paglia, una statuetta raffigurante Gesù Bambino. La tradizione voleva che il fuoco servisse a scaldare il neonato, per cui al momento della celebrazione era motivo d'orgoglio per i giovani far trovare il fuoco al massimo dello splendore. Il prete insieme ai fedeli, che intonavano "Tu scendi dalle stelle", faceva un giro intorno al falò, poi si fermava a benedire il fuoco e finita la funzione rientrava in chiesa. Da quel momento il falò, che prima era considerato sacro e apparteneva solo al Bambino, diveniva bene comune. Dopo la cerimonia religiosa, le donne si recavano a casa in tutta fretta e ritornavano nella piazza coi bracieri. Si avvicinavano al fuoco e con l'aiuto di una paletta, tiravano su le braci e riempivano i bracieri fino all'orlo. Dovevano riscaldare la casa tutta la notte, mentre con i familiari e i parenti avrebbero giocato a tombola. Poi la gente, dopo aver sostato ancora un attimo accanto al fuoco, ad immagazzinare un po’ di calore, piano, piano abbandonava la piazza per riunirsi ai parenti o agli amici e il falò rimaneva ad ardere fino all'alba. E la notte era rischiarata dal forte chiarore e nel silenzio sacro si udiva solo il crepitare del fuoco. E quando sul paese s'avanzava pigramente il giorno, sulla piazza, rimaneva dei ceppi solo la cenere a ricordare che, ancora una volta, era arrivato il Natale.

...Quella sera cenai in fretta e altrettanto in fretta uscii di casa. Ero in ritardo, dovevo trovarmi con i miei amici in piazza per andare a prendere i ceppi. Saremmo andati negli orti alla Favagreca, dopo il cimitero, dove sapevamo ve ne erano in abbondanza. La luna era apparsa silenziosa e brillava alta nel cielo, la sera era serena e al gran chiarore le case si tingevano d'argento. Le strade erano illuminate a giorno e la luna scorreva sugli alberi dilatando le ombre. Non vi era bisogno di luci artificiali quella sera, per muoversi negli orti tra i limoni. In piazza oltre i miei soliti amici, Peppe, Enzo e u Longu, vi erano degli altri ragazzi che si erano uniti a loro.
«Era ora!» mi disse Peppe vedendomi arrivare.
«Ho fatto più in fretta che potevo, mio padre è tornato tardi dall'orto e ho appena finito di cenare» mi giustificai.
«Bene! Andiamo!» disse Enzo e rivolgendosi ad uno dei ragazzi chiese «Hai portato la pila?»
Questi rispose di si con un cenno della testa e all'affermazione fece seguire il gesto, tirò fuori di tasca la pila, l'accese e diresse il fascio di luce in un punto buio della piazza. Rapidamente ci avviammo e lungo la strada ognuno di noi si mise a parlare col compagno che gli era più vicino. Io ero accanto a Peppe e gli chiesi «Dov'eri questo pomeriggio? Come mai non sei venuto al circolo a giocare a carte?»
«Ho dovuto aggiustare l'impianto elettrico a casa di mia zia»
Sebbene lui non fosse un elettricista, si intendeva ugualmente di corrente e quando in una casa vi era un guasto, sovente la gente in paese lo chiamava per ripararlo.
Talvolta Peppe mi portava con se nella veste di aiutante, ma più che dargli una mano ci andavo per fargli compagnia, poiché di elettricità ne capivo poco o niente. Inoltre avevo una paura folle della corrente, per via di varie scosse che avevo preso da bambino, toccando dei fili scoperti inavvertitamente.
Man mano che ci avvicinavamo al cimitero, il tono della nostra voce si affievoliva, si abbassava sempre di più, poi come se si fosse stabilità un'intesa, contemporaneamente tra noi scese il silenzio. Avevamo rispetto dei morti e forse, qualcuno di noi, anche un po’ di paura e ci pareva di turbare con le nostre voci il loro sonno eterno. Una sorta di mistero gravava su quel luogo.
Le credenze della gente avevano creato fantasmi, che popolavano il cimitero e vagavano di notte. E anche noi eravamo cresciuti con quelle superstizioni, che le persone anziane e soprattutto i nonni ci avevano inculcato coi loro racconti, nelle sere d'inverno, seduti intorno al focolare. Passammo davanti al cancello quasi trattenendo il respiro ed io fissai dritto davanti a me, non volevo guardare all'interno del cimitero. Ma mentre lo superavo diedi uno sguardo di sfuggita e vedendo i lumi sulle tombe e l'immagine dei defunti che mi fissavano, fui percorso da un brivido per tutto il corpo. Poi appena oltrepassato il cimitero, quasi come a stemperare la paura riprendemmo a chiacchierare allegramente e in breve arrivammo nell'orto dove vi erano i ceppi. Scrutammo intorno e rimanemmo un attimo silenzio per assicurarci che non vi fosse il contadino e, non udendo alcun rumore, ci accingemmo a scavalcare il muro di cinta per entrare nell'orto. I pezzi di vetro posti in cima al muro per scoraggiare i ladri, mandavano dei tenui luccichii, riflettendo i raggi della luna. Bisognava perciò fare molta attenzione nell'arrampicarsi per evitare di ferirsi. Con molta cautela superammo l'ostacolo e ci lasciammo cadere all'interno. Il buio era piuttosto fitto sotto gli alberi, nonostante la luna piena, e rimanemmo un attimo immobili per abituarci all'oscurità. Poi sbirciando attentamente, ed anche con l'aiuto della pila, scorgemmo numerosi ceppi sui cigli dei muri a secco. Li tirammo su da terra e uno alla volta li buttammo oltre il muro, sulla strada. Quando il numero ci sembrò a sufficienza, abbandonammo l'orto e rapidamente ritornammo anche noi sulla strada. Eravamo sudati e visibilmente agitati, poiché tutto il lavoro lo avevamo svolto in modo frenetico. I contadini in quelle occasioni si dimostravano abbastanza tolleranti, ma era sempre meglio non farsi sorprendere negli orti. Gli alberi di aranci e di mandarini, in quel periodo, erano carichi di frutta, ed era difficile per noi resistere alla tentazione e non coglierne alcuno. Questo i contadini lo sapevano e più di una volta ci eravamo trovati faccia a faccia con loro. Eravamo fermi a prendere fiato quando ci accorgemmo che mancava u Longu.
«Dove minchia è?» domandò Enzo, chiedendolo più a se stesso che a uno di noi.
«Per me è ancora dentro» risposi
«Longu, Longu. Dove sei?» chiamammo con voce sommessa
«Sto arrivando!» la sua voce ci giunse da dietro il muro e subito dopo apparve la sua faccia.
«Dove ti eri cacciato?» gli chiesi .
Accennò un sorriso furbo e con la sua solita flemma scavalcò il muro e si lasciò cadere accanto a noi.
«Non ne potevo più, e ho lasciato un ricordino sotto un albero di mandarini»
«Sei sempre il solito, potevi almeno coprirla! Adesso il contadino pensa che siamo venuti a rubargli la frutta» lo rimbrottai.
«Chi se ne frega !» rispose. U Longu era fatto così. Ci caricammo i ceppi spalla e ognuno di noi scelse quello da portare, in virtù della sua forza fisica. Quelli più pesanti li portavamo in due, talvolta anche in tre, addirittura alcuni estremamente pesanti, li trascinavamo legandoli con le funi. Col nostro carico gravoso ci avviammo con la massima sollecitudine e arrivammo in piazza stremati dalla fatica. Avevamo ancora un viaggio da fare, prima di tornarcene a casa, ma Peppe si rifiutò di seguirci.
«Mi dispiace ragazzi, me ne vado a letto, domattina mi devo alzare presto» Tentammo di fargli cambiare idea, di convincerlo a venire ancora con noi a darci una mano, ma fu irremovibile. Senza di lui ritornammo alla Favagreca e passammo di nuovo davanti al cimitero, e ancora una volta ci imponemmo il silenzio. Poco distante i ceppi stesi sulla strada assumevano al chiaro di luna forme mostruose. Arrivati sul posto ci ricaricammo i legni sulle spalle e riprendemmo la strada del ritorno. Procedevamo in fila, ad una certa distanza uno dall'altro, per non infastidire chi seguiva ed evitare che inciampasse. Eravamo intanto giunti al cimitero e i primi avevano appena superato il cancello, quando all'improvviso, udimmo provenire dall'interno delle grida strazianti e dei rumori infernali, amplificati dal silenzio di tomba che vi era in quel luogo. I capelli mi si rizzarono per lo spavento e lanciai un urlo prolungato, buttai il ceppo e cominciai a correre all'impazzata. Anche gli altri in preda al panico fecero come me, tranne Ciccio, che seppure a fatica continuava a correre col ceppo sulle spalle.
Avevamo percorso all'incirca un centinaio di metri quando sentimmo una voce dietro di noi che intimava «Fermatevi! Fermatevi!». Rallentammo la corsa e ci voltammo a guardare, increduli vedemmo Peppe che ci veniva incontro, anche lui di corsa.
«Ma non eri andato a casa?» gli chiesi alquanto stupito, ma subito mi sovvenni «Che stronzo, eri tu nel cimitero»
«Si! Ero io, ho voluto farvi un scherzo» ammise sorridendo
«Bello scherzo del cazzo, c'è la siamo fatta sotto» lo aggredii un po’ infuriato. Con Peppe non riuscivamo mai ad arrabbiarci.
«Voi! Immaginatevi io, da solo lì dentro, ero mezzo morto di paura»
«Quando sei entrato?» gli chiese u Longu

