Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

domenica 25 dicembre 2011

sabato 24 dicembre 2011

Suonala ancora, Guglielmo

Condurso di Seminara, ceramicaro eccelso, annuiva a se stesso, soddisfatto. Non produceva tali manufatti, di solito, tanto diversi da bumbuli, maschere, babbaluti.
Gli era venuto bene, nella forma e nelle proporzioni, naturale nel colore.
Pensava alla pelle di quel bambino, sembrava vera: sì, era soddisfatto.

Mezzanotte passata, la messa era finita, i fedeli uscivano dalla chiesa a coppie o solinghi, i fanciulli appena desti dopo il sonno liturgico, in frotta su la piazzola, qua e là saltando ammenzu a tricchi tracchi, surfalora, castagnoli, puru na bumba a manu ma léggia.
Un lieto romore.
Cosa si suona in una sera come questa, Chopin, Mozart? No, forse Bach.
L'organista rimasto solo nella chiesa saliva e scendeva scale armoniose, contrappuntava alla perfezione, seguiva con lievi dondolii della testa lo scorrere delle dita sulla tastiera; d'un tratto fissò lo sguardo verso il presepe sistemato a un metro da lui, sul lato sinistro del transetto, ammesso che quello sia un transetto.
Eccellente realizzazione, asino e bue mansueti, Giuseppe paziente e paterno, Maria umile, regina, mamma.
L'organista stirò la colonna dai lombi alla cervicale nel tentativo di avvicinare ai suoi occhi la figura del bambino appena nato.
Non sapeva dire, qualcosa attirava la sua attenzione. Si avvicinò più che potette, vide che la superficie del corpo del bambinello nudo non era liscia, c'erano tante piccolissime protuberanze, vicine le une alle altre.
-Ha la pelle d'oca!-
Guardò verso l'uscita, la porta della chiesa era ancora aperta. Smise di suonare, si alzò.
Raccolse il bambinello nel palmo delle mani congiunte, uscì nella piazza e si avvicinò al grande fuoco. I ccippi, pure quest'anno.
Cullava il bambino adagiato in quella sorta di amaca avanzando verso il fuoco fino a quando sentì le mani scaldarsi.
-Malumbra, chi fai? u ietti nto focu?-
Udito non aveva per sentire, solo visione per vedere il bambino sorridere e sbadigliare, forse stava addormentandosi: meglio restituirlo alla famiglia.
Or la squilla dà segno della festa che viene:
-Guglielmo, fai piano che dorme-.

Io che mai mai mai accetterei di essere chiamato cattocomunista, non credo a questa storia però mi piace.
Buon Natale.

mercoledì 21 dicembre 2011

La carta del torrone

Bordighera, addì 21 dicembre 1892

Premiata ditta Cardone Francesco e Antonio, per conto di Sua Maestà la Regina veniamo a chiedervi la spedizione di casse in numero di due del torrone varietà a poglia, parimenti numero due casse di quei biscotti quaresimali di cui codesta ditta è produttrice.

Porgiamo distinti saluti
S.A.R. Margherita di Savoia
Il Segretario
*


A Reggio il torrone non lo sanno fare. Gira e mena, al torronaro non gli viene mai come dev'essere: duro e friabile che appena appena lo mastichi si scioglie in bocca senza una minima gommosità.
Siccome non lo sanno fare si sono inventati il torrone gelato, un ammasso di zucchero fondente incastonato di mandorle, frutta candita, pezzi di cioccolata: così sono in pace con la loro maestria, se non gli viene duro, lo fanno morbido. Il risultato finale non è sgradevole a vedersi con la forma a tronchetto e figure a tema natalizio istoriate sulla copertura di cioccolata, pure è piacevole da mangiare, poco però, essendo prodotto che "sdinga" a causa dell'eccesso zuccherino.
Mangiavo di questo torrone nell' adolescenza reggina e aspettavo: prima che venisse la vigilia di Natale sarebbe arrivato il torrone di Bagnara.
Quello sì era un torrone che mentre lo mangiavi non bastava dire quanto fosse buono ma dovevi ascoltare la leggenda che aveva dentro e il mito dei Cardone fornitori della regina e Frosina suo eterno rivale e l'astro nascente Careri allievo di Cardone e Minutolo allievo di Frosina e tutta Bagnara a cuocere torrone e mia zia di Porelli li conosceva tutti pure Pauleddu Cundari allievo di Staceppa, autodidatta.
Basta torrone, ottimo ma basta. Era della carta che volevo parlarvi.
La carta che avvolgeva la poglia era un foglio rettangolare di stagnola argento sul lato esterno, bianco a contatto col torrone, una cosa normale come un qualsiasi condorello.
Invece un involucro esterno così ce l'aveva solo Cardone: un foglio rettangolare rosso in trasparenza con piccole incisure lungo il bordo dei due lati minori che quando s'incaramellava il torrone le estreme sfrangiavano fuggendo via leggere dallo strozzo della torsione.
Sdipanavo l'attorcigliamento e stiravo con il palmo della mano il foglio, in leggera controluce prendevano vita la testa di uno che poi era il re d'Italia e le parole di uno che commissionava torrone per la regina Margherita.
Quando fui in grado di capire il testo -il torrone lo mangiavo da molto prima- la comprensione dovette coincidere, penso, con il mio periodo salgarian-patriottico-garibaldino: m'immaginai piroscafi sulla rotta Reggio-Genova, con una sosta a Civitavecchia forse. La spedizione delle poglie: rosse, erano rosse.
Passato quel tempo e altro tempo, non ho imparato la storia tanto da potermi dire illuso o disilluso.
Allora non avevo dubbi sull'Italia unita, sennò a che minchia serviva quel via vai di casse di torrone da Marineja a Bordighera?


*La commissione del segretario è corretta nella sostanza, non nella forma.
Le parole esatte non le ricordo, se qualcuno può correggere sarei contento.

lunedì 12 dicembre 2011

La luna e i ceppi

E’ un dicembre insolitamente strano, quasi mite, il cielo è terso e la luna nella sua fase di plenilunio illumina a giorno la campagna circostante davanti casa mia. La guardo e il pensiero corre a Favazzina quando in questi giorni, da ragazzo, insieme ai miei amici andavamo a prendere i ceppi negli orti per il tradizionale falò della Vigilia di Natale.
Erano i giorni che precedevano l’evento tanto atteso, quello che più di tutti ci vedeva protagonisti e noi ci prodigavamo affinché vi fossero ceppi a sufficienza e il falò potesse ardere fino all’alba.
Ci trovavamo in piazza dopo cena quando la luna era già spuntata sopra Brancatò, spandendo la sua luce e orlando d’argento i tetti delle case e le stradine deserte del paese.
Ci teneva compagnia la luna e ci dava coraggio stemperando un po’ la paura del buio che inevitabilmente ognuno di noi aveva nascosta dentro di se.
Negli orti i suoi raggi argentati dilatavano le ombre e gli alberi di limoni ci sembravano dei giganti che volessero ghermirci, afferrarci con i loro rami e stringerci in un abbraccio mortale, e non so se fosse per questo o per paura che il contadino ci sorprendesse, che tiravamo su i ceppi più in fretta possibile e, altrettanto rapidamente, (tranne u Longu) tornavamo in piazza ognuno col suo carico sulle spalle.
E le sere dopo, insieme alla luna, ritornavamo ancora negli orti a prendere i ceppi e a tenere viva una tradizione che ahimè nel corso degli anni si è tristemente persa.
La luna, bellissima e splendente, silenziosa compagna di quelle meravigliose sere che ancora oggi custodisco gelosamente nel mio cuore.

