Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

lunedì 31 maggio 2010

Scostumato

Uno di questi giorni doveva succedere, però credetemi si tratta solo di una banale barzelletta,
uno scambio di battute tra uomini niente di più.
Non c’è nessuna volontà di aprire una chat hard dopo le undici di sera.
Semmai capitasse ancora, dovete avere pazienza e sopportarci.

venerdì 28 maggio 2010

Lo snob

Ponente e libeccio si sposavano e generavano onde alte e piene che sommergevano il primo molo da una parte all'altra, non si poteva pescare.
O meglio, si poteva pescare alla base del molo, adottando la tattica della fuga, quando arrivava l'onda forte, si scappava con la canna in mano altrimenti si rischiava di essere scaraventati in mezzo ai massi.
Un peccato perchè era il mare ideale per la pesca al sarago, ma prima le onde e poi la risacca, facevano scomparire il galleggiante sbattendolo contro gli scogli.
Stanchi di scappare, io, il Maestro e mio zio Bruno, seduti all'asciutto in prossimità del molo, parlavamo del più e del meno in attesa che la furia delle onde si attenuasse.
Lo snob arrivò con un fuoristrada, antenato dei SUV, sbarcò canne, cascitti, esche, coppi, e con nostro grande stupore, una seggia da pesca, mai vista a quei tempi, completa di poggia canna, schienale, braccioli, quasi una poltrona da pesca.
Anche mio zio Bruno, ormai anziano, aveva una seggia da pesca, ma era quella rubata in cucina, mezza spundata e riadattata alla bisogna.
Lo snob ci passò accanto senza degnarci di uno sguardo e si diresse verso la punta del molo, occupando il posto migliore.
:- M'aundi cazzu vai chistu ? è pacciu ? - chiesi agli astanti
:- Fatti i cazzi toi - mi risposero in coro
Il mare, grandissimo ruffiano e traditore, di fronte ad un professionista così equipaggiato, s'era lisciato, mancu un cavalluni, calmeria, bonaccia.
Lo snob aprì la sedia quasi poltrona, tirò fuori dal portacanne una delle tante, aggiunse la lenza, preparò le esche, allungo il coppo, poi si sedette e si mise tranquillamente a pescare, rivolto verso riva, lato caserma.
Snobbava pure il mare dandogli le spalle, s'interessava solo al suo galleggiante color rosso Tiziano.
Ma puttanazza ra palazza, era mai possibile ? na matinata i fuitini a scappazoccola, cumbinati micciu, arriva chistu si pigghia u megghiu postu e pisca ?
Il mare non sopporta gli snob
La prima onda si portò via l'attrezzatura compreso il coppo, la seconda si portò pure lui compresa a seggia, la terza lo sciacquò a riva ancora seduto.
Poi gli restituì quasi tutta l'attrezzatura.
Il malcapitato si rimise sul fuoristrada e andò via.
Vi chiederete :- Perchè non l'avevate avvisato del pericolo ? -
Non ce l'aveva chiesto
E poi, un bravo pescatore, quandu c'è punenti e libici, non varda sulu u galleggianti, mancu se è color rosso Tiziano, mancu se a postu ru galleggianti c'era Ornella Muti e so tempi, chi si faciva u bagnu, nuda.
Lo sanno bene i marinai, il mare piazza sempre trappole per divertirsi, poi ti lascia andare, si deve prima divertire un pò, diventa cattivo quando non si diverte più.

giovedì 27 maggio 2010

Play off.....

caro arcade... grazie per il paragone a MILITO.... ma o sugnu megghiu o rassa stari... ;)
solo per informazione alla fine la FAVAZZINA BEACH ha chiuso al settimo posto in classifica,ieu i me 11 goals mi tiraia... e sabato pomerg. alle 18 e 50 vi voglio tutti collegati su SKY sport 1 dove daranno in diretta MONDIALE la partita di PLAY OFF FAVAZZINA BEACH - BAGNARA IUNAITED . ancora una volta na squadra bagnarota ndi voli impediri mi iamu avanti !!!! la snai da la nostra vittoria a 150 ... ma mi ndifuttu!!!!! per la FB niente è impossibile e lo dimostreremo sabato!!!!! perlomeno ci proveremo!!!!!
I convocati :
U GRECU-BELLUEPOSSIBILI-IL FIORE- IL MARZIANO-IL TAVY-BY SULANU-IL NEGRETTO-U FERROVIERI- U MARISCIALLU comi o solutu avi ancora a confermare - e udite udite IL PRINCIPE ma anke lui ancora deve confermare! e in fine U MISTER... non poti mancari... anche perchè ha segnato a tutte le squadre bagnarote!!!!! continuera con la tradizione???????

PS: ...scommettete liberamente!!! se scommettete per loro non ndi findimu!!!! anzi... ndi scialamu mi vi facimu perdiri i sordi!!!!

BY il mister... .

La pesca subacquea

Questa è una delle tante "storie 'i Favazzina", vissuta e raccontatami da mio padre, la scrivo come l'ho sempre ascoltata da lui.