«Vi ho seguiti per un po’ da lontano, poi mentre voi prendevate i ceppi ho scavalcato il cancello e mi sono nascosto dietro al muro»
«Hai avuto un bel coraggio» gli disse ammirato uno dei ragazzi.
«Perché sapevo che eravate lì vicino, ma quando vi ho visto scappare, non c'è l'ho più fatta a stare nascosto e sono scappato anch'io»
«Come sei riuscito a fare tutto quel baccano?»
«Mi ero procurato due lattine e le ho sbattute una contro l'altra, inoltre mi sono messo a urlare come in ossesso»
Tornammo indietro e riprendemmo i ceppi che avevamo abbandonato nella corsa e, con passo spedito, proseguimmo. Pure Peppe ci aiutò, e durante il tragitto seguitò a chiederci con evidente soddisfazione se davvero ci eravamo spaventati. Chi più, chi meno affermò che un po’ di paura se l'era presa. Solo Enzo non voleva ammetterlo e spavaldo gli disse «Guarda che io non mi sono spaventato affatto» E Peppe rivolgendosi verso di noi esclamò «Minchia, però se correva»
E tutti scoppiammo a ridere.


INDOVINELLO :

Il prossimo 16 Agosto a Favazzina.. non mancate!

lunedì 19 novembre 2007

Irmina "la dolce" e il perfido coro delle Brigate

C'era una volta... tanto tempo fa, un piccolo paese pieno di colori e profumi, con vigneti e giardini di limoni tutt'intorno, un mare scintillante davanti a sè e, poco lontano, un castello incantato... Un luogo magico, l'estate, dove ogni vicolo e ogni stradina raccontavano di amicizie e amori, di stelle cadenti e desideri.
A quei tempi (circa dieci anni fa, ormai), come ogni estate, si aggirava spensierata per le stradine e i vicoletti di Favazzina- questo è il nome del nostro paesello- una graziosa ed ignara fanciulla alla ricerca dei suoi amici canterini.Questi "musicanti", esibizionisti di notte, di giorno erano soliti "adombrarsi" e rilassarsi al suono di lente melodie... se ne stavano infatti riparati, a "meditare", all'ombra del grande ficus, cresciuto rigoglioso nel giardino di uno di loro, tale "Greco".
Apparentemente innocui e silenziosi... ne sapevano una più del diavolo!!
Dicevamo...la nostra ingenua fanciulla, convinta che i suoi fidati amici, così riservati e pieni di buon senso, l'avessero ormai accolta senza riserve nel loro storico gruppo, mai e poi mai avrebbe pensato...eppure era ben consapevole che i "maschi sono sempre maschi" e che, nel suo caso specifico, erano particolarmente attratti dalla sua camminata(preferibilmente se con i pantaloncini aderenti addosso!).
Così, un bel giorno, dopo aver trascorso nel giardino del Greco uno dei soliti pomeriggi in musica, con la testa ancora piena di parole e fantasie, la nostra Irmina (con i suoi pantaloncini corti), saluta tutti-"ci vediamo stasera"- dice- si gira e si incammina verso casa...
A quell'ora d'estate al bar, di fronte casa del Greco, c'è un sacco di gente: persone che tornano dalla spiaggia e vanno a prendersi la granita (quella del "mago"), bambini che corrono, Scubi che scondinzola felice qua e là... soprattutto c'è il nonno della nostra Irmina che gioca a carte con gli amici per vincere il famoso "concertino"....ecco, allora che, improvvisamente, si ode prima un mormorio, poi una voce, poi un vero e proprio coro che strilla all'unisono:"IRMAAA.... NON SCULETTARE!!!"
Da non credere! L'avevano proprio fatto, lì, davanti a tutti, senza nessuna vergogna... La nostra Irmina si gira pietrificata e li guarda ammutolita: quei malefici se ne stanno lì, uno accanto all'altro (e c'è pure il Geco con la sua stampella!) a sorriderle come se nulla fosse, come a dirle: "lo sapevi che prima o poi l'avremmo fatto! Era tanto che ti osservavamo Irmina..."
Tutti intorno mi guardano (ormai avrete capito che Irmina la dolce sono proprio io che scrivo) e io non posso far altro che pensare: quei perfidi ci sono proprio riusciti! Dopo giorni e giorni di attenta e subdola "preparazione" le Brigate erano esplose nel loro terribile grido di gioia!!!! Ma
come avevo fatto a fidarmi di loro???
Mah.. chi lo sa.. me lo chiedo ancora oggi...

sabato 17 novembre 2007

Pelè e la scimmia


Come tutti ben sappiamo Pelè è un grande inventore di storie, unico nel suo genere! Volevo qui raccontare una storia molto vecchia che riguarda la mia infanzia e le mie prime amicizie a Favazzina! Quando abitavo "supra o ponti", all'età di 12-13 anni, venivo giù in paese sempre in bici e, puntualmente, incontravo Pelè per le strade che mi chiedeva di fare un giro! Poi iniziava a raccontarmi sempre delle storie incredibili! Pelè era così, un vulcano di fantasia in un paese dove non c'era niente! Una delle prime storie che Pelè mi raccontò ( alla quale, devo ammetterlo, credetti per un pò di giorni) e che segnarono la mia amicizia con lui fu quella della scimmia! devo precisare però che non lo conoscevo bene, tanto meno conoscevo la sua "inventiva"..!
Pelè, dunque, mi raccontò con incredibile naturalezza di essere stato in Africa per un periodo e di essere ritornato da lì con una scimmia! La povera creatura l'aveva nascosta nella valigia per il viaggio e adesso la teneva a casa: "non ci criri? poi ta fazzu viriri, caiella!"





Peleeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeé.. Faccipput.........................!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

.....................Sei un mito!









Come cazzu si scrivi 'ntu blog?

Questo post è dedicato a tutti i nuovi che hanno problemi a postare su Favazzinablog!

Prima di tutto dovete essere registrati... cioè mi dovete mandare un'email alla quale vi risponderò inviandovi il regolamento e poi l'email di invito.

Nell'email di invito c'è un link. Cliccateci e vi porterà alla pagina di registrazione. In questa pagina dovrete inserire nome utente (la vostra email) e password. NON V'I SPIRDITI!!!!!!!

FATTO QUESTO SIETE AUTORI DI FAVAZZINA BLOG!