venerdì 9 dicembre 2011

F. C. Favazzina

F. C. FAVAZZINESE

Nella primavera di qualche anno fa, fine anni 60, a Cannitello, ridente paesino sullo Stretto, a qualcuno venne la brillante idea di organizzare un torneo di calcio, invitando l’altrettanto ridente paesino di Favazzina, ( i paesini ridono sempre)
Il C.A.S., circolo autonomo sportivo, a quei tempi al massimo del suo splendore, un po’ per fare onore al suo nome, un po’ per dimenticare la bisca clandestina che era diventato negli anni, decise di accettare l’invito sponsorizzando una squadretta locale.
Tutti i giovani del paese erano mobilitati, compreso il vostro umile scriba, tecnicamente dotato ma dalle movenze limitate e con miopia galoppante.
Furono comprate le divise, magliette color ciclamino con collo bianco, pantaloncini bianchi, calzettoni viola, scarpini professionali o quasi perchè era proibito il calcio al volo, si rischiava di rimanere scalzi per frantumazione di scarpa.
Comunque gli strumenti, seppure a buon mercato, c’erano, bisognava formare la squadra perché si avvicinava pericolosamente la data del debutto.
Furono usati tutti i mezzi, richiami dalla leva militare, rimpatrio di oriundi, amnistie, falsi certificati medici, conoscenti, affini.
Finalmente eravamo in undici con ben due riserve, non erano previsti infortuni, data la tempra.
Il campo, una volta adibito a piantagione di muluni, era una striscia di sabbia nei sobborghi di Cannitello, stretto tra lo Stretto e la ferrovia, a proposito di stretto mi erano toccati scarpini di un quarantadue scarso contro il mio quarantacinque naturale, dolori terrificanti ma piede di una certa classe.
Ma torniamo alla squadra, eravamo scarsi ma con delle eccellenze, mi piace ricordare specialmente Dino, della categoria dei conoscenti, l’aveva portato Natale B., un talent scout naturale prima di darsi al biliardo.
Dino era un centravanti che riuniva le doti di Boninsegna e Riva, bastava che gli dessero la palla ed era gol e ce ne volevano tanti per sopperire alle falle difensive.
Altra eccellenza era il predetto talent scout, Natale, dribblomane sublime faceva i tunnel anche all’arbitro, ai guardalinea, a quelli seduti in panchina, e se occorreva anche a qualche passante.
Non mi ricordo qualcuno che gli abbia mai preso la palla, se non per il fatto che era sua e doveva tornare a casa.
Poi in larga parte c’erano i mediocri, come me, ma che ci davano l’anima, e poi gli scarsi, pochi ma scarsi ‘nto bonu, non si putivunu vardari.
C’era il portiere, Biasi, detto il ragno nero, ma non in onore a Cudicini, ma proprio perché stava fermo, faciva i fulini, mentre i palluni passavunu comu o mari ‘nta na barca sciutta.
Poi c’era il club dei peri storti, capitanati da Cicciu C., il pallone poteva andare da qualsiasi parte, tranne dove doveva.
Un caso a parte era l’addetto al calcio di rinvio, forse aveva scarpini di ferro, fatto sta che in un rinvio il pallone sorvolò piazza S. Rocco di Scilla, scambiato per un UFO, in linea retta passò sopra le colline favazzinote scambiato per ceddu i passu fu per questo fatto bersaglio chi mancu la contraerea a Londra nella seconda guerra mondiale, uscito indenne ferì un assessore di minoranza al municipio di Palmi che, convinto fosse stato un attentato della maggioranza, diede inizio alla famosa sciarra di Palmi.
In un rinvio dalla parte opposta mandò il pallone dentro la pentola del sugo di una famiglia di Saline Joniche, lo mangiarono senza tante storie, la casalinga era terribile.
Siccome i palloni erano contati, il rinviatore fu deposto dall’incarico.
Altro problema era quando il pallone cadeva in mare, se non si recuperava subito la corrente lo portava prima a Ganzirri, poi nei pressi del castello di Scilla e alla fine rientrava.
Dopo il rientro il primo a colpirlo di testa s’accorciava di cinque centimetri con doccia nel raggio di due metri, qualche volta saltava fuori qualche pesciolino che aveva trovato rifugio tra le legature.
Un problema personale , oltre gli scarpini fuori misura, fu quando mia madre sbagliò il lavaggio della mia maglietta facendola diventare bianco latte, gli arbitri non ne volevano sapere di farmi giocare per questo l’allenatore s’inventò la storia del jolly, come nella palla a volo. Precorevvamo i tempi.
Finimmo il torneo tra i primi, Dino fu il capocannoniere, l’incontrai, dopo anni, una sera a Milano, per caso, prendevamo lo stesso tram, poi non lo vidi più.

lunedì 31 ottobre 2011

Una vecchia amica

Eccola qui, pensavo di non rivederla mai più e invece... Certo che è ridotta proprio male, ma in fondo fa sempre piacere rivedere una vecchia amica.
Per chi non l'avesse capito sto parlando della vecchia fontana di Favazzina, la ricordate? Qualche anno fa fù tolta dalla sua sede storica per essere sostituita da una "più moderna" fontana in gesso. Da allora si persero le sue tracce. Pensavo che fosse stata buttata e invece, in una mia sortita di fine settembre a Favazzina, la ritrovo così, appoggiata all'esterno di una casa di Favazzina, utilizzata come sostegno per le piante!
Voglio sperare che questa collocazione le sia stata data per salvarla da qualche discarica, ma avrei un sogno che vorrei tanto si avverasse: sarebbe meraviglioso se la persona che le ha dato questa collocazione la riportasse nella sua sede storica (Via Aspromonte) e la ridonasse al Paese. La vecchia fontana, anche se non ricollegata alla rete idrica, ma semplicemente appoggiata sul suo basamento (visto che ora la fontana di gesso non c'è più) tornerebbe ad essere per tutti noi il simbolo del Paese!
PS: Per l'eventuale trasporto a spalla della vecchia e pesante fontana mi offro come volontario!

martedì 18 ottobre 2011

In Memory of Our Beloved Silvio Giuseppe Ardizzone

Purtroppo e' arrivato il momento di salutare un grande uomo, che lascera' il vuoto in tanti di noi, Silvio Giuseppe Ardizzone...
Nativo di Favazzina, come tanti sanno, aveva trovato di che vivere in Spagna, al seguito della sorella monire e del fratello magiore.
Pochi giorni fa e' tornato a Favazzina per il meritato riposo. Giace accanto ai suoi genitori ("la nonna Grazia" e "il nonno Saverio").

