Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

sabato 27 ottobre 2007

Roccu l'americanu

Uno dei personaggi mitici, per quelli della mia età, vissuti a Favazzina è stato sicuramente "Roccu l'americanu". Un tipo strano, controverso, ma che nel bene o nel male è stato un punto fermo nella nostra adolescenza. Attreverso due episodi due episodi tratti dal mio libro "La casa bianca", la sua casa, ho voluto tracciare un profilo divertente e far sapere anche a quelli più giovani di me che tipo era. Poichè anche se non l'hanno conosciuto sicuramente ne avranno sentito parlare.

".....Le sere quando non andavamo a prendere i ceppi, io, Peppe, Enzo e u Longu, sovente ci trovavamo a casa dell'americano a giocare a carte. L'americano in realtà era uno del nostro paese. Era emigrato in America da giovane in cerca di fortuna, seguendo l'esempio di molti compaesani, primo fra tutti mio nonno Domenico. Poi tra un ritorno e l'altro, aveva trovato il tempo di spo-sarsi, con una donna del paese e di fare due figli. Infine avuta la cittadinanza americana, dopo l'ennesimo ritorno era ripartito per l'America con tutta la famiglia. Vi era rimasto più di trent’anni, poi separatosi dalla moglie, aveva abbandonato sia lei che i figli ormai grandi, e aveva fatto ritorno in paese definitivamente. Le malelingue dissero che era stata la moglie a cacciarlo di casa, stufa delle continue stramberie di lui, ma nessuno sapeva veramente come erano andate le cose laggiù. Di una cosa però eravamo certi, l'americano era un tipo strano per davvero. Aveva trovato una casa in affitto nel vicolo, dove fino ad un paio di anni prima abitava Carmela, quasi di fronte a quella di mastro Natale, appena più in giù, ed era una casa molto vecchia abbandonata da anni. La stanza al pianterreno era al disotto del livello della strada e per accedervi, bisognava scendere due gradini. Il pavimento era privo di piastrelle ed il fondo della stanza era reso liscio da una gettata di cemento. L'arredamento era davvero misero, ed era composto da un vecchio tavolo sgangherato, sei sedie con l'impagliatura sfilacciata e una vetrina cigolante che stava in piedi per miracolo. Il cesso come in tutte le vecchie case era ricavato nel sottoscala, ed era celato da una parete di assi, che una mano di calce aveva tentato in qualche modo di rendere bianche. La cucina era in muratura e funzionava a legna, una delle poche ancora rimaste in paese, ma l'americano non la usava mai. Lui era sempre in giro a scroccare un pasto ad amici e parenti, ed anche a casa mia aveva mangiato più di una volta. Quando invece gli andava male, si recava a Scilla in una trattoria di un suo vecchio amico, oppure se era costretto a rimanere a casa, consumava di solito due o tre panini con l'affettato. La scala di legno portava al piano di sopra, nella stanza da letto, più spoglia della prima. Addossato a una parete vi era il letto, con ancora le sponde di ferro battuto e il materasso imbottito di crine. Inoltre una sorta di armadio e una sedia per appoggiarvi i vestiti tolti, prima di andare a letto. Per uno che aveva vissuto a New York, non era certamente una sistemazione decorosa. Ma era solo una locazione temporanea, poiché egli aveva già in mente di costruirsi una nuova casa.
Enzo bussò alla porta energicamente.
«Chi è?» udimmo l'americano chiedere dall'interno.
«Siamo noi» rispose Enzo.
«Entrate è aperto » ci stava aspettando.
«Buona sera cugino Rocco» Peppe lo salutò affettuosamente.
«Buona sera» salutammo anche noi.
«Buona sera, buona sera, sedetevi!» ci invitò, indicandoci le sedie
«Avete cenato?» gli chiesi
«Si! Ho appena finito». Sul tavolo vi era ancora la tovaglia cosparsa di briciole di pane e un piatto con dentro delle bucce di mela. Inoltre vi erano un coltello, un bicchiere e una bottiglia di acqua minerale Sangemini.
«Avete voglia di farvi una partita a carte?» Enzo gli domandò
L'americano era un giocatore accanito e sebbene morisse dalla voglia di giocare gli piaceva, ogni volta, farsi pregare.
«A cosa giochiamo?» chiese a sua volta, il richiamo era forte.
«Vi va bene a Stop?»
«OK! Due orette però»
Rispondeva sempre così, poi se vinceva era capace di tenerci lì fino all'alba. Viceversa se perdeva, dopo un po’ trovava una scusa e ci mandava via.
Sparecchiò e noi prendemmo posto attorno al tavolo. Egli si mise a capotavola, Peppe alla sua destra, io alla sua sinistra, di fronte Enzo, tra lui e me u Longu.
L'americano quella sera aveva una fortuna sfacciata, le carte gli giravano per il verso giusto e vinceva spudoratamente. In quelle occasioni era sempre molto allegro e diveniva oltremodo generoso. Durante una pausa del gioco si alzò e si avvicinò alla vetrina, l'aprì, prese un piatto e vi mise alcune stecche di torrone, delle susamelle e delle pittipì, si volse e lo posò in mezzo al tavolo. Poi ritornò alla vetrina e vi prese una bottiglia di Johnnie Walker, il suo whisky preferito, e cinque bicchieri.
«Servitevi!» ci invitò.
«Grazie cugino Rocco, si vede che siete un americano»
Peppe non perdeva mai l'occasione per fare lo spiritoso.
«Vaffanculo!» gli rispose sorridendo.
Mangiammo, bevemmo e fumammo l'ennesima Marlboro. Io e Peppe non eravamo fumatori accaniti come gli altri, ma quando giocavamo a carte, anche noi esageravamo col fumare. La stanza oramai era pregna di fumo e la gola mi bruciava parecchio. Desiderosi di rifarci riprendemmo a giocare, ma la fortuna non aveva ancora smesso di arridere all'americano, ed egli seguitava a vincere. Il clima era disteso e vi regnava una certa allegria, soprattutto per merito suo, noi facevamo buon viso, ma dentro di noi l'invidia ci rodeva, e i miei pensieri, di sicuro, erano uguali a quelli dei miei amici «Che culo che ha stasera l'americano!».
Quel giro toccava a me fare il mazzo, ed ero intento a scozzare le carte. Stavo per distribuirle, quando l'americano pose la sua mano sulla mia e mi impedì di continuare.
«Aspetta a dare le carte, vado un momento al cesso» mi disse.
Si alzò e lasciò le sue monete tutte sparse sul tavolo, evidentemente voleva dimostrarci che si fidava di noi.
«D'accordo, fate pure» risposi e mi arrestai.
Appena la porta del bagno si chiuse alle sue spalle, Peppe sottovoce esclamò «Minchia! Avete visto che culo?»
«Se va avanti così finisce che ci lascia in mutande» aggiunsi.
«E' meglio che ce ne andiamo » consigliò u Longu.