Per postare:

andate a http//favazzina.blogspot.com
poi



























Se fate clic su salva adesso il post viene salvato come bozza, ma NON VIENE PUBBLICATO! Per pubblicaro aiti a cliccare su PUBBLICA POST (guarda caso)


PS: per le etichette (mettetela sempre) non ne facciamo cinquantamila diverse, ci sono diverse sezioni che contengono un solo post! Se possibile cerchiamo di fare rientrare il post in un'etichetta disponibile... Quando avrò tempo farò il lavoretto di ricollocare i post in 6-7 etichette significative!
salutamu

giovedì 15 novembre 2007

la domanda sorge spontanea:






Ma.. muriu stu blog??







domenica 11 novembre 2007

Favazzina



Lieve vola, su di qualche amicizia,
il tuo paesaggio, che di viver mi vizia;
la tua solitudine, non che la mia libertà,
mi toglie dal dolore di questa maledetta città;
amami, non privandomi di farmi innamorare,
del tuo esser meridionale.
La mia forte desolazione anch'essa genuina,
mio amor di nome "Favazzina";
luce di stelle, calor del sole, profumo di mare,
aria di vita;
Grazie!!, sei una gioia infinita.



Luca Caccamo





venerdì 2 novembre 2007

U "Lido Pelè"

Nei primi anni '90, a causa di alcuni lavori di manutenzione da fare a casa, e per la preparazione del temibile Diritto Pubblico, passai circa un mese a Favazzina di inverno. La mia giornata, verso le 18, si concludeva con l'immancabile passeggiata in compagnia di Malumbra lungo le vie deserte del paese, chiacchierando di filosofia orientale e di naccheru. In una di quelle sere incontrammo il mitico Pelè che, con fare misterioso, ci parlò di una sua brillante e segretissima idea.... "non v'u pozzu riri.. non l'avi a sapiri nuddu... ma fici 'na pinsata... u prossim'annu ...". Si vedeva benissimo che aveva una voglia matta di metterci al corrente, anche perché Pelè non è mai riuscito a tenersi nulla per più di mezz'ora, ma voleva creare un po' di pathos attorno a sé... Malumbra cogliendo la palla al balzo gli disse "Vabbè, Pelè è meglio che non ci dici niente, perchè, se poi ti ritorna da qualcuno, pensi che siamo stati noi a parlare!". Tale frase fece superare a Pelè le ultime ritrosie!
Pelè: "Allora, mi mintia già d'accordu cu E* G*, u prossim'annu iaprimu nu Lidu sutt'a frunti!". Io e Malumbra gli facemmo notare che l'idea non era tutto questo granché, un lido c'era già e non c'era tutta questa richiesta, ma lui: "SENT'A MIAAAAAAAAAAA, non capiscistu nenti!!!!!!!!" E ci descrisse come aveva in mente il nuovo lido.
La Spiaggia di Favazzina doveva essere acchittata a mo' di Beverly Hills, con palme e quant'altro. Il pezzo forte dovevano essere un numero imprecisato di cameriere/bagnine (modello Pamela Anderson), poco vestite e possibilmente in topless che, una volta raccolta l'ordinazione, munite di vassoio galleggiante dovevano tuffarsi in acqua e portare il drink ai bagnanti!!!!! Pelè, in qualità di gestore, si sarebbe trovato sotto le palme a sollazzarsi in compagnia delle tipe!
Per quanto l'idea fosse completamente surreale presentammo le ovvie obiezioni: "...Ma come fai c'a spiaggia?.... e se c'è u mare mossu?.... e i bagnine?... aundi i trovi?...", ma lui non ci ascoltò, ci lascio a sganasciarci dalle risate e se ne andò a casa a sognare il "Lido Pelè" che, per la cronaca, non fu mai realizzato.

Pelè e u telefoninu

Erano i primi anni '90 e mi trovavo in piazza a fare due chiacchere con il mitico Pelè.....
Si parlava dell'avvento del cellulare come novità assoluta da avere a tutti i costi.....
Ad un tratto feci a Pelè una semplicissima domanda : " Pelè, ma se ti 'ccatti u telefoninu e poi caccarunu ti cerca na chiamata a gratiss tu che 'nci rrispundi???
Pelè ci pensò un attimo e poi mi rispose in versione dialetto di Sinopoli:
"U telefonu??? Mancu se mi 'mmazzanu.........anzi 'nci rrispundu: I voi dducentu liri mi vai 'nta na cabina?? "

M.... L..K e l'omosessualità

Una delle 1000 serate a Favazzina, parlando con M. L..K, si affrontò l'argomento sulle sue fantasie erotiche.. Fra le innumerevoli ed indicibili "animalate" del personaggio, ce ne fu una che stranamente è comune a tanti altri uomini....ossia vedere due lesbiche scambiarsi forti "effusioni"...... Questa fu la sua descrizione, più o meno: " Se viu ddu fimmini che si lliscianu e si 'ddiccanu nesciu pacciu..... capiscisti..... chidde propriamente lebbì....comu si rici.....i lebbì......... "
Io rettificai dicendogli : " M...o, vuoi dire le lesbiche? ", e lui rispose : " E ieu che dissi......Lebbì, appunto! "

L'Orlando furioso

Primi anni cinquanta, nel vecchio pastificio, quello in centro al paese,
fabbrica di tapparelle di plastica per un certo periodo, poi anche bar
del mitico P.... u C.... ed oggi rifugio per topi (vergogna).
I giovani dell'azione cattolica misero in scena, non senza una certa
difficoltà e un notevole sforzo organizzativo, la rappresentazione
dell'Orlando Furioso.
Gli attori, tutti ragazzi del paese, studenti e pure qualche contadino,
si prodigavano dando il massimo impegno e la commedia, tra epici
duelli con la spada, fra saraceni e cristiani, andava avanti senza intoppi.
La gente accorsa numerosa, il pastificio era stracolmo, sembrava
gradire moltolo svolgimento della commedia, sottolineando
l'interpretazione degli attori, con continui e scroscianti applausi.
Ad un certo punto della rappresentazione, Rinaldo doveva affrontare
Orlando in duello.
L'attore, un giovane contadino, spada in pugno si presentò sulla scena
e ad Orlando nascosto dietro a una siepe, per invitarlo al duello,
doveva dire la seguente battuta,
«Orlando perchè ti nascondi dietro la siepe, hai forse paura?»
Sarà stata l'emozione o, cosa più probabile la scarsa conoscenza
dell'italiano, ma il giovane attore esordì dicendo,
«Orlando, perchè t'ammucci arretu alla sipala, forse te la cachi?»
Potete immaginarvi il resto.


U Continu e u marocchinu

Volevo raccontarvi brevemente una storia di alcuni anni fà che ha come protagonista 'u Continu, personaggio portato alla luce sul blog dal nostro caro Galanti!
La scena si svolse 'ntà Chiazza Santacroce, nei pressi dell'allora ufficio postale.
Favazzina si era da poco colorata della presenza di nuove figure di venditori ambulanti che sempre più frequentemente visitavano il paese per vendere cuperti, inzola, tappeti, ecc..! Erano i marocchini, quelli con le Mercedes scassate! Questi personaggi, per riuscire a vendere, si erano talmente integrati con la popolazione locale tanto da sfoderare veri e propri discorsi in dialetto. Molte volte, invece, li si vedeva pregare a terra secondo la loro tradizione musulmana! Alcuni erano diventati ormai di casa e nelle loro soste in paese si intrattenevano con gli anziani per parlare del più e del meno.
Fù così che un giorno uno dei marocchini più conosciuti in paese, scontento per l'insuccesso delle vendite giornaliere, espresse ad alta voce tutto il suo sfogo con una bestemmia in dialetto, rivolta a San.. R...u! Per sua sfortuna passava da lì proprio in quell'istante P...... 'u Continu il quale, con animo turbato ed offeso per la bestemmia appena udita, si rivolse al marocchino esclamando con orgoglio di vero Cristiano:

"je - je - jestimati i Santi toi chi i nostri 'ndì jestimamu nui!"




giovedì 1 novembre 2007

Auto rozze

Anche noi, dopo anni e anni di attesta, raggiungemmo alla fine i 18 anni ed arrivammo alla tanto agognata patente che ci portò magicamente ad allargare il nostro mondo favazzinoto e addirittura a raggiungere la mitica Scilla allora considerata meta di divertimenti e di chissà quali serate!
Negli anni abbiamo cambiato diverse auto, ma a me piace ricordare quelle dell'esordio. Le mitiche auto con le quali abbiamo per la prima volta percorso le strade e i vicoli di Favazzina.