Fin da quando ero ragazzino mi appassionava la pesca in ogni sua forma, allora i mezzi per praticarla non erano molto sofisticati anzi capitava spesso tra noi ragazzini di costruirceli da soli, come ad esempio le fiocine.
Bastava recuperare una canna, la si incideva ad un'estremità, successivamente si prendeva 'na broccia (una forchetta) e battendola con una pietra la si faceva diventare diritta; fatto ciò la si inseriva nell'incisione fatta precedentemente sulla canna e veniva poi fissata ad essa tramite uno spago, di quelli che si usavano per fare gli stoppini delle candele. La fiocina era pronta, si trattava solo di prendere dimistichezza nell'usarla, qui ognuno ci metteva del suo.
Successivamente, inventai l'evoluzione della fiocina di canna e forchetta prendendo spunto dai primi fucili subacquei allora in commercio. L'invezione, in realtà, era composta dal mio stesso avambraccio, corrispondente alla parte fissa del fucile e da un'asta parte mobile posizionata lungo quest'ultimo, di ferro, cilindrica, su cui era saldato ad un'estremità il tridente; più arretrato, in basso, un piccolo gancio serviva per trattenere l'asta stessa con le dita indice e medio, una sorta di grilletto non per pressione ma per rilascio; infatti, un pezzo di caucciù veniva fissato da un lato ad un occhiello ricavato dall'incurvamento della parte terminale dell'asta su se stessa, dall'altro al pollice, tendendosi così rendeva l'arma artigianale carica e, al solo rilascio di inidce e medio, pronta a sferrare il colpo ad un'ipotetica preda.
Il mio equipaggiamento subacqueo si completava con maschera e pinne regalatemi dal mio caro zio Diego fratello di mia madre, nonchè nonno di Romanaccia, entrambe di marchio Pirelli, colore nero. La maschera copriva occhi, naso e anche la bocca e si continuava con un tubo la cui posizione, parallela alla parte superiore del cranio, era stata studiata appositamente per consentire la respirazione con l'inclinazione della testa atta a scrutare il fondo del mare. Infine le pinne, anche queste come la maschera, diverse da quelle odierne, erano state concepite con annessa una camera d'aria che non consentiva il loro affondamento in caso di scivolamento accidentale in acqua; non coprivano il tallone ma si legavano con delle conghiette alla caviglia e ciascuna pinna presentava un profilo asimmetrico che andava aumentando procedendo dall'interno verso l'esterno del piede; la simmetria veniva raggiunta accostando i piedi l'uno all'altro, si veniva così a ricreare un profilo simile, se non del tutto uguale, alla pinna caudale omocerca dei pesci.
In quel periodo andavo spesso a pesca con Nino, fratello di Italo, ed in una delle nostre uscite trovammo un vero fucile subacqueo adagiato sul fondo del mare non molto distante dalla riva favazzinota, probabilmente reperto presente sull'imbarcazione di alcuni "furisteri" che era stata capovolta dal mare grosso di qualche giorno addietro. Il fucile da me inventato era veramente poca cosa a confronto e si decise quindi di utilizzare a turno il "ritrovato".
Quella mattina il cielo era terso, il mare calmo e l'acqua di un cristallino indescrivibile. Ci calammo dalla spiaggia di fronte l'ex caserma, Nino aprì le danze utilizzando per primo il fucile, io lo seguivo.
Una volta in acqua ci dirigemmo verso nord-est, direzione Bagnara, perlustravamo nuotando affiancati ma ad una distanza l'uno dall'altro di circa 15 metri, io più sottocosta rispetto a Nino e ogni tanto alzavamo la testa per verificare di entrambi la posizione. Arrivammo nel tratto di mare in corrispondenza della foce 'ra sciumara, lì l'acqua diveniva gelida, il fondale era letteralmente tappezzato di grosse pietre ricoperte da una fitta vegetazione, trascinate fin lì sicuramente dalla forza dell'acqua della fiumara durante le sue piene. Entrambi sapevamo che quello poteva essere un fertile terreno di pesca, perciò continuammo a perlustrare con più attenzione di quanto non avessimo fatto prima.
Intento a guardare ora a destra, ora a sinistra ora sotto di me, udii l'inconfondibile rumore emesso dal fucile che spara sott'acqua la fiocina, Nino aveva sparato a qualcosa. Alzai la testa fuori dall'acqua convinto di vederlo, ma nulla, di Nino nemmeno l'ombra, aspettai ancora qualche secondo ma egli tardava a riemergere. Di istinto cominciai a nuotare velocemente nella sua direzione e ad un certo punto vidi adagiato sul fondo il fucile, senza fiocina, più in là Nino testa all'ingiù lottava disperatamente per liberarsi dalla morsa di un polpo enorme che con i suoi lunghissimi tentacoli gli aveva completamente avvolto spalla e braccio trattenendolo e non consentendogli quindi di riemergere.
Ricordo che a quella vista rimasi esterrefatto, non credevo ai miei occhi, ma non c'era tempo per lasciarsi andare ad emozioni, bisognava agire, dovevo aiutare Nino. Pensai che lì sotto, la profondità era di circa 10 metri, mi sarebbe servita aria, tanta aria, e così dopo aver fatto un gran respiro, trattenni il fiato e mi immersi senza in realtà sapere esattamente cosa fare. Raggiunto il polpo, che da preda ambiva a diventare predatore, cercai di afferrarlo e con non poca fatica riuscii ad infilare le dita sotto la sua testa, vicino al sifone, ma nonostante tutto non accennava minimamente a mollare la presa. Allora istintivamente ricorsi ad un vecchio metodo che chiunque di voi sicuramente conosce se non per averlo praticato, quantomeno per sentito dire, e cioè 'a muzzicata ammenzu all'occhi ru pruppu.
Guidato dalla forza della disperazione serrai forte i denti e contemporaneamente, facendo trazione con le dita sulla testa del cefalopode, puntai i piedi sul fondale dandomi una spinta verso l'alto.
Al di là di ogni fervida immaginazione accadde proprio l'inimmaginabile, tranciai letteralmente la testa del polpo. Ricordo perfettamente l'immediato cambiamento di colore del mollusco, da vivido a spento, a segnare il passaggio da una condizione ad un'altra, irreversibile.
Riemergemmo portando con noi la preda, Nino in più, portò sul corpo i segni di quest'avventura, gli sarebbero rimasti per parecchi giorni.