Come Arcade Fire ha detto, "Ci manchera' il suo sorriso"... ed e' cosi che lo ricordo e voglio condividere co Voi questo piccolo aneddoto accaduto a Favazzina quando ero adolescente:

Il caro "Zio Silvio" era molto amico di Rocco Cara....olo e durante un caldo pomeriggio favazzinoto insieme si chiacchierava nel giardino di casa de''a "nonna"...

Rocco parlava di un film nel quale aveva una parte, non una parte qualunque, era il protagonista di questo film (di cui non ricordo il titolo...), il suo personaggio era un ex-boss della mafia, collaboratore di giustizia... (questa di seguito e' la conversazione "Rocco-Silvio" di quel pomeriggio):

Rocco: "Stiamo girando questo film in cui sono il protagonista".
Silvio: "Si, si!! proprio a te sono venutio a cercare per fare il boss"...
Rocco : "Nel film sono un ex-boss della mafia"
Silvio; " Davvero? Dai! Dai!! Io faccio l'autista del boss!!!"
Rocco: "Non so, Silvio... devo p[arlare com il regista, il produtore"
Silvio: "Io faccio l'autista del boss!!!!"

Poi zio Silvio ha cominciato a predere in giro Rocco e se ne esce:

Silvio: "Ah... si, si e come cazzu e' il nome quando e' nei titoli di coda?!?!?, probabilmente "ROCCO CARA....OLO!!!!!
Rocco: "Ma no, ho il nome d'arte... e' Rocco Carato".
Silvio: "AHAHAHA!!!!! Macche' Rocco Carato.... meglio Rocco Tarato!!!!!!
Rocco: "Ahah! Sivio ma sii buffone eh?!? Sii buffone Silvio"!!

Quando ricordai questo accaduto a mia madre (la sorella di Silvio), si mise a ridere dicendo :"Guarda che quei due insieme erano una barzelletta"!!!

venerdì 14 ottobre 2011

Spusey ed il mistero del molo nuovo

A sciumara senza petri pariva comu na vecchia senza dentiera, sicca, prosciugata, e puru se c’era l’acqua, senza petri era comu un rigagnolo di pianura, lento e silenzioso.
Spusey non si capacitava, cu si futtiu i petri ? a cu nci servivunu ?
Era vero che nel pomeriggio s’era sentita una botta e come per incanto s’iva criatu un molu, latu Bagnara, tutto di petri ianchi che prima accompagnavano a sciumara finu o mari .
Spusey ricordava con affetto quando tutte le mamme favazzinote facevano il bucato, prima dell’avvento della lavatrice, e poi stendevano i panni sopra quelle pietre immacolate.
Ora c’era rina e fangu
Doveva assolutamente scoprire quel furto sacrilego, doveva indagare, cercare, capire.
Nel paese si era sparsa la voce, dato che la chiesa era inagibile, che i credenti volessero costruire un piccolo santuario a Vizzari, in collina, vicino alla sorgente, zona demaniale.
Bastava poi che qualche raccoglitore di funghi tra una caddarara e un pistuni intravedesse qualcosa nei boschi ed era fatta: la Madonna di Vizzari.
Pellegrinaggio attraverso a ‘nchianata i Brancatò, con canti e bombole di ossigeno per i vecchi e meno vecchi, specialmente fumatori di Marlboro e anche quelli che le sigarette se le fanno.
Credenti vuol dire Malumbra, bisognava sentirlo, ecco dove erano finite le pietre.
:- Ma che dici Spusey ? E’ vero che sono architetto, è vero che so fare tutto, ma un santuario ? e poi io sono un ecologista, chi spasciu a cresia pi fari a sacrestia ? -
Spusey si convinse e continuò ad indagare in altre direzioni
C’era Francesco, un’omu galanti, alto ma non lungo, che da qualche giorno andava sciumara sciumara osservando le poche pietre rimaste.
:- Strano, molto strano, direi sospetto – malignava Spusey, ma è risaputo che gli sbirri se non malignano fannu poca strada.
:- E che vuol dire che osservo le pietre ? e forse proibito ?- s’incazzava Francesco
:- E’ quantomeno strano, caro Francesco, non è che ti servono pi fari armacie nei tuoi giardini? o per adornare la tua villetta a Milano ? Confessa
:- Ma quali armacie e villette, ispettori, io le osservavo per sapere se era vero un vecchio detto calabrese.
:- Sarebbe ?
:- Che le pietre senza lippu si cala a sciumara, ma qua vedo che cu lippu o senza lippu petri non d’avi cchiu.
E Spusey si convinse un’altra volta
Era dal Mago chi si tracannava un double whiskey, acqua frisca, e lo vide che giocava a trisetti, maledetto Longu, se la spassava, vinceva come al solito.
:- Chista ma llisciu e sugnu chiumbu a un palu – diceva Le Long guardando in faccia il suo compagno.
Guardandolo, Spusey, si fece il quadro.
Molo vuol dire pesca con la canna, pesca con la canna vuol dire Longu, il molo era fatto di pietra, si era creato dopo un’esplosione, esplosivo vuol dire bomba, bomba vuol dire anarchici e comunisti, da sempre. Ecco il colpevole, si era fatto il molo ad personam, maledetto comunista.
Le Long disse : - Lasciami finire il tresette – poi lo seguì senza dire niente

giovedì 13 ottobre 2011

La Spagna, Valencia

La Spagna, Valencia, per uno che ha condotto un'azienda metalmeccanica a Milano potrebbe sembrare il luogo adatto dove finalmente fermarsi e riposare. Faceva pizze e altri prodotti di rosticceria: era stato il suo modo di reinventarsi imprenditore, aveva un localino in una delle zone meglio frequentate della notte valenciana. Me lo diceva, qualche anno fa, in piazza rimembranza: era sorpreso di quanto mangiano gli spagnoli e a tutte le ore, il locale lo aveva avuto da certe suore che gli crescevano continuamente l'affitto: "mucho dinero mi hermana, afacciaruc..." reagiva più divertito che scocciato.
Aveva trovato il sistema per fare una pizza napoletana con il cornicione farcito, una cosa di successo immediato tanto che una multinazionale del settore gli aveva rubato l'idea e produceva in serie. Silvio fece causa ma con sommo disincanto disse: non vincerò mai, sono troppo forti, a pizza però è megghiu a mia.
E' solo un episodio per ricordarlo com'era ma avreste dovuto conoscerlo, generoso, allegro e divertente, di tutte le cose belle era portatore sano: ti dava felicità solo a stargli vicino, le parole suonavano milanesi e favazzinote a un tempo, risuonavano senza che ci fosse mai in qualsiasi cosa che dicesse l'increspatura dissonante, l'astio, l'offesa, il rancore: alle nostre latitudini, rara avis.
Non aggiungo altro, farei un'agiografia e non merita questo torto.
Adios