SCIBBALOCCHIUMOBIL: Forse l'auto alla quale siamo rimasti tutti più affezionati vista anche la tragica fine che fece! Scibbalocchiu aviva una mitica clio bianca bellissima, perfetta, nuova... tanto ché un giorno trovo la serratura forzata! Il nostro Scibba penso bene di premunirsi contro il tentativo di furto acquistando u Bullok (l'antifurto con le palle), ma purtroppo la notte dopo si futtiru a clio cu tuttu u bullok. La Clio era l'auto con la quale durante la notte si raggiungeva Scilla...rischiando la vita in quanto l'autista non scendeva mai sotto i 100 Km/h (su quella strada!) e rallentava solo dietro minacce di spegnere la sigaretta sui sedili!

BAMBINUMOBIL: U bambinu, che aveva preso la patente in tarda età, si presentava con una mitica OPEL Ascona e già qui il fatto è abbastanza grave, ma come se non bastasse, tale auto, era dotata di un antifurto sicurissimo: il colore marrone della carrozzeria.... nessuno avrebbe mai rubato un'auto simile! All'interno erano presenti le immancabili caramelline per gli eventuali ospiti, cuscini da divano sui sedili posteriori e, attaccata al cruscotto, l'immagine di S. Gaspare sotto la quale campeggiava la scritta "S. Gaspare proteggimi".

MAGUMOBIL: U TOPO era ed è una spettacolare Fiat 500 vecchio modello di colore grigio (appunto topo) che per tanti anni ha accompagnato Magù e so' frati nelle loro scorribande favazzinote. Molti pensano che Magù abbia inventato e tenga segreta una macchina del tempo dove conservi il Topo, comunque, fatto stà che la grigia 500, ancora nel 2007, compia strenuamente il suo dovere. I cani di Favazzina e per primo Scubidù dovevano aver fiutato qualcosa di soprannaturale nella Magumobil, tant'è che ogni volta che la vedevano passare, la rincorrevano abbaiando rumorosamente!

MALUMBRAMOBIL: Fiat Panda anch'essa di colore grigio metallizato. E' l'auto con la quale il nostro amico percorreva le strade favazzinote spesso accompagnato da u Nuccatu (u so cani). Memorabile il giorno nel quale andammo tutti a Scilla con la Malumbramobil e Scibbalocchiu fece mezz'ora di polemica perchè si schiantava du Nuccatu!

GRECOMOBIL: Lascio ad altri la descrizione

GEKOMOBIL: Non mi ricordo che macchina avesse il Geko.....

martedì 30 ottobre 2007

lunedì 29 ottobre 2007

P. u Continu e la legge dell'alternanza

Natale '92.
Anche quell'anno Don Cosimo decise di celebrare la Messa di Mezzanotte a Melia.
Evidentemente la lobby delle paucciane muliote aveva nuovamente esercitato la giusta pressione.
Era già il terzo anno che questo succedeva e a Favazzina i mugugni si stavano trasformando in una vera e propria rivolta.
Una sera P. u Continu attese Don Cosimo fuori dalla chiesa e in un crescendo tartagliante lo redarguì:
"Don Cosimu iiieeu sacciu chiiii naaaa vooota fuuui u cani e naaa vota fuuiii u lepru.Ma cca seeempri u lepru fui!!!!"

Roccu l'americanu 2° episodio

Anche quella sera ero in piazza con i miei soliti amici e insieme a noi, cosa alquanto inusuale, vi erano Biagio e Ciccio, due nostri amici, due ragazzi che di mestiere facevano i contadini.
Come tutti quelli che lavoravano la terra era assai raro che uscissero la sera, solitamente si vedevano in giro al sabato, la loro serata libera.
Erano passate da poco le dieci e meditavamo già di andarcene a casa a dormire. Al mattino bisognava alzarsi alle sei per andare a prendere il treno e la sera non ci fermavamo mai fino a tardi. All'improvviso un lamento strano, confuso, turbò la quiete della notte. Era simile ad un ululato, un guaito bestiale, non aveva niente di umano. Prestammo attenzione e ci parve provenisse dalla via Marina.
«Che sarà?» domandò Peppe.
«A me pare un cane» risposi.
«Anche a me» aggiunse u Longu.
Il lamento non cessava, anzi saliva di tono, diveniva cupo, prolungato, intervallato da pause sempre più brevi.
«Perché non andiamo a vedere?» chiese Enzo alquanto curioso.
«Ma sei matto! E se è un cane rabbioso?» lo reguardì Peppe.
«Io vado!» insistette e si avviò verso il luogo donde avevano origine quei lamenti. A malincuore anche noi lo seguimmo. Man mano che ci avvicinavamo i lamenti giungevano più distintamente e con grande sorpresa scoprimmo che provenivano dalla casa Bianca.
«Minchia! Ma è l'americano» esclamò Peppe «Mi sa che sta male».
«Andiamo a vedere, magari ha bisogno» sollecitò Enzo.
Affrettammo il passo e rapidamente arrivammo davanti alla sua casa.
Subito Enzo suonò il campanello e senza attendere risposta, spinse il portone e vedendo che era aperto entrò, seguito da tutti noi.
Il tempo di mettere piede in casa che udimmo un lamento ancora più spaventoso degli altri. Attraversammo di corsa la cucina e ci precipitammo in camera da letto.
L'americano era steso sul letto bianco come un lenzuolo, pareva morto.
Entrammo e appena tutti fummo nella stanza, egli si tirò su all'improvviso, le braccia tese in avanti, come in atteggiamento ginnico e il movimento fu così rapido che la nappina della papalina che aveva in testa, gli cadde davanti agli occhi. Emise un rutto enorme ed esclamò «Muoio!» e si ributtò sul letto a peso morto.
La scena si svolse in un lampo, ma era stata così tragicomica, che io, Peppe, Enzo e u Longu trattenemmo a stento le risa. Biagio e Ciccio avevano meno confidenza di noi con l' americano ed erano quindi, pieni di riguardo nei suoi confronti, rimasero perciò seri accanto al capezzale.
«Cugino Rocco che avete» gli chiese Biagio.
«Muoio!» egli rispose con un filo di voce e ripeté la scena di prima.
A quel punto non riuscimmo più a trattenerci, indietreggiammo in cucina e scoppiammo a ridere in preda alle convulsioni.
«Volete che chiamiamo il medico?» sentimmo Ciccio chiedere.
«Dove lo trovi il medico a quest'ora» rispose rassegnato.
«Cosa vi sentite?» chiese ancora Biagio.
«Ho un peso qui sullo stomaco, e mi viene da vomitare» alle parole fece seguire il gesto e con una mano si toccò la pancia. Intanto noi dalla cucina, sbirciavamo in camera da letto e seguivamo l'evolversi della situazione.
«Cosa avete mangiato?» gli chiese allora Ciccio.
«Peppino mi ha regalato un mutulu e me lo sono fatto alla griglia» confessò.
Peppino era un nostro amico, ed era un pescatore molto abile.
«Forse vi ha fatto male» Ciccio azzardò come diagnosi.
«Ma se lo aveva appena pescato!» si giustificò.
Il fatto che il pesce fosse fresco, era sufficiente secondo lui a non dover stare male.
L'americano soffriva di ulcera gastrica e soprattutto la sera, doveva limitarsi nel mangiare. Sovente però eccedeva col cibo e inevitabilmente stava male. Per lo più avvertiva pesantezza di stomaco, dovuta a cattiva digestione, ma dato che era ipocondriaco esagerava parecchio con i mali e le lamentele. Aveva la voce flebile e la faccia smorta, pareva un moribondo, inoltre seguitava a tirarsi su e a ruttare. Biagio sentendoci sghignazzare, alla fine non resistette più e uscì dalla stanza, ridendo anche lui, lasciando l'americano da solo con Ciccio.
Poco dopo, pure Ciccio venne in cucina e serio ci disse «Mi ha chiesto di fargli una limonata calda e di metterci un cucchiaino di bicarbonato».
«Come sta?» gli chiese Peppe.
«Dice che sta male, che gli sembra di morire. Per me non ha digerito» rispose. Tra noi era quello che se la prendeva più a cuore.
«Chissà come si è abbuffato» sentenziò Peppe.
Nel frattempo Ciccio si era avvicinato alla cucina e aveva acceso il gas e aveva messo sul fuoco un pentolino con dentro l'acqua. Poi appena l'acqua iniziò a bollire tagliò un limone a metà e vi spremette il succo.
«Il bicarbonato è nella vetrina. Me lo prendi per favore?» egli disse rivolgendosi a Biagio. Sicuramente doveva averglielo detto l'americano.
Biagio rovistò tra una montagna di scatole di medicine e trovò quella col bicarbonato, la prese e la porse ad Ciccio. Questi ne riempì un cucchiaino e lo versò nel pentolino, poi pigliò lo zucchero e fece altrettanto, ma ne mise due di cucchiaini, bei colmi, mescolò il tutto e versò la bevanda in una tazza. Tutti insieme, preceduti da Ciccio, rientrammo in camera da letto e lui porse la tazza all'americano. Egli si tirò su a sedere, prese la tazza e iniziò a bere. Ma appena mandò giù i primi sorsi, il bicarbonato fece il suo effetto ed egli mollò un rutto così potente, che rimbombò per tutta la stanza. E nel contempo atteggiò il viso a sofferente, come per volersi scusare. E noi, che seppur celatamente, non avevamo ancora smesso di ridere, a quella nuova emissione, ritornammo in tutta fretta in cucina, con le lacrime agli occhi, lasciando ancora una volta Ciccio da solo con lui. L'americano stava troppo male per badare a noi, la confusione gli dava fastidio e sicuramente preferiva che in camera con lui rimanesse solo Ciccio, dato che egli lo serviva e lo assisteva amorevolmente.
Noi d'altro canto non ce la facevamo a rimanere seri, l'americano aveva un aspetto troppo ridicolo e destava in noi una ilarità irrefrenabile. Inoltre come se non bastasse, si era messo pure Peppe a farci ridere ancora di più.
«Per me muore» continuava a ripetere «E visto che i suoi parenti sono lontani, la casa e tutto ciò che possiede c'è lo dividiamo tra noi».
Io, Enzo, Biagio e u Longu non riuscivamo nemmeno a respirare, tanto i singulti ci scuotevano e lui, ormai senza freni seguitava a sciorinare parole come un fiume in piena.
«Anzi sapete che vi dico? Lo facciamo subito il testamento»
e chiese a ognuno di noi cosa preferissimo avere, giacché non voleva scontentare nessuno, voleva fare una spartizione equa. Ma visto che non riuscivamo a metterci d'accordo, decise lui le parti.
A Biagio toccò l'orto, a Enzo la cucina, al Longu la camera da letto, a me il piano di sopra, per se si prese la vigna. Ad Ciccio non toccò niente, lui non faceva parte del nostro giro.
Certo che se l'americano avesse potuto sentire i nostri discorsi, sicuramente avrebbe fatto i debiti scongiuri e quanto meno si sarebbe toccato immediatamente le parti basse.
Si era fatto tardi e all'americano, ora che cominciava a stare meglio, gli era venuta voglia di dormire. Ci chiamò quindi tutti in camera da letto e ci ringraziò per essere corsi, così prontamente in suo aiuto, e ci congedò dicendo che voleva riposare.
Anche se a fatica riuscimmo, almeno in quella circostanza ad essere seri, ma appena fuori, ricordando quanto era accaduto, ricominciammo a ridere più forte di prima.