mercoledì 26 maggio 2010

Input Estivo

Un Mese di maggio, dal punto di vista del clima non tanto soleggiato, almeno dalle mie parti, e di acqua ne ha avuta tanta anche troppa.
Mettiamo di avere voglia di andare via, di staccare la spina, di scappare dalla città per andare a trascorrere tre, quattro giorni al mare.
Mettiamo di volere andare a Favazzina, mi dico: sfatiamo subito il mito che è lontano.
In quindici minuti sono a Bergamo, un’ora e mezza sono a Lamezia, taxi-stazione, un paio d’ore sono al mare del mio paese.
Non è poi fuori mano. Senza macinare km e fare file interminabili per raggiungere Jesolo oppure Monterosso. Che ve ne pare?
Spiaggia desolata, qualche pescatore annoiato sul molo.
Adagiati sulla riva due o tre gabbiani
E dietro come sfondo la natura del nostro mediterraneo con colori e profumi esaltati dalla luce del sole. Per finire tutto accompagnato dalla tradizionale cucina paesana: fave e piselli, pescespada alla griglia, stocco à ghiotta ecc. CIAO

Il Principe

Non sono sicuro di essere argentino, non possiedo nemmeno una goccia di sangue italiano (J.L.Borges)

Dovesse dipendere la mia vita da una giocata, la sorte in un unico tiro, una puntata in porta, mi dicessero scegli tra i migliori, questo è permesso, giocatori acrobati ballerini, brasiliani uruguagi cileni e, di questo emisfero, portoghesi spagnoli francesi, l'affiderei, se ci fosse, a un calabrese antico, a un italiano andato all'altro mondo, nei due sensi, come mio nonno paterno sepolto in Argentina.
M'immagino che farebbe questo, e forse l'ho visto fare, calpestando il prato della pampa, un marciapiede della Boca, dentro un bar a Recoleta.

Scende il principe a cercare l'antagonista, sghembo l'affronto, asimmetrico, ritrae il passo e taglia in diagonale secco, rientra contro l'avverso e come s'avvicina pure s'allontana spostando il baricentro, disassato il corpo, scarta e affonda, rasoiando, l'ultima mossa del tango. E corre, esulta, verso quelli che come me hanno avuto salva la vita, ora è felice un attimo prima che sia triste.
Lo sa, lo sa, si vince contro uno che perde e dell'uno e dell'altro la sua faccia l'emozione comprende.




Diego Alberto Milito è nato a Bernal, cittadina a pochi chilometri da Buenos Aires. Suo nonno paterno, Salvatore, nacque a Terranova da Sibari, Cosenza, Calabria, Italia. Diego è soprannominato El Principe. Non sa ballare il tango. (Wiki)

lunedì 24 maggio 2010

Il gabbiano

Avevo fatto la mia solita nuotata e tornato a riva mi ero steso su un masso a prendere il sole. Poco lontano da me, su un altro masso, vi era il solito pescatore della domenica, riconoscibile dell’armamentario che possedeva: giubbetto verde (nonostante il caldo), strapieno di tasche, canne di tutte le dimensioni, valigetta con ami, piombi, moschettoni e pilivermo di vari diametri e per finire carniere in metallo estensibile.
Mica come u Longu, pagghiolu e canna!
Più che pescare faceva una confusione indescrivibile, sparpagliando esche sui massi e ruccandu in continuazione, un vero disastro!
Quando gli parve di averne combinato abbastanza, tirò su tutto il suo armamentario e se ne andò, promettendosi (maricchieddi nui) che sarebbe ritornato la prossima domenica, lasciando li sul masso esche ancora vive, scatole vuote, pezzi di pilivermio e buste varie.
Un gabbiano, attirato dalle numerose esche, arrivò in picchiata e felice per tutto quel ben di Dio, si mise a banchettare allegramente.
Quel c….. a parte quello già descritto, aveva lasciato anche un pezzo di lenza rotta con l’amo e l’esca ancora attaccata.
Io non mi ero assolutamente accorto della lenza e mi gustavo il gabbiano che divorava i vermi voracemente. Quando lo vidi avvicinarsi e ingoiare amo ed esca era ormai troppo tardi.
Rimase come sorpreso e smise di beccare le altre esche iniziando a dimenare la testa nel tentativo di liberarsi del pilivermo che gli usciva dalla bocca.
Pareva smarrito e dopo vari tentativi purtroppo inutili, stanco di dimenare la testa, si girò a guardarmi con una faccia stupita, come a chiedermi cosa gli fosse successo.
Mi faceva una gran pena e mi avvicinai piano, piano per non spaventarlo e per cercare di aiutarlo, anche se in verità non sapevo cosa avrei potuto fare.
Lui dapprima mi lasciò avvicinare, poi quando ero ormai a pochi centimetri dall’afferrare il pilivermo, si librò in volo, ed io rimasi ad osservarlo mentre volava col pilivermo che fuorusciva dal becco e, illuminato dal sole, disegnava una scia luminosa dietro di lui.
Ci rimasi davvero male, poiché ero certo che non c’è l’avrebbe fatta a sopravvivere e che avrebbe fatto una morte atroce e tutto per colpa di un c…… e della sua trascuratezza.

...Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio,
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno....