«Facciamo ancora qualche mano, magari la fortuna cambia». Enzo non voleva arrendersi e ci esortava a rimanere. Peppe nel frattempo era come ammaliato e guardava con bramosia le monete poste lì sul tavolo, buona parte del nostro denaro perso. Ebbe un movimento repentino, allungò una mano, appoggiò un dito su una moneta da cento lire e la spostò tra le sue. Di sicuro fece quel gesto per scaramanzia, per trasferire la fortuna dalla sua parte, poiché cento lire non avrebbero cambiato certamente la sua situazione. Nessuno di noi ebbe il tempo di dirgli niente, anche perché, proprio in quel momento, la porta si aprì e l'americano ritornò al suo posto. Io intanto avevo ripreso a scozzare le carte e appena lui si sedette le distribuii. L'americano rimase impassibile, ignorò le carte e continuò a fissare le monete davanti a lui, da quando si era seduto non aveva fatto altro. Poi tirò su la testa e ci guardò, scrutò attentamente le nostre facce e indicando le monete disse «Qui mancano cento lire, chi le ha prese?»
Rimanemmo di sasso, poiché nessuno di noi poteva immaginare che se ne sarebbe accorto. Vi fu un attimo di silenzio imbarazzante, durante il quale pensai «Minchia che furbo! Prima di alzarsi aveva contato i soldi, altro che fiducia».
Dall'espressione che vi era sul volto dei miei amici, capì che anche loro stavano pensando la stessa cosa. Peppe fu il primo a riprendersi dallo sbigottimento e mentì sfacciatamente.
«Cugino Rocco ma cosa dite? Figuriamoci se in casa vostra vi rubiamo i soldi. Vi sarete sbagliato». Sapeva di essere in colpa e cercava di giustificarci giocando sull'equivoco.
«Non mi sbaglio affatto. Io so quanti soldi vi erano prima di andare al cesso, e ora mancano cento lire. E' inutile che cerchi di farmi passare per fesso»
La faccenda aveva preso una brutta piega e non si intravedeva una soluzione possibile poiché, se da una parte l'americano insisteva nell'accusarci, dall'altra ne io e tanto meno Enzo e u Longu, mai avremmo tradito Peppe, visto che lui non aveva ammesso di avergli preso la moneta. Tentammo allora di rabbonirlo, dicendogli che era probabile si fosse sbagliato nel contarle, che mai avremmo fatto una cosa simile ad uno come lui.
«Ho capito siete tutti d'accordo. Siete dei ladri, dei porcarusi» ribatte alquanto alterato alle nostre giustificazioni. Enzo era un tipo abbastanza irascibile e non permetteva a chicchessia di offenderlo, inoltre sapendo di non avere colpa, alle parole dell'americano reagì.
«Non vi permetto di darmi del ladro e nemmeno del porcaruso» e disse questo alzandosi in piedi, fronteggiandolo. L'americano interpretò le parole e il gesto come una minaccia e livido in volto ci spinse verso la porta urlando come un forsennato «Fuori! Fuori di qui!». Poi come parlando a se stesso aggiunse «Ma tu guarda se una pisciata in casa mia mi deve costare cento lire. Non pago quando vado ai gabinetti pubblici a Reggio e devo pagare a casa mia».
Io, Peppe e u Longu trattenendo a stento le risa ci dirigemmo alla porta. Enzo invece era arrabbiato, non gli andava di essere trattato in quel modo e in più gli bruciava che l'americano lo buttasse fuori casa.
«Vi lascio perdere perché siete una persona anziana e ho rispetto, altrimenti non finiva così» e glielo disse guardandolo dritto negli occhi.
«Perché mi vuoi picchiare? Mi rubate i soldi e mi volete pure picchiare» continuò a sbraitare, esagerando naturalmente e coinvolgendo anche noi, che seguivamo la diatriba in silenzio.
«Dai Enzo andiamo! Finiscila!» lo afferrai per un braccio e lo trascinai fuori di lì. Appena fummo in strada Enzo aggredì Peppe verbalmente
«Sei uno stronzo! Che minchia gli hai preso a fare le cento lire!»
«Non so perché l'ho fatto, è stato un gesto istintivo, mi dava ai nervi che continuasse a vincere» cercò di giustificarsi.
«Così ci ha mandato via e non ci siamo potuti rifare» io dissi, un poco dispiaciuto per i soldi persi.
«Sarà per la prossima volta, tanto vedrete che domani ci richiama ».
Conoscevamo bene l'americano e il suo vizio per il gioco.
«Certo che quando ha detto che una pisciata a casa sua gli è costata cento lire, mi ha fatto morire dal ridere» disse u Longu, e di nuovo sorrise ripensando alla scena di prima.
«E vi ricordate quella volta al mercato? Quando doveva comprare le zucchine e all'ortolano chiese le cucuzzelle?
«E quando è andato a Montecatini? Che in italiano era convinto si chiamasse Montecatene?»
«E quella volta a Reggio, quando stava per essere investito da una macchina? E lui per evitarla raccontava «Fici uno zumpo nell'atmosferio e caria supra lu motorio».
(Feci un salto in aria e caddi sopra il motore, sul cofano).
Ridendo come matti ci dirigemmo in piazza e ricordammo tutti gli aneddoti nei quali l'americano era stato protagonista, e che oramai erano entrati di diritto nella leggenda del paese.