sabato 27 ottobre 2007

Roccu l'americanu

Uno dei personaggi mitici, per quelli della mia età, vissuti a Favazzina è stato sicuramente "Roccu l'americanu". Un tipo strano, controverso, ma che nel bene o nel male è stato un punto fermo nella nostra adolescenza. Attreverso due episodi due episodi tratti dal mio libro "La casa bianca", la sua casa, ho voluto tracciare un profilo divertente e far sapere anche a quelli più giovani di me che tipo era. Poichè anche se non l'hanno conosciuto sicuramente ne avranno sentito parlare.

".....Le sere quando non andavamo a prendere i ceppi, io, Peppe, Enzo e u Longu, sovente ci trovavamo a casa dell'americano a giocare a carte. L'americano in realtà era uno del nostro paese. Era emigrato in America da giovane in cerca di fortuna, seguendo l'esempio di molti compaesani, primo fra tutti mio nonno Domenico. Poi tra un ritorno e l'altro, aveva trovato il tempo di spo-sarsi, con una donna del paese e di fare due figli. Infine avuta la cittadinanza americana, dopo l'ennesimo ritorno era ripartito per l'America con tutta la famiglia. Vi era rimasto più di trent’anni, poi separatosi dalla moglie, aveva abbandonato sia lei che i figli ormai grandi, e aveva fatto ritorno in paese definitivamente. Le malelingue dissero che era stata la moglie a cacciarlo di casa, stufa delle continue stramberie di lui, ma nessuno sapeva veramente come erano andate le cose laggiù. Di una cosa però eravamo certi, l'americano era un tipo strano per davvero. Aveva trovato una casa in affitto nel vicolo, dove fino ad un paio di anni prima abitava Carmela, quasi di fronte a quella di mastro Natale, appena più in giù, ed era una casa molto vecchia abbandonata da anni. La stanza al pianterreno era al disotto del livello della strada e per accedervi, bisognava scendere due gradini. Il pavimento era privo di piastrelle ed il fondo della stanza era reso liscio da una gettata di cemento. L'arredamento era davvero misero, ed era composto da un vecchio tavolo sgangherato, sei sedie con l'impagliatura sfilacciata e una vetrina cigolante che stava in piedi per miracolo. Il cesso come in tutte le vecchie case era ricavato nel sottoscala, ed era celato da una parete di assi, che una mano di calce aveva tentato in qualche modo di rendere bianche. La cucina era in muratura e funzionava a legna, una delle poche ancora rimaste in paese, ma l'americano non la usava mai. Lui era sempre in giro a scroccare un pasto ad amici e parenti, ed anche a casa mia aveva mangiato più di una volta. Quando invece gli andava male, si recava a Scilla in una trattoria di un suo vecchio amico, oppure se era costretto a rimanere a casa, consumava di solito due o tre panini con l'affettato. La scala di legno portava al piano di sopra, nella stanza da letto, più spoglia della prima. Addossato a una parete vi era il letto, con ancora le sponde di ferro battuto e il materasso imbottito di crine. Inoltre una sorta di armadio e una sedia per appoggiarvi i vestiti tolti, prima di andare a letto. Per uno che aveva vissuto a New York, non era certamente una sistemazione decorosa. Ma era solo una locazione temporanea, poiché egli aveva già in mente di costruirsi una nuova casa.
Enzo bussò alla porta energicamente.
«Chi è?» udimmo l'americano chiedere dall'interno.
«Siamo noi» rispose Enzo.
«Entrate è aperto » ci stava aspettando.
«Buona sera cugino Rocco» Peppe lo salutò affettuosamente.
«Buona sera» salutammo anche noi.
«Buona sera, buona sera, sedetevi!» ci invitò, indicandoci le sedie
«Avete cenato?» gli chiesi
«Si! Ho appena finito». Sul tavolo vi era ancora la tovaglia cosparsa di briciole di pane e un piatto con dentro delle bucce di mela. Inoltre vi erano un coltello, un bicchiere e una bottiglia di acqua minerale Sangemini.
«Avete voglia di farvi una partita a carte?» Enzo gli domandò
L'americano era un giocatore accanito e sebbene morisse dalla voglia di giocare gli piaceva, ogni volta, farsi pregare.
«A cosa giochiamo?» chiese a sua volta, il richiamo era forte.
«Vi va bene a Stop?»
«OK! Due orette però»
Rispondeva sempre così, poi se vinceva era capace di tenerci lì fino all'alba. Viceversa se perdeva, dopo un po’ trovava una scusa e ci mandava via.
Sparecchiò e noi prendemmo posto attorno al tavolo. Egli si mise a capotavola, Peppe alla sua destra, io alla sua sinistra, di fronte Enzo, tra lui e me u Longu.
L'americano quella sera aveva una fortuna sfacciata, le carte gli giravano per il verso giusto e vinceva spudoratamente. In quelle occasioni era sempre molto allegro e diveniva oltremodo generoso. Durante una pausa del gioco si alzò e si avvicinò alla vetrina, l'aprì, prese un piatto e vi mise alcune stecche di torrone, delle susamelle e delle pittipì, si volse e lo posò in mezzo al tavolo. Poi ritornò alla vetrina e vi prese una bottiglia di Johnnie Walker, il suo whisky preferito, e cinque bicchieri.
«Servitevi!» ci invitò.
«Grazie cugino Rocco, si vede che siete un americano»
Peppe non perdeva mai l'occasione per fare lo spiritoso.
«Vaffanculo!» gli rispose sorridendo.
Mangiammo, bevemmo e fumammo l'ennesima Marlboro. Io e Peppe non eravamo fumatori accaniti come gli altri, ma quando giocavamo a carte, anche noi esageravamo col fumare. La stanza oramai era pregna di fumo e la gola mi bruciava parecchio. Desiderosi di rifarci riprendemmo a giocare, ma la fortuna non aveva ancora smesso di arridere all'americano, ed egli seguitava a vincere. Il clima era disteso e vi regnava una certa allegria, soprattutto per merito suo, noi facevamo buon viso, ma dentro di noi l'invidia ci rodeva, e i miei pensieri, di sicuro, erano uguali a quelli dei miei amici «Che culo che ha stasera l'americano!».
Quel giro toccava a me fare il mazzo, ed ero intento a scozzare le carte. Stavo per distribuirle, quando l'americano pose la sua mano sulla mia e mi impedì di continuare.
«Aspetta a dare le carte, vado un momento al cesso» mi disse.
Si alzò e lasciò le sue monete tutte sparse sul tavolo, evidentemente voleva dimostrarci che si fidava di noi.
«D'accordo, fate pure» risposi e mi arrestai.
Appena la porta del bagno si chiuse alle sue spalle, Peppe sottovoce esclamò «Minchia! Avete visto che culo?»
«Se va avanti così finisce che ci lascia in mutande» aggiunsi.
«E' meglio che ce ne andiamo » consigliò u Longu.