sabato 22 maggio 2010

I cartocci

Il lampadario della cucina aveva quel meccanismo a saliscendi che porta la lampadina quasi a sfiorare la testa. Il tavolo di formica grigio celeste s'accendeva di luce, dietro le nostre teste il buio. Al centro del tavolo gli strumenti. I bossoli vuoti incolonnati a schiere di quattro sostavano su un lato, la busta della polvere da sparo e quella dei pallini erano chiuse con un elastico serrato doppio, dischetti di feltro e di cartoncino duro, di vari colori, giacevano sparpagliati.
Lui sedeva a capo tavola e metteva in moto le mani. Versava la polvere sul piatto di una piccola bilancia dorata con colpetti leggeri di una mano sul dorso dell'altra così che la polvere potesse scivolare lentamente come i granelli di una clessidra. Nell'altro piatto collocava pesetti di pochi grammi per l'equilibratura della pesa. Quando i grammi erano quelli previsti raccoglieva la polvere con un paletta ricavata da una cartuccia esplosa a cui aveva tagliato in diagonale la bocca e versava dentro al bossolo, ci metteva sopra un dischetto di colore bruno o giallo e pressava con un bacchetto cilindrico di legno. Riempiva di pallini lo spazio residuo, a occhio, fino a arrivare al limite del bordo circolare e piatto della cartuccia. Seduto accanto a lui aspettavo il mio momento. Prima però doveva chiudere col dischetto di cartone bianco, metteva la cartuccia dentro la capsula di un torchietto a vite e portava a fine corsa. Il bordo superiore da smusso che era si addolciva tondo, a lambire con un dito il contorno sembrava di sfiorare il labbro di una bocca. La cartuccia era pronta, ora io dovevo scrivere. Con una bic a inchiostro blu incidevo, e sì che mi sembrava d'incidere, dei numeri in frazione nello spazio circolare del bordo superiore. Poteva essere 120/50, numeri così più o meno, tutte le cartucce di quel giorno e altre volte altri numeri. Non ricordo, penso che quei numeri identificassero i grammi di polvere da sparo e la dimensione dei pallini di piombo. Scrivevo e mettevo da parte. Sull'ultima aggiungevo una piccolissima emme senza che nessuno se ne sia mai accorto.
Questo il prima, dopo vedevo la retina attaccata a un gancio di una parete della cucina con uccelli in attesa di essere spiumati.
In mezzo, una cesura, la passione che non mi ha contagiato. Non sono mai andato a caccia con mio padre.


*La dedico a chi ha questa passione. Seppur contrario, capisco che le mie convinzioni ideologiche sono una cosa debole di fronte alla forza di una passione.
Non si dica però che mi sono convertito.

venerdì 21 maggio 2010

E te ne vai ?

Partì che era ancora buio.
Doveva conquistare quel "passu" a Sedda a Muletta, il giorno prima l'occupante aveva fatto una strage e lui, qualche metro più in basso, non aveva sparato un solo colpo.
Cicciu, Francesco solo per la moglie ormai italianizzata, viveva e lavorava a Torino, prendeva le ferie solo a maggio per tornare al suo paese natale, che è pure il nostro, per soddisfare la sua grande passione, la caccia ai ceddi i passu.
Aveva tutto, fucile calibro 12 sovrapposto, munizioni di varia potenza e portata, sufficienti a respingere l'attacco messicano a Forte Alamo, binocolo Zeiss talmente potente che vedeva quello che mangiavano a pranzo a Punta Faro e l'occhio furbetto di un pescespada alla ricerca di sesso, divisa di cacciatore con pantaloni di fustagno che gli facevano bollire le palle, borraccia con acqua fresca di sorgente, pane e formaggio.
Era incazzato perchè era l'unico, tra i cacciatori del paese, a non avere ancora ammazzato nu ceddu i passu.
La sera al Circolo era diventato lo spasso di tutti, lo sfottevano perchè cercava sempre delle scuse, na vota vulavunu iati, n'atra vota basci, i sciancu, 'nto mezzu, sta di fatto che quell'anno non ne aveva preso nemmeno uno.
Arrivò che era ancora buio, il passu era libero, vuoto, vacanti, non c'era nuddu.
Era la sua giornata.
Arrivarono a metà mattino, in fila indiana dal mare, grazie al binocolo lui l'aveva gia visti quando erano a Lipari.
Alla vista delle colline cominciarono a roteare per prendere quota, una volta raggiunta, si lanciarono verso nord-est, proprio sopra di lui, ma troppo alti.
Si stava calandu u calendariu, quando ne apparve uno, un ritardatario, ad un'altezza accettabile, ali spiegate.
Prese la mira e sparò, lo beccò al primo colpo, ma lui aggiunse il secondo, per sicurezza.
Stu cazzu di ceddu, invece di cadere fulminato, volle morire planando con classe, con il risultato che invece di cadere ai piedi di Ciccio, cadde nell'altro versante della collina.
Significava che per recuperare la preda, Cicciu doveva ridiscendere la collina e risalire dal versante opposto, senza strade ne violi, sulu sipaluni.
Impresa ardua, non aveva cane e pure se l'avesse avuto si sarebbe sicuramente rifiutato, anche i cani avevano un sindacato a quei tempi, sulu i cristiani ne erano sprovvisti.
Punto nell'orgoglio e per onorare la caccia, si fece coraggio e partì per l'impresa di recupero.
Raggiunse il posto dopo due ore di spine, smottamenti, cadute, iastimati, combinatu comu a Lazzaru, mancava solo Qualcuno che gli dicesse "iaziti e camina"
Si fermò per riprendere fiato, posò il fucile, e si mise a guardare in mezzo ai rovi alla ricerca della vittima.
Finalmente lo vide e si guardarono, non era morto, zoppicava, lo fissava con sfida, quasi minaccioso.
Poi accadde l'imponderabile.
Dopo averlo riguardato con disprezzo, il maledetto ceddu, prese la rincorsa e spiccò il volo, libero nel cielo, un pò incerto per la ferita ma in grado di volare.
Il fucile era lontano, Cicciu rimase a bocca aperta, ebbe solo il tempo di dire la famosa frase
:- E te ne vai ? -
Il sole cominciava a tramontare sul mare, senza orizzonte, qualsiasi cosa galleggiasse,. sembrava sospesa nel cielo.





P.S: Mi sembra di averlo già raccontato, non ricordo, se lo fosse ce ne faremo una ragione

mercoledì 19 maggio 2010

Re-imPOST

Lasciamo che questi tre commenti, siano da POST a questo magnifico uccello.