martedì 11 ottobre 2011

Pietre di sciumara

Ufficialmente non c'era modo di avere spiegazioni: il sindaco era in viaggio di rappresentanza verso Pripjat, Ucraina, città gemellata: il vice sindaco, si parra i ciciri e rispundi faciola, ha promesso solennemente a Spusidda una bella festa religiosa: l'assessori 'e moli era dal dentista: l'opposizione non fa mai un cazzo.
Prima che venga insabbiata diamo il resoconto di una testimonianza che riteniamo importante. Una donna stava arretu alla sipala e ha visto. Onde prevenire tentativi di delegittimazione diciamo in anticipo che era con il marito. C'erano pure i figlioli, che volete di più? Hanno visto, sanno come sono andate le cose e per evitare di scrivere cazzunate disinformate facciamo parlare la signora:

" Abbandasciumara circaumu grilli, serpi, gamberetti d'acqua ruci, buffi, lucertuli virduni, questo per la zoologia, e canne palustri, papiri, zambarari, roveti ardenti per la parte botanica. Lo facciamo per i nostri figli, ci teniamo mi sunnu istruiti.
All'intrasattu abbiamo sentito na botta sicca. Sparano? si meravigghiau me maritu, ma prima di poterci orientare ci fu na grancascia di trona unu arretu all'autru e si iazau, trenta metri avanti a nui, na purbirata comu chidda chi resta quandu sparunu u trionfinu i Santarroccu a Scilla. Andammo a vedere. Una cosa da non credere. I massi della sciumara si muovevano. Rucciuliavano dandosi la spinta l'uno con l'altro, l'effetto domino mamma, rissi me figghiu u randi. Siccomu nc'esti pindenza andranno a finire a mare, stimò mio marito che è geometra di genio civile e i sti cosi ndi capisci. Ma se vanno a finire nel mare poi i pesci si spaventano papà, rissi me figghiu u picculu. I pesci di Favazzina sono abituati: un giorno ti racconterò delle bombe di Caratella, quando i pesci venivano a galla. Fu proprio come aveva predetto mio marito. I massi, a deci a centu, acquistando velocità arrivarono a ribba i mari e s'affundaru chi più avanti chi più indietro dipende dal peso disse mio marito ma pure dalla massa aggiunse me figghiu u randi. Il greto della fiumara si era sbacantato. Scendemmo in spiaggia a vedere come stavano le cose, se le pietre si erano disposte in maniera ordinata o alla cazzodicane -chianu non mi sentunu i figghioli- scillo-favazzinese. Potenza degli eventi naturali, declamò epico mio marito, o forze ctonie (chista, poi) primordiali, o energie telluriche e magnetiche, o che cazzo dici papà, il figlio grande - chianu non mi senti a mamma-. Era un fatto però che davanti a noi si era creato un bellissimo molo, anzi a guardare bene c'era già dassupra unu longu longu che pescava. Un altro, alto, non longu ma alto, vicino a un masso che era rimasto all'asciutto nda rina, toccava, palpeggiava, accarezzava, il masso dicevo, papà papà un geologo gridò mio figlio grande, forse un collega dei pontieri ipotizzò mio marito, che bell'uomo ho pensato io ma non dissi nenti, cu me maritu non si raggiuna.
Mio figlio piccolo si avvicinò all'uomo e gli chiese, figghiu ngarbatu:
-Tu lo sai perchè le pietre sono andate nel mare?-
L'uomo lo guardò e gli sorrise poi pronunciò quella frase che se ci penso mi sembra proverbiale.
-Certo che lo so, è successo perchè:
'a petra chi non faci lippu sa leva 'a sciumara.-"

giovedì 6 ottobre 2011

Spusey e il caso dei mulettuni

Correva a perdifiato. Veniva dal violo chi nchiana ra marina o rioni villa. Curvando a sinistra perse la zoccola destra ma continuò a correre verso il paese. Roccu gli urlò dietro : -Chi fai, footing?- -Si chiama jogging, sceccu! - Davanti alla scuola inciampò nella sedia dove era seduta sua suocera: fece finta di non conoscerla e proseguì. Correva, sotto il traguardo "il mago delle granite" Giuanni gli gridò: -Ferma! mangiti na granita- -Mangiatilla tu e viri mi ti veni a sciorta- Correva, passò sotto i balconi della casa rossa: - Lelong, ndo' cori?- -Mi taccio perchè siete una signora-
Travalicò con quattro giompi la nchianata della cresia, fanculeggiò vari curiosi che occhieggiavano dalle vinedde, entrò correndo nella casa d'angolo del vicolo cieco.
-O ou, ferma chi mi spasci u salottu-
-Cugino Spusey, è stato compiuto un delitto sul molo-
-Un delitto sul molo?-
-Ho subito un furto-
-Hai subito un furto?-
-Mi futtiru i mulettuni-
-I mulettuni?-
-Cugino, quando avrai finito di mettere punti interrogativi alle mie parole vedi di venire al molo per le indagini. Porta gli attrezzi del mestiere, chindisacciu, impronte digitali, guanti di paraffina, test del Dna, vedi tu ma fai viatu, corri.

mulenda†→ molenda
mulesco
[mu-lé-sco]
agg. (pl. m. -schi; f. -sca, pl. -sche)
Di, da mulo: flemma, ostinazione mulesca
muleta
[mu-lé-ta]
s.f. inv.
Nelle corride, drappo rosso sostenuto da un bastone, che il matador agita davanti al toro per provocarlo o distrarlo
muletto
[mu-lét-to]
s.m.
1 Dim. di “mùlo”
muliebre
[mu-lì-e-bre]
agg. (pl. -bri)
lett. Di, della donna: grazia, bellezza m.; ornamenti muliebri; statua m.

Nenti, mulettune non c'è. Nci spiau a Merra chi nci rissi: -Porcarusu, non ti virgogni?- Chiese a Micu 'u P.: -Ancora no sai, a to' età?-
Decise di andare da Joe Birrittedda.