«Facciamo ancora qualche mano, magari la fortuna cambia». Enzo non voleva arrendersi e ci esortava a rimanere. Peppe nel frattempo era come ammaliato e guardava con bramosia le monete poste lì sul tavolo, buona parte del nostro denaro perso. Ebbe un movimento repentino, allungò una mano, appoggiò un dito su una moneta da cento lire e la spostò tra le sue. Di sicuro fece quel gesto per scaramanzia, per trasferire la fortuna dalla sua parte, poiché cento lire non avrebbero cambiato certamente la sua situazione. Nessuno di noi ebbe il tempo di dirgli niente, anche perché, proprio in quel momento, la porta si aprì e l'americano ritornò al suo posto. Io intanto avevo ripreso a scozzare le carte e appena lui si sedette le distribuii. L'americano rimase impassibile, ignorò le carte e continuò a fissare le monete davanti a lui, da quando si era seduto non aveva fatto altro. Poi tirò su la testa e ci guardò, scrutò attentamente le nostre facce e indicando le monete disse «Qui mancano cento lire, chi le ha prese?»
Rimanemmo di sasso, poiché nessuno di noi poteva immaginare che se ne sarebbe accorto. Vi fu un attimo di silenzio imbarazzante, durante il quale pensai «Minchia che furbo! Prima di alzarsi aveva contato i soldi, altro che fiducia».
Dall'espressione che vi era sul volto dei miei amici, capì che anche loro stavano pensando la stessa cosa. Peppe fu il primo a riprendersi dallo sbigottimento e mentì sfacciatamente.
«Cugino Rocco ma cosa dite? Figuriamoci se in casa vostra vi rubiamo i soldi. Vi sarete sbagliato». Sapeva di essere in colpa e cercava di giustificarci giocando sull'equivoco.
«Non mi sbaglio affatto. Io so quanti soldi vi erano prima di andare al cesso, e ora mancano cento lire. E' inutile che cerchi di farmi passare per fesso»
La faccenda aveva preso una brutta piega e non si intravedeva una soluzione possibile poiché, se da una parte l'americano insisteva nell'accusarci, dall'altra ne io e tanto meno Enzo e u Longu, mai avremmo tradito Peppe, visto che lui non aveva ammesso di avergli preso la moneta. Tentammo allora di rabbonirlo, dicendogli che era probabile si fosse sbagliato nel contarle, che mai avremmo fatto una cosa simile ad uno come lui.
«Ho capito siete tutti d'accordo. Siete dei ladri, dei porcarusi» ribatte alquanto alterato alle nostre giustificazioni. Enzo era un tipo abbastanza irascibile e non permetteva a chicchessia di offenderlo, inoltre sapendo di non avere colpa, alle parole dell'americano reagì.
«Non vi permetto di darmi del ladro e nemmeno del porcaruso» e disse questo alzandosi in piedi, fronteggiandolo. L'americano interpretò le parole e il gesto come una minaccia e livido in volto ci spinse verso la porta urlando come un forsennato «Fuori! Fuori di qui!». Poi come parlando a se stesso aggiunse «Ma tu guarda se una pisciata in casa mia mi deve costare cento lire. Non pago quando vado ai gabinetti pubblici a Reggio e devo pagare a casa mia».
Io, Peppe e u Longu trattenendo a stento le risa ci dirigemmo alla porta. Enzo invece era arrabbiato, non gli andava di essere trattato in quel modo e in più gli bruciava che l'americano lo buttasse fuori casa.
«Vi lascio perdere perché siete una persona anziana e ho rispetto, altrimenti non finiva così» e glielo disse guardandolo dritto negli occhi.
«Perché mi vuoi picchiare? Mi rubate i soldi e mi volete pure picchiare» continuò a sbraitare, esagerando naturalmente e coinvolgendo anche noi, che seguivamo la diatriba in silenzio.
«Dai Enzo andiamo! Finiscila!» lo afferrai per un braccio e lo trascinai fuori di lì. Appena fummo in strada Enzo aggredì Peppe verbalmente
«Sei uno stronzo! Che minchia gli hai preso a fare le cento lire!»
«Non so perché l'ho fatto, è stato un gesto istintivo, mi dava ai nervi che continuasse a vincere» cercò di giustificarsi.
«Così ci ha mandato via e non ci siamo potuti rifare» io dissi, un poco dispiaciuto per i soldi persi.
«Sarà per la prossima volta, tanto vedrete che domani ci richiama ».
Conoscevamo bene l'americano e il suo vizio per il gioco.
«Certo che quando ha detto che una pisciata a casa sua gli è costata cento lire, mi ha fatto morire dal ridere» disse u Longu, e di nuovo sorrise ripensando alla scena di prima.
«E vi ricordate quella volta al mercato? Quando doveva comprare le zucchine e all'ortolano chiese le cucuzzelle?
«E quando è andato a Montecatini? Che in italiano era convinto si chiamasse Montecatene?»
«E quella volta a Reggio, quando stava per essere investito da una macchina? E lui per evitarla raccontava «Fici uno zumpo nell'atmosferio e caria supra lu motorio».
(Feci un salto in aria e caddi sopra il motore, sul cofano).
Ridendo come matti ci dirigemmo in piazza e ricordammo tutti gli aneddoti nei quali l'americano era stato protagonista, e che oramai erano entrati di diritto nella leggenda del paese.

Ciao a tutti gli amici di Favazzina

Un tifoso d'eccezione...