Mi volete sparare sparatemi
ma dopo buttatemi in un fosso
che figura da fesso
immobile su un ceppo falso
volante da un comò a una buffetta
in combutta quando ci sono
di cornuti emergenti alle pareti
ironico lo scorno del destino
di me e del mio nome
atterrato dal volo naturale
il salone principale
adorno.
Abbandonato e dimenticato in un angolo della stanza,
nessuno più mi degna di uno sguardo,
i bambini si fermano a tirarmi le mie splendide piume, ingrati!
Neanche un semplice gesto con le braccia a ricordare chi ero.
Non ricordo più, da quanto tempo sono adagiato su questo trespolo finto,
ho le piume piene di polvere e gli occhi vitrei che fissano il tetto.
Bestiale.Impallinato, imbalsamato e obsoleto.
Non mi abituerò mai all'idea che si spari a creature simili,
così, senza motivo,
perchè le motivazioni che da quel lato provengono
non possono essere ritenute valide ma assurde.
Quale cosa più bella ed emozionante di vederli in volo,
in tutta la loro eleganza perfetto connubio tra movenze accattivanti
e calibrate e splendidi piumaggi.
E' stato dato loro un dono, quello di volare,
che associato ad essi porta alla massima espressione di libertà.

Ceddu i passu




Il mio motto è vivi e lascia vivere, ma non c'è tregua, a Reggio si continua a sparare al Falco Pecchiaiolo, comi si fussi na bella marbizza da cucinare alla cacciatora.
Fermiamo la strage di questo bellissimo rapace.

domenica 16 maggio 2010

CAMPIONI D'ITALIA

un omaggio al più grande centravanti del mondo (ex-aequo con il Mister)

giovedì 13 maggio 2010

BAGAGLI

La valigia in mano e lo zaino in spalle. Via, per un breve viaggio,
quattro giorni al sole e all’aria pura, assoluto riposo e noia fino alla nausea.
In quei pochi bagagli, ci metto di tutto: indumenti, e anche cose che non servono, cerco di non dimenticare niente.
Infilo dentro la valigia me stesso e quello di cui vorrei liberarmi, sogni e speranze
che non ho mai potuto realizzare: I bagagli sono più che contenitori, e lo specchio di viaggia.
Così l’avventura diventa una dimensione, una condizione naturale intrapresa per riflettere e magari rimpiangere i sogni rimasti alla porta.
Vieni fuori dal tuo essere statico, per intraprendere una via con l’assoluto bisogno di liberarti di tutte le cose monotone e inutili che ogni giorno affettano la tua esistenza.
Il ritorno si consuma senza traumi, niente lacrime, nessuno addio, solo un affettuoso abbraccio.
Un arrivederci alla prossima volta

Al mio amico.... Le Long




Un salutone da Peppi Birritedda

Spusey contro la 三合会?*

"La Cina è vicina". Di bell'occhio tondo, e mi disse pure con ghigno a mezzo del cinico e sardonico, "vai cugino, sei o no il miglior investigatore del mondo? vai e trova la Ciaponno. Vorrei proprio sapere chi mi traduce e come, in mandarino classico o moderno? E torna, mindi futtu quandu ma torna, simu cà chi ti stamu spittandu".
Mi ha lasciato all'aeroporto, nel piazzale, da solo ho dovuto cercare Reggio-Roma poi Roma-Pechino, la Cina è vicina sticazzi, dieci ore di volo e non solo, in classe economica seduto immobilizzato mi si sono gonfiate le caviglie e non solo, che altro volete sapere? il cibo, nakakata forse giapponese, avevo una suppizzata e ho fatto pranzo a metà con quello di sinistra, Lin Piao, quello di destra era vegetariano.
A Pechino, ho trovato da solo, oramai l'avete capito che mi hanno lasciato solo sti stronzi, quei due, la piazza principale. Non è che ci voleva la zingara, è grande quanto venti campi di calcio almeno, dentro ci potrebbe stare il quinto centro siderurgico, una favazzina intera. Non c'è nessuno, dieci milioni di abitanti e se li vogliamo contare tutti un miliardo e mezzo di cinesi e non c'è nessuno. Ora a cu cazzu nci spiu? No, uno c'è all'incrocio. Gli vado incontro.




-Senti, un'informazione. 中華人民共和國?
-Guarda che non è cazzu toi u cinesi. Parla italiano che ti capisco.
-Ma tu sei un lavavetri, polacco?
-Sporco reazionario, come ti permetti?
-Scusa, non volevo offendere. Mi sai dire dov'è la Ciaponno?
-Ciaponno? biechi imperialisti e capitalisti sfruttatori di poveri scrittori. Non tu ricu.
-E dai, dimmillu. U longu s'incazza se non la trovo.
-U longu il pescatore? Pesci da lui non ne voglio e me ne fotto da voi.
-Se non me lo dici ti leggo un racconto di Arcade.
-Cedo alle minacce. La Ciaponno si trova a Shangai.
-A Shangai, e comu fazzu?
-Comu ficiru i ntichi. Si pigghiaru u culu a muzzicati. Auguri.