Correva, veniva dalla filanda verso la piazza. Correva, dal balcone della casa rossa: -Spusey, ndo' cori?- -Siete la signora di sopra e di prima?- passò sprintando sotto lo striscione del mago, Giuanni gli disse: - Ferma! mangiti na granita- -Giuanni, ti passau a sciorta?- Correva, alla scuola mburrò contro la sedia della suocera, non sua né la sedia né la suocera, che fece finta di non conoscerlo, alla villa Roccu gli disse: -Chi fai, footing?- -Jogging. Ma si propriu nu sceccu!-
Dal violo scese in spiaggia, correndo arrivò al molo, frenò poco prima di cadere in acqua.
Sul molo due uomini giocavano a scacchi. Fissavano la scacchiera. Spusey osservava, non voleva interrompere quella partita che sembrava avvincente. Passarono dieci minuti, i giocatori guardavano fisso la scacchiera e non muovevano. Spusey era affascinato da quell'intenso lavorio cerebrale. Passarono altri dieci minuti e i giocatori non muovevano. Spusey ammirava quella capacità di concentrazione totale. Passarono altri dieci minuti, Spusey percepì una lieve tensione in sé medesimo, mi unchiaru i cugghiuni constatò, disse deciso: -Lelong, i mulettuni sono cefali-
Nemmeno distolse lo sguardo dalla scacchiera, Lelong rispose: -Cugino, diventi ogni giorno più bravo. A ogni modo li ho ritrovati, u pagghiolu era caduto in una ngrugna fra i massi.-
Spusey se ne andò lasciando quell'emozionante partita e i due giocatori che guardavano la scacchiera e non muovevano.
Dopo dieci minuti, Lelong guardò l'avversario Pinotto e disse:
-A chi tocca?

U LONGU E U MALOCCHIU

Pochi giorni fa ho visto u Longu per ben due volte tornare dalla battuta di pesca, aveva u pagghiolu sempri chinu! Longu, dopo il tuo racconto mi viene da pensare che il piattino abbia funzionato. Scherzi a parte fai bene a non crederci!
Il termine dialettale "malocchiu" può essere tradotto come il desiderio di male che una persona rivolge verso un'altra e, non c'è dubbio, che questi sentimenti esistono, eccome..
Il male però si toglie con il bene e non con il piattino e l'olio. Queste pratiche superstiziose, molto usata dai nostri antenati (nella stragrande maggioranza dei casi per ignoranza) oggi sono molto in voga e si sono adeguate ai tempi. Pensate a tutti i vari corni e cornetti, ferri di cavallo, peperoncini, amuleti, ecc, con i quali ci si "difende" dal male (per non parlare di maghi e maghini). Tutti questi aggeggi richiamano (guarda caso...) quello del piano di sotto (u riavulu).
Da credente la cosa che mi sono sempre chiesto è come può un corno difendermi dal male? Proprio il corno, che mi fa pensare subito al "cornuto" per eccellenza! magari uso il crocifisso, che dite? Dal male mi difende Dio e nessun altro. Se qualcuno desirera il mio male posso pure provare a perdonarlo, a benedirlo (che è il contrario di maledire), non dico che è facile ma ci posso pure provare. Dico questo perchè molti sono i credenti superstiziosi.

Caro Longu, mettendo pure per ipotesi che qualcuno ti abbia tanto invidiato da non farti prendere più un pesce, la "liberazione" ottenute dopo il piattino serviva solo come esca (per restare in tema). Tu da buon ateo pescatore non hai abboccato! tanti altri invece proprio dopo aver avuto questa esperienza iniziano a crederci. Appendono corni e cornetti in casa, in macchina, poi vanno dal cartomante, dal mago guaritore e, purtroppo, quella liberazione provata all'inizio finisce per diventare una schiavitù piscologica, spirituale e molte volte anche economica.
Una volta ho visto in una automobile un rosario e un corno appesi insieme, come a dire: "mi tegnu i ddu parti, non si sapi mai"........)

mercoledì 5 ottobre 2011

Anciovi salati














Dopo aver contattato mia madre vi bloggo la ricetta di Tonnarella.

Consigli: i lici devono essere rigorosamente pescati in zona e il prezzo deve essere conveniente, ne cattati più di dieci euro, pirchì sinnò non cunveni cchiù!. Megghiu si sunnu rigalati.

Attrezzi: bagnarola dove mettere i lici scapizzati, contenitore di legno di rovere cosidetto “cugnettu” con relativo coperchio, un peso di circa due chili da posare sopra il cugnettu, bastunu du petri ra marina e sale grosso di Sicilia .

Preparazione: lavorazione in loco, praticamenti n’ta casa. Scapizzari le alici con le mani tirando fora le interiora , lavare con acqua di mare, in alternativa usare acqua salata. Dopo spolverare di sale grosso e lassari riposare una nottata n’ta bagnarola.
Lavare bene u cugnettu con acqua di mare e fare asciugare. Salari con una spolverata di sali e uno strato di alici,sistemate una di testa e una di coda, fino a a due dita dal bordo del cugnettu. Mettere il coperchio e il peso.

Conservazione: u salatu deve essere conservato per cinque sei mesi sempre coperto di salmola sennò si rancia.

Consumazione: Sei mesi dopo. A-licia è pronta! Portatela in tavola dopo averla lavata con aceto, condita con olio, limone, origano e se volete anche peperoncino.

Buon appetito.

martedì 4 ottobre 2011

'U pisci all'ogghiu

La mattanza di Favignana, al confronto, una pesca di pesci rossi al luna park: dieci palline mille lire. 'U Longu, dopo la strage ha prenotato un'intera cuccetta di prima classe e si è intronato regale assieme al pescato. Destinazione Milano, dove, parole sue, ha intenzione di fare 'u pisci all'ogghiu.
Dubito forte della riuscita, mi da l'idea che non saprebbe cucinare mancu na opa friuta. Speriamo nei congiunti e a essi ci rivolgiamo.
Se posso permettermi, darei qualche consiglio. Non capisco nulla di tonnetti, non distinguo un letterato da un correttore di bozze, figuriamoci palamiti o pisantuni. Allora che parli a fare? Parlo per conoscenza teorica di tradizione familiare innervata da contributi di vari sangiovanni che come sapete non portano inganni ma scassano la minchia e non poco.

Il pesce
-Mutuli e basta, rassati futtiri atri pisci. I pisantuni sunnu pisantuni e i palamiti sunnu palamiti- (compare Ciccio, il tautologico).

Il sale
-Cinquanta grammi pi chilu di mutuli, sennò veni salatu- (cummari Carmela)
-Chiccazzu rici Mela, cusì si muca. Centuvinti grammi e non menu- (cummari Rosa)

La cottura
-Ava a bugghiri na menz'urata, chiù ssai diventa lignu- ('mpari Cecè)
Spalancate le finestre della cucina, nella cottura si sprigionano miasmi pestilenziali potenzialmente mortali per animali domestici come canarini, criceti, iguane.

L'asciugatura
Stendete il pesce su un cannavazzo pulito e lasciate asciugare per un giorno e una notte. Il pesce dev'essere perfettamente asciutto. Cummari Fiorinda per sicurezza nci runa na passata di asciugacapelli tiepido.