Negli anni '80 andava di moda a Favazzina il torneo di calcio che si svolgeva 'ntà chiazza Rimembranza. Questo era considerato un evento "serio" rispetto agli altri tornei organizzati da noi ragazzi più piccoli.
Si provvedeva, prima di ogni incontro, a bagnare bene il terreno di gioco per evitare polveroni poichè, a quei tempi, la piazza era ancora coperta di terriccio. Temibili, infatti, erano le reazioni di alcuni abitanti che avevano casa proprio a ridosso della piazza. Prima fra tutte una coppia di coniugi anziani, una certa Marina col marito, che non vedevano l'ora che il pallone oltrepassasse il limite del loro giardino per impossessarsene ed eccitarsi bucandolo.
Dentro questo scenario si scontrarono un giorno due squadre nelle quali giocavano come avversari due fratelli: Lello D... e Francesco D..., rispettivamente attaccante e portiere.
Sugli "spalti" c'era un tifoso d'eccezione a cui stava, giustamente, a cuore la partita. Era il padre dei due protagonisti, Don P... Cicala, il quale assisteva con ansia alla sfida incitando i figli a tenere alto il nome della famiglia!
Nelle fasi finali dell'incontro Don P... Cicala era estasiato a tal punto che, in un'azione d'attacco di Lello, pronunciò una massima che divenne negli anni un "aforisma" favazzinoto degno di essere ricordato in eterno! Trovandosi Lello di fronte al fratello portiere, Don P. Cicala con foga esclamò:


"Tira Lellu..... Para Francescu....."



giovedì 25 ottobre 2007

Favazzinablog: l'idea, la (per ora breve) storia

Carissimi Favazzinoti, di nascita, di discendenza o di adozione...
A due mesi dalla pubblicazione di questo piccolo blog mi viene da fare qualche riflessione da condividere con voi.
Come già detto l'idea di creare un sito internet su Favazzina l'avevo in testa da almeno cinque anni. Avevo anche iniziato a programmarlo, ma poi per mancanza di tempo ho lasciato perdere. La scorsa estate, durante un assolato pomeriggio passato sutta u ficus, in compagnia di Malumbra, u Bambinu e il Geko (documentata dal filmato che trovate in un post di settembre), l'idea ha cominciato a riprendere forma... anche perché, con blogspot non c'è il problema di dover programmare le pagine e poi si può creare un lavoro collaborativo.
Appena tornato a casa mi sono messo all'opera: ho creato un account, ho aperto un blog e ci ho messo un paio di storie (riciclate dal vecchio sito). A questo punto il problema era coinvolgere gli altri... il primo a raccogliere l'invito è stato il mitico Magù, subito dopo si sono aggiunti Malumbra, U Bambinu, Scibbalocchiu e il Geko. Il Blog cominciava a prendere forma, comparivano le prime storie e i primi commenti, ma non ci bastava.
Abbiamo pensato ai vari problemi che potevano sorgere e abbiamo creato un piccolo regolamento da inviare a tutti i partecipanti, poi ho sparso inviti a largo raggio tra tutte le persone "Favazzinote" delle quali avevamo l'e-mail... (cioè le aveva Malubra) alcuni hanno risposto all'invito, altri no.
Ora il gruppo si è allargato, siamo in dieci e spero che prossimamente anche altri si iscrivano (a proposito: siamo ai primi posti su google). E' nato anche un gemellaggio con gli amici scigghitani di malanova.it vi invito a leggere anche i loro blog e a commentarli.
Come solito invito tutti, soprattutto i nuovi, ma anche alcuni dei vecchi che sono silenti (Geko aundi cazzu sii???) a fare sentire la loro voce con nuovi post e commenti e a cercare di coinvolgere tutti gli amici Favazzinoti con i quali sono in contatto.
E' anche ben accetta ogni tipo di proposta. Favazzinablog è di tutti i Favazzinoti!

mercoledì 24 ottobre 2007

Nuova linfa alla tua terra

NUOVA LINFA ALLA TUA TERRA

Torno sovente al borgo mio natio

per ritrovare scampoli di pace,

immergermi in un mare profumato

di zagare giammai dimenticate.

Ricordi di beata fanciullezza,

trasudano dai muri e d'ogni dove,

ritornano confusi alla memoria,

tizzoni ardenti ad infiammarmi il cuore.

Affiorano visioni ormai sbiadite,

che il tempo, tiranno, aveva cancellato,

le corse a piedi nudi per le strade,

le notti insonni, al lume del rancore,

per un bacio non dato.

i giorni lieti con il primo amore.

E vago senza meta per le calle,

con l'animo felice che ribolle,

e trovo nuova linfa alla tua terra,

per sentirmi vivo,

per creare ancora fantasia.

Velardi Domenico

lunedì 22 ottobre 2007

'A Stazioni!




La stazione di Favazzina è ormai divenuta da tempo il simbolo dell'arte moderna nelle sue più variegate espressioni. Diversi artisti hanno avuto modo di cimentarsi nei linguaggi più disparati; linguaggi che hanno espresso i contenuti più alti dell'uomo moderno.

Cogliamo qui alcuni esempi:





oppure.........:






Ci sono anche le cosiddette "Contaminazioni" nelle quali riaffiorano legami nascosti tra culture diverse...:






La Stazione, però, era proprio un'altra cosa quando negli anni '80 e nei primi anni '90 c'era ancora la mitica figura ru Capu Mat...ne, l'ultimo capostazione di Favazzina.
Ricordo ancora il giorno in cui vennero murate tutte le porte e le finestre. Ci volle solo una giornata di lavoro per chiudere anni e anni di storia e di ricordi..
Chi ha dimenticato le nostre visite 'o Capu Mat...ne per fare un biglietto o, meglio ancora, l'abbonamento? Invadevamo praticamente la sala Direzione e iniziavamo a toccare tutto. I timbri, le leve, i pulsanti, sembrava di stare ai comandi di chissà quale astronave.. e u Capu ci richiamava senza poi troppa convinzione perchè sapeva che da lì, ormai, non si comandava più niente. Quelle leve erano tutto quello che era rimasto dei vecchi scambi che portavano al terzo binario, quello che serviva un tempo a caricare i treni merci di limoni, il prodotto più conosciuto di Favazzina! 'U Capu si alterava soltanto alla presenza di Tempesta, chissà come mai...
A proposito di Tempesta ricordo un episodio che conferma ancora di più la sua fama:
si tornava da scuola con il treno e, nei pressi dell'ultima galleria, ci alzammo tutti per accingerci alla discesa; Tempesta, nell'attesa del rallentamento del treno, giochicchiava con l'estintore fingendo di puntarlo verso di noi. Io ero davanti a lui e gli dicevo "tempesta 'a finisci mi fai traficu?". Il treno intanto si stava fermando in stazione! C'è da aggiungere che a quei tempi io andavo in giro vestito quasi sempre di nero, a mò di metallaro.. Questa cosa, riflettendoci a distanza di tempo, ispirò molto tempesta perchè nel giro di pochi secondi, con il sorriso sparato in faccia e con la più spontanea naturalezza tolse la linguetta e fece partire una spruzzata di estintore micidiale. Io non riuscii più a vedere niente per qualche minuto, e dopo essere sceso dal treno me ne tornai a casa accompagnato dalle risate di Tempesta e da un nuovo look che andava decisamente sul bianco......

Ritornando però alle espressioni artistiche presenti alla stazione vorrei ricordare che per tutti gli anni '90 era una sola la scritta (oggi armai sbiadita e confusa tra le altre) che dominava la parete della stazione. Vediamo se riuscite ad intravederla:





Era questa comunque:

LARA E PISQUI VI AMIAMO DA IMPAZZIRE!


Forse nessuno lo sa ma, dopo anni e anni in cui ci siamo chiesti chi mai avesse scritto questa dichiarazione d'amore, solo poco tempo addietro è saltata fuori la verità! Le due dolci donzelle, per anni protagoniste indiscusse 'ntò muru ra stazioni ed oggi non più in tenera età, hanno confessato:

"siamo state noi.."



Milano e la stipsi

L'episodio risale ad un'estate dei primi anni '90.
Un gruppo di giovani Favazzinoti seduto in piazza ascolta da un loro coetaneo, recentemente trasferitosi a Milano, le meravigliose opportunità che offre la capitale lombarda. I fimmini, i locali notturni, i centri commerciali....
Un sempre più perplesso cumpari V. 'u Mu**u assiste alla discussione finchè con calma serafica commenta:
" a prima vota chi jaja a Milanu non cacaia pi 15 jorna"

sabato 20 ottobre 2007

Al mio paese

Distesa, con le spalle a Brancatò,
di fronte a te si estende il mare.
Nessun poeta mai di te cantò,
cosa che invece è doveroso fare.
A destra, oltre l'omonimo torrente,
arrivi fino ai piani di Samperi.
Vi trovi, solo, della brava gente
piena d'orgoglio e sentimenti veri.
A manca, passata Favagreca,
dove riposano i defunti,
chi verso la si reca,
si trova, in un baleno, Suttafrunti.
Qui io sono nato, sotto il sole,
e ho imparato ad amare il mare,
da qui, col cuor che ancor mi duole,
un dì, me ne dovetti andare.
Penso ai limoni con le verdi foglie,
lontano in una grigia palazzina,
vorrei lasciare a te queste mie spoglie,
ti amo, o mia dolce Favazzina.