* 三合会? sono gradite traduzioni

mercoledì 12 maggio 2010

Spusey e l'incendio

Il silenzio della notte era interrotto dalle bordate di Ciccu u Merdara, puntuale ogni ora, il nostro Big Ben, seguiva subito dopo il canto di un gallo, convinto a torto, dell'approssimarsi dell'alba.
Al mattino lo scirocco scese dalle colline spingendo il mare verso il largo, volava di tutto, foglie, giornali, lamiere di case abbandonate, la sabbia sferzava gli scogli prima di annegare nel mare.
All'inizio solo un filo di fumo 'nto castanitu, poi l'incendio avvolse la collina ed il fumo, sospinto dal vento, invase il paese.
Mai stati così bene.
Il fumo invece di soffocare, allargava i polmoni, un senso di benessere, di pace, gente che non si parlava da anni s'abbracciava felice, tutti si volevano bene, sembrava un sogno.
Autru chi Festa i Maronna, era Pasca e Pascuni, Ferragostu e Capurannu.
Cumpari Roccu afflitto dagli anni e dalla prostata, rincorse la moglie nell'orto e lei s lasciò raggiungere.
Cummari Giuvanna fervente chiesastra, allargò il suo amore e non solo quello, anche a cose terrene, molto terrene.
Cumpari Giuseppe, fascistuni, tenne un comizio in onore di un certo Carlo, sconosciuto alla piazza.
Anche il più cazzone del paese disquisiva sui massimi sistemi, le suore cantavano canzoni blues ed il prete l'accompagnava all'organo, alla Ray Charles.
Appena uno si stancava, bastava respirare a pieni polmoni, e poteva ricominciare a fare quello che voleva.
Anche Spusey era felice ma anche un pò preoccupato.
Che cazzo stava succedendo.
Bloccò lo Smilzo che stava rincorrendo una pollastrella e chiese:
:- Cerca Le Long e andiamo a vedere cosa succede -
Fu difficile interrompere Le Long che teneva una conferenza sul m'indifuttismu cosmico ad una platea di gatti che, in calore anche loro, non vedevano l'ora che terminasse.
Salirono sulla collina, il fuoco era ormai spento, solo un fumo denso, bianco, profumato, veniva dal profondo del castanitu.
In una radura videro e rimasero allibiti.
Una piantagione clandestina di cannabis fumava, salvata dal fuoco perchè irrigata da un ruscello appositamente incanalato, fumava per il calore ed il fumo portato dal vento arrivava al paese.
Un cannone enorme, gratuito, per tutto il paese.
:- Distruggiamo tutto - disse Spusey
:- Ma che distruggi la minchia - rispose scandalizzato il dottore
Lo tennero in due ed in fine si convinse.
Lo scirocco ha sempre soffiato tre giorni

venerdì 7 maggio 2010

FIAT 500. 1949






Un regalo a Mario

La Topolino che non voleva partire

La Topolino nera era della classe 1949. Aveva vent'anni e veniva identificata come RC mille e seguenti, le altre cifre non le ricordo. Il signor Leonardo, il proprietario, nella metà che arrivava a terra vestiva pantaloni che erano stati di fustagno blu prima che macchie nere e untuose ne modificassero definitivamente il tessuto. L'altra metà viveva dentro il cofano motore dell'automobile, senza testa e senza arti superiori, e si vedeva solo il movimento dei muscoli dorsali a testimonianza del lavorio sommerso. Riparava l'automobile, ogni giorno.
Del resto tempo ne aveva, beneficiava di una pensione di guerra e non lavorava più. Non parlava mai con nessuno, dovendo badare alla Topolino non voleva sprecare niente del suo tempo.
Uno con cui intratteneva qualche rapporto c'era, per la verità. Succedeva ogni due, tre mesi, quando Pippo lo stracciovecchio veniva a raccogliere ferro guidando una specie di carretto a pedali con un bidone da mondezza collocato anteriormente. Riempiva il bidone di tutto ciò che era metallo. Si avvicinava alla Topolino di Leonardo e nel fugace incontro tra i due pareva che ci fosse intesa e pure un qualche commercio. Nel rione si diceva che fossero stati commilitoni, ma non è sicuro. E' sicuro invece che Leonardo fosse stato meccanico di un sottomarino della Marina Militare. Furono silurati ma non colpiti soltanto sfiorati e portarono a terra la pelle. Leonardo si ebbe anche una pensione di guerra, la testa vuota di pensieri e, nel tempo, un'idea fissa. La Topolino che non voleva partire.
Succedeva una volta alla settimana, un giorno qualsiasi. Quando Leonardo riteneva di esser pronto spingeva la sua automobile dallo spiazzo sotto casa sua fino alla strada asfaltata. Un rettilineo di trecento metri e si sfociava in Viale Galilei.
Si sedeva alla guida e girava la chiave. Nulla. Riprovava più volte e infine abbassava il finestrino. Era il segnale. Noi ragazzini abbandonavamo la partita di calcio e in sei sette anche di più spingevamo il culo della Topolino. L'auto prendeva velocità dalla spinta delle nostre braccia ma di suo non ci metteva niente. Venti metri prima dell'incrocio con il viale noi ci fermavamo, lei pure. Non ci restava che riportarla al suo solito posto. Leonardo tirava su il cofano motore e scompariva immergendosi.
Ora, che i ragazzini siano curiosi è un fatto, qui si trattava anche di voler capire perchè tutti quegli sforzi non venivano ripagati da quell'auto ingenerosa, tenacemente ferma.
Iannello portò la torcia, io incrociai le dita sperando che il cofano fosse solo appoggiato, cercai una fessura, c'era, riuscii a sollevarlo. La torcia illuminò la scena. Mi aspettavo bagliori metallici e luccichii d'argento, e tubi, ingranaggi e congegni, quello che potevo sapere allora di meccanica. Vedevo il fascio di luce attraversare senza ostacoli il cofano fino a schiarire il terreno sottostante. C'erano fili dappertutto. Corde intrecciate e tese da una fiancata all'altra, lacci di scarpe annodate a residui di lamiera contorta, spaghi infilati dentro fori e raccordati ad altri spaghi emergenti da fori opposti. Ci sembrò d'aver scoperchiato un pianoforte ma se c'era qualcosa da capire con Iannello pensammo di aver capito.
Un giorno qualsiasi Leonardo abbassò il finestrino, tutti ma proprio tutti delle due squadre spingemmo fino a farci scoppiare il cuore. Mollammo. La Topolino andava, si allontanava rimpicciolendo. Si vedeva fumo uscire dallo scappamento. Dico fumo ma, a pensarci, poteva essere il vapore acqueo che veniva dal calore della terra. Non era importante.
C'era da concludere una partita di calcio lasciata a metà.