Inscatolamento
Eliminate la buzzonaglia, il mosciame, la ventresca e il lattume se capite quali sono se no inscatolate tutto e fregatevene: come dice cumpari Pascali -U tunnu è comu o porcu, non si jetta nenti-

Le boccacce
Vanno bene quelle di vetro con tappo a vite. Le migliori sono quelle vecchie: commare Fortunata usa ancora quelle del corredo che sua mamma gli ha lasciato nel '58. Il vetro ngromato di olio tonnato è opaco come alabastro, i tappi sunnu nu pocu ruggiati, ma il sapore del pisci all'ogghiu è inconfondibile: -Minchia, cumpagna Furtunata, pari caviale del Volga (cumpari Roccu, il marito, abbonato a l'Unità).

L'olio
Riempite d'olio poco a poco, coprite tutti gli interstizi, non ci devono essere bolle d'aria. Sì, ma chi ogghiu?
-Ogghiu i semi, chiddu i liva è troppu pisanti (compare Nino)
-Ma quandu mai, l'ogghiu i semi mi pari pisciazza. I liva ra chiana ava a essiri. (compare Mico).
-Cinquanta e cinquanta (cummari Maria, mugghieri di Nino e amante di Mico)

Sterilizzazione e stoccaggio
Fate bollire le boccacce per almeno venti minuti, fate raffreddare. Riponete in luogo fresco e al buio.

Antica ricetta favazzinota
Me nonna era gentile e ngarbata, prendeva appunti ma poi faceva 'u pisci all'ogghiu secondo l'antica ricetta favazzinota. U faciva comu nci riciva a so testa e sindi futtiva di tutti.

Generosa famiglia Velardi, in nessun modo mi si deve ringraziare per questi disinteressati consigli ma se proprio s'insiste verrò di buon grado ad assaggiare il prodotto prima che sia finito: u pani biscottu u portu ieu.

lunedì 3 ottobre 2011

Dalla padella alla brace

Dopo dieci anni di amministrazione, due legislazioni di seguito, che non si possono certo definire buoni, grazie alle ultime elezioni, al comune di Scilla si è insediata una nuova giunta.
Ci aspettavamo delle novità ed eravamo fiduciosi che a Favazzina finalmente cambiasse qualcosa e qualcosa effettivamente è cambiato, l’acqua che prima ci veniva tolta dalle dieci di sera fino alle sette di mattina, quest’estate ci è stata tolta anche di giorno, dalle undici alle tredici e trenta.
Ci siamo chiesti il perché e varie sono state le giustificazioni che ci sono state date, perdite nella rete idrica, utilizzo sbagliato dei cittadini con notevole spreco, come l’irrigazione dei giardini o il lavaggio delle strade, serbatoi di capacità sproporzionate sempre in aumento nelle case, allacciamenti abusivi.
Come cittadini di Favazzina abbiamo chiesto un incontro col sindaco e una mattina siamo stati convocati, solo che il sindaco era impegnato in una udienza privata e siamo stati ricevuti dal vice sindaco.
Ci eravamo segnati i punti che avevamo ritenuto più importanti, dopo aver raccolto le lamentele dei cittadini di Favazzina, e li abbiamo illustrati al vice sindaco.
1- Razionamento dell’acqua: Notevoli disagi alla popolazione, allontanamento del turismo.
2- Traffico: In paese serve una segnaletica. Una presenza costante, soprattutto sabato e domenica, delle forze dell’ordine. Creare parcheggi fuori dal paese, ad esempio ai margini del torrente o utilizzare l’ampio spazio sulle carreggiate della Statale, vicinanze stazione, poco usato. Fare multe ai contravventori e bloccare il traffico nelle fasce orarie più a rischio. Il paese ha una sola entrata/uscita (la strada del torrente ufficialmente non è abilitata. Cosa si aspetta a renderla agibile?) e nei giorni festivi il paese è nel caos più totale, in un giorno si calcolano in entrata e in uscita circa 600-700 macchine parcheggiate ovunque. In caso di un incendio o di un’urgenza grave non osiamo immaginare le conseguenze.
3- Elettrodotto: Dato che oramai il danno è stato fatto, controllare che i lavori siano fatti secondo le normative e che a lavoro ultimato non vi sia rischio per i cittadini.
4- Pulizia del paese : Il paese è sporco (colpa nostra), le strade e la spiaggia sono piene di rifiuti (sempre colpa nostra che siamo degli incivili), ogni tanto però andrebbero pulite. D’estate occorre fare frequenti disinfestazioni poiché le zanzare sono sempre più numerose. D’inverno il paese diventa una discarica a cielo aperto e nei pressi della spiaggia vengono buttate macerie di ogni tipo. Fare più controlli.
5- Torrente-Moli: Il letto del torrente è stato depredato. Come mai le pietre sono state rimosse? I moli sono stati realizzati in modo non appropriato, molto diverso dal progetto iniziale illustratoci dalla precedente amministrazione.
6- Luce elettrica: D’inverno al minimo temporale la luce salta con notevoli disagi per coloro che vivono a Favazzina.
7- Progetti futuri: I massi verranno rimossi? Il litorale sarà ripristinato? La fogna scaricherà ancora in mare? L’area della ex scuola elementare verrà riutilizzata come bene pubblico a favore della collettività? Vi sarà una salvaguardia dell’ambiente (es. le cascate e i sentieri montani)? Chiunque potrà venire a Favazzina e fare impunemente quello che vuole?
Siamo consapevoli che non si può risolvere tutto con la bacchetta magica e che l’impegno e l’aiuto dei cittadini sono indispensabili, ma ci auguriamo che la nuova amministrazione si faccia carico di quanto da noi segnalato e si dia da fare per risolvere almeno i problemi più impellenti, non vorremmo ritrovarci ancora la prossima estate, come abbiamo fatto negli ultimi dieci anni, a dover far fronte alle stesse problematiche che ormai da anni assillano il nostro paese.
Stanchi ormai di promesse non mantenute, lo diciamo con molta franchezza, non vorremmo finire dalla padella alla brace.

sabato 1 ottobre 2011

U' Capuni









Sugnu prontu! Lenzi, lenzuni e filosi, brazzoli ca lana russa e finali artificiali a forma e pisci siliconato, cucchiarini alla piuma d’oca con tanto di certificazioni, ruccheddi i pilivermu i tutti i misuri. Pisantuni e littirati , palamiti e tunnacchioli, capuni e pampini. Definisco gli ultimi dettagli e poi …… mi abbandono al sogno.