Domenico Velardi

Favazzina... la Venezia del sud!

Quale dei tanti personaggi mitologici favazzinoti
mettereste come gondoliere?



U Banner

Ho provato di nuovo a modificare il banner.... li per li non mi sembrava male, ma poi una volta inserito.... non c'è niente da fare.... non mi piace e non riesco a fare di meglio. A dire il vero l'avevo pensato con lo sfondo verde (chissà perché, ma è un colore che mi fa pensare a Favazzina), ma poi non stava bene con il resto dei colori. Ho provato a modificare anche quelli, ma poi sembrava il blog di dolce e gabbana!

Datemi una mano!! provate a tirare giù qualcosa con photoshop e postatelo! Io proprio meglio di così non riesco fare!

Galanti, visto che sei bravo con le foto te la cavi anche con la grafica? Vedi se puoi fare qualcosa che Malumbra non si movi!

venerdì 19 ottobre 2007

Help !

Chi di voi ha info su questo gruppo?

http://it.youtube.com/watch?v=TVmJhk89DDs

Penso di aver sentito da qualche parte anche una loro versione di Purple Haze di Jimi Hendrix.

La nostra Favazzina...

Raffaele e u fantasma

Con questo post voglio sottoporvi una storia un po' particolare della quale mi è arrivata soltanto la versione leggendaria, ma non sono riuscito mai a sapere come in realtà andarono i fatti. Il problema è che i personaggi coinvolti non è che siano la massima espressione dell'affidabilità narrativa e, negli anni, hanno fornito le versioni più disparate degli eventi! Considerando il fatto che di solito le leggende favazzinote contengono sempre un fondo di verità conto, con i vostri commenti, di riuscire a ricostruire una versione perlomeno plausibile.
Verso la fine degli anni '80 andava di moda la passeggiata notturna al cimitero. Tale prova di coraggio rappresentava un gradino essenziale nel riconoscimento sociale di chi si fosse avventurato.
Il nostro Raffaele, in occasione di una delle passeggiate notturne, iniziò a dire "ma cosa cazzo ci vuole.... siete dei cagasotto.... mica come me..... è come andarci di giorno...." il gruppetto dei convenuti, che annoverava tra gli altri Pelè e Gino P*, cominciò: "dai, allora andiamo tutti e tu che sei coraggioso entri dentro al cimitero, facci vedere quanto sei coraggioso!".
Raffaele, di fronte ad una sfida così plateale non poté più tirarsi indietro! Nel frattempo Pelè, opportunamente travestito da fantasma, si infilò in una tomba vuota (e già questo mi sembra abbastanza improbabile). Arrivati al cimitero, Raffaele, più volte invitato dagli altri, entrò da solo nel cancello e vide uscire dalla tomba l'orrido simulacro di Pelè travestito da fantasma. Fù tanta la paura che svenne. Subito tutti gli altri gli andarono sopra per cercare di rianimarlo, ma quando riprese conoscenza, vedendo il "fantasma" sopra di lui (Pelè era ancora camuffato) svenne di nuovo.
A questo punto Gino P* ebbe l'idea: presero Raffaele svenuto, lo portarono in spiaggia e li lo abbandonarono tornandosene tranquillamente al bar ru magu!
Dopo qualche ora Raffaele rinvenne e si precipito al bar dicendo di aver visto un fantasma e di essersi ritrovato in spiaggia, ma i bastardi negarono tutto facendolo passare per pazzo!
Ora le domande sorgono spontanee... come si era vestito Pelè? Possibile che Raffaele non avesse fiutato niente di strano? E la storia della spiaggia? Lascio a voi le risposte!

giovedì 18 ottobre 2007

Quiz

1) Con quale nome debuttò il gruppo musicale di Malumbra e Magù alla 1^ edizione della "Sagra del Limone" ?
2) Chi coniò quel nome?
3) Nottetempo qualcuno cancellò quel nome dalle locandine pubblicitarie sostituendolo con un altro.Con quale ?
4) Chi fu il tecnico delle luci?

...ma soprattutto

5) Chi gestì, tramite un sistema di tiranti e ingranaggi (tipo Willie Coyote), il movimento della girandola a specchi riflettenti che campeggiava al centro della scenografia?

Indovinello 3


Naccheru..........??





.............................!!!




mercoledì 17 ottobre 2007

Indovinello 2



Naccheru....?






...................!!!





martedì 16 ottobre 2007

Tempesta e il dilemma dei finocchi

Natale 1990.
Quell'anno avevamo organizzato presso l'asilo un pranzo per gli anziani che vivevano da soli.
Come al solito c'era un gran casino e Tempesta faceva la spola tra la cucina e la sala da pranzo creando più danni che benefici.
Ad un tratto fu assalito da un dilemma cosmico e alludendo alle inclinazioni di uno dei partecipanti chiese:

"Suor Angela cu i purtau i finocchi? Roccu u F***cisi?

A propositu che fini fici Roccu u F***cisi?

Indovinello:

'Naccheru........?






......................!!!



domenica 14 ottobre 2007

La caccia al tesoro

Memorabili a Favazzina le numerose edizioni della caccia al tesoro organizzate da noi grezzi! Tutto nasceva nei caldi pomeriggi d'estate ma il meglio veniva fuori nelle lunghe notti passate sutta o ficu ru Grecu.
Mentre noi ci facevamo il cervello in quattro per trovare le rime degli indovinelli, 'u bambinu poetizzava concretizzando poco e niente; per lui "poetico" è sinonimo di interminabile... come le barzellette!

Celebri erano le varie illustrazioni in cui si celava un percorso indicato da un certo numero di passi, svolte a destra e sinistra, un anagramma o un rebus. Vi erano raffigurati vari personaggi di Favazzina disegnati dal nostro Greco (all'epoca molto ispirato). Chi saranno mai i due personaggi qui sopra?



E questi seduti con il cane (da notare la matita)?






















E il personaggio con la bacchetta magica e il vestito ornato di $ $ $?


E questo qui sotto che suona la chitarra?





















Tutto questo era racchiuso dentro la cosiddetta Mappazza!
Qui alcuni esempi:

























Come dimenticare i momenti notturni in cui si nascondevano i biglietti per non farsi vedere, u Scibbalocchiu che si cacava addosso quando c'era da andare al cimitero... "Tenimi ru brazzu chi mi schiantu"!
I partecipanti avevano diritto ad usufruire di 5 aiuti solo, però, dopo aver bevuto un buon bicchiere di vino per ciascun aiuto ed aver dato un morso al panino 'ca cutuletta consegnato da ogni squadra al momento dell'iscrizione.
Non possiamo dimenticare la scena in cui Rocco ra palasia si ubriacò sacrificandosi per la squadra che non riusciva a trovare il biglietto. Furono costretti a chiedere 3 aiuti uno dietro l'altro e Rocco, munito di fascia da samurai in testa, tornava dalla spedizione a mani vuote e beveva a malincuore.
Oppure la scena in cui una squadra, dovendo portare un piatto di spaghetti col sugo ben cotti come pegno finale per la vittoria, dovette consumarlo in piazza per dimostrarne la commestibilità . Vinsero loro ma... mangiarono con gli occhi chiusi, accompagnando gli spaghetti con molto vino e qualcuno allontanandosi nauseato dal piatto confessò: "erano nel cestino della spazzatura! per arrivare prima li abbiamo raccolti e conditi con un pò di passata che era nel frigo...!!!!".

Mentre il sole di Favazzina ci sorride vi lascio con questo memorabile biglietto:



'A MALAFIMMINA

Non giudicate mal la mia condotta,
diedi la luce a tanti e fui... forzata!