martedì 4 maggio 2010

L'ULTIMA OCCASIONE

E meno male che le cuccette erano confort, quattro loculi, nella mia c'erano ancora bucce di fave che qualche nostra conterranea, chissà quando, aveva sbucciato per ammazzare il tempo.
Un giovanotto corpulento con le cuffie eternamente incollate, mi faceva a suo modo compagnia.
A Reggio Emilia è salita una coppia di vecchietti, marito e moglie, presentandosi :
:- Siamo di Cosenza -
Stavo per dire che la cosa mi lasciava alquanto indifferente o peggio ancora, che me ne strafottevo, poi ho lasciato perdere.
Nella notte i vecchietti hanno fatto un concerto in si bemolle con rantolo finale, sembrava volessero segare tutti gli alberi della Sila, ho capito perchè si erano presentati in quel modo, era un avvertimento.
Al duetto presto si è unito un altro componente dal compartimento accanto, era di S. Giovanni in Fiore.
Volevo soffocarli con i cuscini, ma erano troppo piccoli, i cuscini.
Ho passato la notte con il cuccettista, amico di mio fratello, grande intenditore di calate di conzu, con relative esche, ami, correnti, luna, insomma avrò detto due parole in tutta la notte.
Finalmente a Favazzina, la mia Macondo.
Sembra un cantiere aperto, camion, ruspe, escavatrici, betoniere, se ci fosse a Milano lo stesso fermento, erano già pronti per l'Expò.
Il mattino seguente a pesca, armato di canna, secchio e pastuni, destinazione finale Sutta a Frunti.
C'era una luce strana, bianca, dovuta ad una leggera velatura del cielo, il mare bianco anche lui non respirava, non c'era onda.
I gabbiani erano posati, puntini sul mare, tutto taceva, non c'era un alito di vento.
Sembrava tutto irreale, come se il tempo, le cose, la vita, si fossero fermati.
Ed infine l'ho visto.
Appoggiato alla Prima Rocca, rivolto verso Scilla, un uomo crocifisso perdeva sangue dalla testa per colpa di una corona di spine e dalle mani perchè inchiodate alla croce.
Gesù Cristo mi guardava sofferente, avrei voluto aiutarlo ma ero paralizzato dalla paura, dalla sorpresa, dallo sgomento.
Il cuore mi batteva all'impazzata, chiudevo gli occhi sperando fosse un miraggio, quando li riaprivo era sempre lì fermo a guardarmi.
Oh cazzo, anni di sano ateismo, materialismo storico e non, logica, lumi, ragione, bruciati in un bianco mattino.
Volevo parlargli ma avevo paura che mi rispondesse, volevo dirgli che lo stimavo come uomo, filosofo, pacifista.
Ma allora cos'era quella visione ?
Che fare ? chiamare i carabinieri, la capitaneria o un prete, il vescovato, e se poi scompariva ? forse era meglio sentire prima Malumbra.
Mentre ero fermo a ragionare sul da farsi, sento delle voci da oltre gli scogli, compaiono due uomini in tuta di lavoro, prendono il crocifisso, s'umbuttano a 'ncoddu e vanno via.
:- Fermi sacrileghi, blasfemi, cornuti e ladri di crocifissi - mi ritorna la voce
:- Questa è roba nostra, si faccia i cazzi suoi - risposero andandosene
La strada per Scilla, tra Sutta a Frunti ed Cunduleu, era chiusa al traffico, mio fratello mi dice
:- Stanno facendo un film di carattere religioso, da un paio di giorni bloccano la strada quando devono girare delle scene -
Quando ci hanno fatto passare, ho visto il mio Gesu Cristo appoggiato ad un muro, solo, abbandonato, sembrava un povero Cristo in castigo.
Mi sono sentito solo ed in castigo anch'io, un povero cristo.
Se mai uscirà questo film, vorrei chiedere al regista:
:- Ma brutto stronzo, ch'inci trasi Sutta a Frunti cu Calvario, che attinenza c'è tra a Rocca Randi ed il Golgota ? e poi non si lasciano cristi incustoditi, qualcuno ci può restare male, molto male.

Credo che sia stata la mia ultima occasione.

lunedì 3 maggio 2010

L'elettrodotto


Riporto per intero un articolo scritto da Nino Luca da "www.corriere.it" riguardo l'inquinamento elettromagnetico dato dallo stesso eletrodotto "Sorgenti-Rizziconi" che, proveniente dalla provincia di Messina attraverso un cavo sottomarino, vorrebbero fare approdare sulla spiaggia della nostra Favazzina proseguendo via montagna e passando attraverso Melia di Scilla e Rizziconi, quindi fate attenzione anche voi amici di Melia e Rizziconi..... da come si evince dall'articolo, nella provincia di Messina, visto che l'opera è già stata da tempo realizzata e messa in funzione, ne stanno già pagando le conseguenze.... Adattando una frase medica a questa situazione: Prevenire è meglio che curare, soprattutto quando il male risulterà incurabile!







Nino Luca- da www.corriere.it-
La gente impietosa lo chiama "il quartiere delle signore con la parrucca". Ovvero le donne che stanno curando i loro tumori con la chemioterapia. Il vero nome è "rione Passo Vela" a Pace del Mela, poco più di seimila anime in provincia di Messina. Situato in un' area inserita tra quelle ad alto rischio ambientale, Pace del Mela é sfiorato dai cavi dell'alta tensione di Terna. Quell'azienda che qua tutti si ostinano ancora a chiamare "l' Enel". Pietro Petrella, assessore all'Ambiente della provincia di Messina casca dalle nuvole: "Non so, non credo che i fili passino sopra le case. E comunque ci sono i controlli degli enti preposti". "Ma dall' Arpa non ci è giunta nessuna segnalazione", rispondono da Terna. Ma "il palo", come lo chiama la signora Maria Conti, è vicino, troppo vicino. Dunque, "attaccato" alle abitazioni, si erge per 60 metri un elettrodotto da 380 KW. Mal di testa, leucemie, tumori e un inspiegabile aumento della natalità: questi sono i sintomi che si registrano in queste vie. Cosa li provoca? Il "palo". Mistero. L' associazione Tat (Associazione Tutela e Ambiente) raccoglie le proteste degli abitanti e censisce i malati: "Finora- afferma Guido Cavallaro, responsabile della Tat di Pace del Mela- abbiamo contato 15 casi di tumore negli ultimi 5 anni su circa 300 abitanti del quartiere". E lo dice uno che è stato sindaco del paese, uno che conosce di ciascun paesano vita e miracoli. E purtroppo anche il tipo di morte.