venerdì 30 settembre 2011

Ihr ball

Sono stato un virtuoso della gingomma. Cose grandiose. Masticavo, masticavo e producevo con la bocca palloncini che mi esplodevano in faccia. Il pezzo forte era la ripresa del fiato, inspiravo e mi riprendevo l'aria insufflata, il palloncino s'accartocciava sulle labbra lasciandomi un'incrostazione a mò di baffi e pizzetto che ci voleva l'alcool per eliminarla.
Fu un'estate infelice. Compravo gingomme e non vincevo. Nel foglietto interno della confezione c'erano disegnate le facce di due dadi, se facevi dodici vincevi dieci chewingum. Agosto e settembre passati di putia in putia, Marina, Chiangiusu o ponti, Galletta. Ormai era ottobre, mi stavo giocando gli ultimi, alle quattro della sera entrai nella bottega di Sara, nel vicolo dei palloncini colorati, per tentare ancora una volta. Sul banco, accanto alle confezioni delle gomme da masticare c'era una scatola che attirò la mia attenzione. Era una scatola con buchi in fila e a colonna, da ogni buco emergeva un cilindretto di carta arrotolata. Sara mi spiegò che era una riffa, svolgevi il rotolo e appariva un numero a cui corrispondeva o un premio oppure ritenta sarai più fortunato. Il costo per un cilindro equivaleva al costo di un chewingum, la tentazione era grande. Srotolai e venne il dodici, dodici ma vaffanculo pensai ma prima di altre plateali rimostranze Sara disse: -Dodici, hai vinto un pallone da calcio-. Ah le passioni infantili, sono amanti infedeli e capricciose (dove l'ho letta questa?), esultai: nto culu 'e gingommi!
Pallone da calcio non proprio, di gomma e anche di poco peso, rimbalzava troppo e seguiva traiettorie antigravitazionali e a muzzu, però era bello, al posto degli esagoni neri c'erano le facce dei giocatori dell' AS Roma, campionato di calcio 1968-69. Uno dei giocatori me lo ricordo ancora, assomigliava a don Pepè, il salumaio di sbarre inferiori angolo vico Furnari a Reggio, era il capitano della squadra e si chiamava Losi.
Portai quel pallone in giro per il paese, in piazza due coetanei si unirono alla mia felicità, giocammo nella filanda fino a quando qualcuno disse: -Scindimu nta marina.-
Davanti alla caserma c'era uno spiazzo di spiaggia a ghiaia e sabbia, era un piacere giocarci soprattutto per i portieri che potevano tuffarsi senza farsi male.
Giocavamo, il pallone mi venne a portata di tiro a volo, calciai con violenza. Il pallone s'impennò a campanile, s'infilò dentro una corrente ascensionale, zizzagò come un aquilone che tenta di raggiungere il cielo e poi ricadde al suolo, rimbalzò sull'ultimo metro di ghiaia e dopo aver scavalcato la cresta dell'onda si immerse nel mare a due metri dalla riva.
Galleggiava e lentamente prendeva il largo, vedevo il salumiere guardarmi beffardo; ora dovevo togliermi le scarpe e i calzettoni, esitavo e intanto quello andava, ora dovevo togliermi i pantaloni all'inglese e la maglietta, non mi decidevo e ormai il pallone era a venti metri e non mi era permesso raggiungerlo a nuoto, in mutande.
Che faccio, piango? Oppure me ne sto triste e inconsolabile a ricordare nonostante tutto "godi fanciullo mio stato soave stagion lieta è cotesta", stagione della minchia, o Giacomino, prima i gingommi ora u palluni? Decisi di non piangere.
Chi se n'era accorto nella foga dei calci a un pallone? chi poteva pensare che ci fosse qualcuno a prendere il sole? in una giornata nuvolosa e niente calda d'ottobre?
La donna s'alzò a sedere sul telo, guardò verso di me poi guardò il mare, in pochi secondi in un tutt'uno con la mia speranza, raggiunse l'acqua, si tuffò e con poche vigorose bracciate recuperò il pallone naufrago. La vidi uscire dal mare, giovane, bella, chiara di capelli e la pelle come miele brunito. Camminava agile sulla sabbia bagnata e sulla ghiaia, fu davanti a me con il pallone nelle mani.
Du sahest lang mich an,
Wie man ein Kind mit Blicken misst,
Und sagtest freundlich dann:

-Ihr ball, weil du so traurig bist?-*
Non disse queste parole ma avrebbe potuto dirle: lo sapete, i tedeschi sono tutti poeti.


*Tu mi guardasti a lungo
come si saggia un bambino con lo sguardo
poi mi dicesti con tenerezza:
-............................................? -
da H.Hesse, modificato

martedì 27 settembre 2011

Immobili

"Inserzione per una casa in cui non voglio abitare" (B.Hrabal)

Fortilizi indipendenti prospicienti, il fronte non vede il retro, il retro non vede il fronte, si perdono una vista mare e una vista colle, cortile a tramezzo attrezzato per arrampicate, pallamuro, volendo pure bocciodromo.
Scale che vengonovanno da soprassotto, disegnate postume da Escher. Terrazzamenti vetrati palladiani e panteonici al momento non finiti.
Palazzo pluripiano rosso indemoniato a insabbio parziale, indemaniato, vista mare pare riduttivo siccome a una palafitta.
Trittici non omogenei, moderno tu classico egli eclettico, cubature a disposizione di gaudì in minuscolo.
Casamenti a un piano regolatore, colonne armate in attesa di altri piani.
Borgotti di riviera tracimanti sulle sponde: il giusto inverso non avviene, Arno placido Don.
Palmenti palmeti, con villa. Schiere schierate per ogni verso il prossimo condono.
Edifici triangoloretti e pitagorici costruiti sull'ipotenusa, il doppio al mq.
Immobili, li chiamano.

lunedì 26 settembre 2011

L'immobilismo

Entrando nel blog quello che immediatamente salta all’occhio è l’immobilismo che perdura ormai da parecchio, anzi, è più giusto dire, da troppo tempo.
Da diversi giorni infatti il post del Longo “Lezioni di ballo”, campeggia sulla prima pagina del blog e ripensando al ballo mi vengono in mente i ballerini di un carillon immobili nella stessa posa, nell’attesa che la mano di qualcuno gli dia la carica per risolverli dalla loro immobilità e dia loro il movimento.
Possibile che nessuno di noi sappia dare la carica? Possibile che dobbiamo aspettare il Longo per far muovere il blog? E’ vero che lui è unico, che i suoi scritti sono insuperabili, ma noi non possiamo rimanere inerti nell’attesa del suo ritorno.
Certo che quando lui tornerà dalla pesca ci auguriamo “miracolosa” ai mutuli, avrà sicuramente tante storie divertenti da raccontarci, ma nel frattempo noi cosa facciamo? Dove sono finiti tutti quelli che da sempre hanno animato il blog? Non posso credere che siano tutti spariti o siano sittati a chiacchierare nte scaluni ra cresia.
Se così fosse speriamo allora che torni presto e nell’attesa, quello che posso augurare, è lunga vita al Longo!