3 commenti:

Galanti ha detto...

Grazie Spusiddha,
la tua scrittura ha un tocco di neorealismo.
La tua partecipazione ha arricchito questo blog

u Grecu ha detto...

Grazie anche da parte mia per avermi fatto conoscere un personaggio del genere che ricordavo solo in maniera approssimativa. Ma che Roccu l'americanu suonava anche la chitarra? Mi sembra di ricordarlo così, ma non ne sono sicuro.

Olivia ha detto...

Mi hai riportato il ricordo di un vecchi nonno,un po' ambiguo e bizzarro ma a suo modo aveva un'attenzione molto tenera con me e mio fratello,simpatiche le storie che hai raccontato,molto realistiche...
Di quell'uomo ricordo due cose
in particolare,lo strinpello di una chitarra mal suonata e la puzza di fumo che lo avvolgeva....
Mi ricordo che il suo funerale e' stato il giorno del mio ottavo compleanno (8 FEBBRAIO) e che per giorni mi sono seduta fuori dal suo portone come in attesa del suo ritorno ,lui era contento quando mi vedeva giocare fuori dal suo portone lo ricordo con molta dolcezza....SICURAMENTE ERA UN GRAN PERSONAGGIO...da ricordare e tu non hai rivali nel farlo...complimenti
CIAO SPUSIDDA
SONO ALESSANDRA alias Olivia