TERNA- Secondo Terna l'elettrodotto è stato realizzato nel 1989 ed è stato autorizzato dal ministero dei Lavori Pubblici quindi rispetta a pieno la legge. Inoltre, per Terna, il cavo del conduttore dista 50 metri dalle case e il traliccio a 200metri dalle abitazioni. L'unico intervento che si è reso necessario - dicono da Terna - nel novembre 2007 per attutire il forte rumore, dopo richiesta di un isolato cittadino. La relativa sostituzione degli isolatori ha messo tutto a posto. "Ma quannu mai", ci dice il signor Federico: "Non si rinesci a vidiri mancu a televisioni. C'è frusciu". Le rassicurazioni di Terna non bastano. Anzi sono in preallarme anche i cittadini di altri 15 comuni della provincia di Messina interessati dal progetto di raddoppio della linea elettrica Sorgenti-Rizziconi (dal nome delle due stazioni poste rispettivamente in Sicilia e in Calabria). C'è infatti, secondo i sindaci dell'area, il rischio di un grave danno ambientale e sociale. Rischio vissuto da una regione, la Sicilia, che da sola rappresenta un enorme pannello solare non sfruttato per produrre energie rinnovabili. Comunque, in progetto c'è l'installazione di un cavo lungo 105 Km, sia terrestre che marino, che aumenterà l'efficienza ed eviterà l'attuale congestione della rete elettrica. Dopo la realizzazione di quest'opera, in accordo con la provincia di Messina, Terna prevede opere di compensazione. "Ma compensazione di che?", si domanda un cittadino del rione Passo Vela. Nel progetto di raddoppio di linea, Terna prevede che saranno eliminati 170 Km di cavi di cui ben 12 a Pace del Mela. "Ottima notizia - risponde Guido Cavallaro - A questo punto sarà uno scherzo per Terna spostare più in là l'elettrodotto. Lo chiediamo per favore, con educazione ma con forza".

LA VALLE DEL MELA MUORE- Ma esiste davvero un nesso tra la presenza della campata e le malattie che si sono sviluppate? In realtà, il paese sorge nella "disgraziata" Valle del Mela. Una volta profumava di fiori d'arancio, di gelsomino e ginestre che garantivano una cospicua produzione di miele di alta qualità. i numerosi alveari spontanei oggi sono scomparsi a causa del danno chimico dell'aria. Infatti, dicono gli abitanti "ora c'è puzza e malattie". La valle del Mela è un'area composta da 7 comuni messinesi, inserita tra quelle "ad alto rishio ambientale". In totale 56.000 abitanti che devono già fare i conti con: 1) i fumi della raffineria petrolchimica di Milazzo; 2) con la centrale di cogenerazione della Raffineria; 3) con la centrale elettrica alimentata ad olio combustibile a San Filippo del Mela; 4) con l'Esi di Giammoro che si occupa di trattamento e recupero di batterie fuori uso e rottami di piombo; 5) con le innumerevoli aziende dell'area di sviluppo industriale. L'ultima novità è il progetto di costruzione di una centrale di pompaggio di metano della Snam a Monforte San Giorgio. Risultato? I morti a causa di tumori, secondo la Tat, sul totale dei decessi, in quel di Pace del Mela raggiunge la sbalorditiva cifra dell'80%. Secondo le ultime statistiche, in tutta la valle del Mela, l'inquinamento atmosferico fa due morti al giorno. Numeri da brividi. Le cause? Tumori al colon, al polmone, al seno, al cervello. A Milazzo quasi il 40% dei deceduti ha un'età media inferiore alla media dell'aspettativa di vita nazionale. Secondo l'Inail e per l'Associazione Internazionale Ricerca Cancro, le industrie della zona produrrebbero più di 150 inquinanti : 14 sicuramente cancerogeni, 44 probabilmente cancerogeni e 32 possibili cancerogeni. E chi respira quest'aria si chiede: "Ma come si può continuare a vivere in un posto così?".

domenica 2 maggio 2010

PENSIERI DI PRIMAVERA (CHE ANCORA NON C'E')

Buogiorno ragazzi, oggi 2 maggio in tanti pensavo di fare il ponte o comunque una scampagnata tra primo maggio e oggi il tempo ci sarebbe stato, già il tempo quello che si controlla con l'orologio forse si, ma quello atmosferico no, quello no ti da possibilità di scegliere. Da 2 giorni chi ietta acqua comu chi. Infati sono qui a rompermi e rompervi le palle con i miei discorsi o meglio le mie lamentele sul clima del cavolo che mi riitrovo a sopportare quà al nord, ieri mi ha detto mia mamma che la gente era al mare a farsi i bagni e prendere il sole e noi quassù? impermebili e umbrelli e se va bonu menza iurnata o lagu. A volte penso ma chi me l'ha fatto fare? tanti di voi sono al nord perchè giù non trovavano lavoro, io invece il mio lavoro lo avevo e solo per un piccolo avanzamento di grado e qualche euro in più in busta paga. Va bho figghioli u tempu non migliora e siccomu non vogghiu fari notti a scriviri lamenteli vi saluto e vaiu e ma incu.Oggi carbonara, liggera liggera