mercoledì 14 settembre 2011

Lezioni di ballo

Qualche anno fa, tra i verdi limoni della Sena, apriva un locale, Luna Rossa.
Ogni sera prima ballo liscio poi latino americano, pista immensa tra i limoni ed il mare, tutto il paese e dintorni si riversava nel locale e si ballava e come si ballava, chi mancu nella riviera romagnola..
I ballerini, compaesani e limitrofi, erano impostati, agganci precisi, passi sicuri, giramenti di collo a scatto, guardavano a destra e danzavano a sinistra, passavano da un ballo all’altro avec nonchalance, alla fine baciamano e accompagnamento al tavolo della signora.
Era chiaro che avevano frequentato lezioni di ballo.
Porca puttana ma dove e come avevano imparato ? Non sapevo di scuole di ballo in provincia, a meno che negli ultimi anni avessero aperto scuole nei castaniti di Melia o nei pergolati d’uva fragola di Sciumara i Muru.
Erano bravissimi , tirati a lucido, asciutti, anche belli, al tavolo da soli io e mia moglie affogavamo l’invidia con cola e rum, che ce ne voleva due litri solo per un giramento di testa.
Mia moglie mi guardava come se le tarpassi le ali, come se lei fosse una ballerina del Bolscioi ed io un tiratore di sciabica, dimenticando che anche lei come me, ignorava ogni forma di ballo in tutte le sue infinite varianti.
:- Tornati a Milano prenderemo anche noi lezioni di ballo – dissi per consolarla, mentivo sapendo di mentire.
Rientrati a Milano, qualche mese dopo, nella cassetta della posta una reclame che recitava:
"Corsi di ballo liscio e latino americano presso la palestra xx in via Console Marcello, orari serali e prezzi modici , maestra di ballo Pamela"
Che occasione !! a due passi da casa, dopo cena, sui prezzi modici occorre però aggiungere qualcosa, sta minchia.
Ci preparammo per l’occasione, io in giacca cremisi su camicia nera e pantaloni d’identico color, scarpe color cacarella, capelli corti tirati indietro con il gel fregato a mio figlio, baffi ridotti al minimo sindacale.
Non mi avreste riconosciuto.
Mia moglie esagerò, vestito nero lungo con scollatura davanti e di dietro (praticamente a nura), capelli corvini (tintura) raccolti, scarpe con tacco alto rinforzato.
Ci vergognavamo un po’, pertanto nonostante la scuola di ballo fosse a due passi, andammo in macchina, anche per evitare il blocco del traffico sia automobilistico che tranviario.
Ci accolse Pamela la maestra, una bella donna matura, parlava con leggero accento andaluso e si esprimeva con le ciglia, lunghissime, le apriva e le chiudeva accompagnando le parole, le spalancava per indicare sorpresa, disprezzo, le batteva velocemente per indicare dolcezza, approvazione.
Comunque i soldi per le lezioni li ha voluti tutti e subito.
Incominciammo dai primi passi, come i bambini, la maestra era brava, faceva ripetere gli esercizi, toglieva e rimetteva la musica, spiegava, rifaceva i passi, ma soprattutto muoveva le ciglia.
Passarono le prime lezioni, valzer, mazurke, beguine, ma io volevo il sangue, volevo il tango.
Con Pamela avevo un po’ di feeling, non mi rimproverava mai anche quando sbagliavo completamente i passi , la cosa non era sfuggita a mia moglie, io capivo che la maestra mi perdonava per gli anni e per il mio andamento da bradipo, mia moglie continuava a dire che la sapevo lunga.
Il posto era molto bello, pieno di piante e di specchi, pavimenti lucidi, ma la palestra che l’ospitava era famosa per il tetto che spandeva e quindi con il pavimento bagnato, quando pioveva, venivano fuori dei casquets non proprio volontari.
Infine l’incidente sull’inizio di un passo di ballo, io insistevo con il destro, mia moglie insisteva sul sinistro, interpellammo la maestra.
:- Ma certo Domenico hai ragione – disse sbattendo cento volte le ciglia, a mia moglie la gelò a ciglia spalancate.
:- E’ finimmu i ballari – pensai, e cosi fu
Mia moglie si rifiutava categoricamente di ballare , non tanto per la mia competenza quanto per le ciglia della maestra.
La maestra accortasi che non ballavamo, ci cambiò di coppia.
A me toccò una casalinga prolifica, quattro figli in quattro anni, (aundi cazzu u truvava u tempu mi balla), aveva talmente latte che quando si fermava di botto se ne sentiva lo sciabordio.
A mia moglie toccò un postino leggermente claudicante sulla sinistra che per nasconderlo si poggiava sulla destra, con il risultato che ballavano sbilenchi e con grande impaticamento di pedi.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso, mia moglie non venne più alle lezioni, io mi ritirai con l’amaro in bocca.
Non avevo ancora assaggiato le delizie del tango

mercoledì 7 settembre 2011

2° Trofeo “Arancino d’oro”

La sera di Ferragosto si è svolto in piazza S. Croce a Favazzina il 2° Trofeo Arancino d’oro, organizzato e sponsorizzato dalla rosticceria “Nonsolopizza” di Luca e Peppe De Franco.
Il comune con una solerzia mai vista, ha montato il palco a tempo di record e grazie alle sedie della chiesa che Rosina ci ha gentilmente messo a disposizione, abbiamo potuto allestire un parterre di primordine.
La serata, con la piazza gremita in ogni angolo di posto, ha avuto inizio con un toccante ricordo che Peppe ha voluto fare al nostro amico e compaesano Salvatore, prematuramente scomparso.
Subito dopo tra la sorpresa generale si sono diffuse nell’aria le note dell’inno di Mameli, mentre due bambine salite sul palco reggevano in mano la bandiera italiana.
Dopo il prologo, la palla è passata a Letterio Musumeci, il presentatore della serata, showman di Bagnara molto conosciuto nella zona e ottimo interprete delle canzoni di Domenico Modugno.
Fatte le dovute presentazione la gara canora ha avuto inizio e i cantanti molto agguerriti si sono dati battaglia all’ultima nota. La giuria presieduta magistralmente dal Longu ha svolto il suo compito in maniera esemplare e, è doveroso ricordare, in modo imparziale e ha emesso un verdetto che ha trovato tutti d’accordo, proclamando vincitrice Eleonora L. alla quale è andato in premio l’arancino di circa tre chilogrammi preparato dalle cuoche della rosticceria Nonsolopizza.
Per dare un tocco culturale alla serata, tra una canzone e l’altra, sono state lette delle poesie che il pubblico ha fatto vedere di apprezzare molto, sottolineando ogni lettura con numerosi applausi.
Ma il momento clou della serata, quello da tutti febbrilmente atteso, è stato l’entrata in scena di Peppe Maciste il quale, secondo un copione ormai consolidato, si è presentato verso la fine dello spettacolo.
Un momento prima del suo arrivo, sul palco è comparsa una foto di Mino Reitano, al quale da anni ormai il nostro amico rende omaggio, poi in un abbaglio di luci, in un completo grigio, nonostante il caldo che si squagliava, sulle note di uno dei suoi cavalli di battaglia “Una ragione di più” Peppe ha iniziato a cantare.
La folla in delirio ha sottolineato la sua performance con fragorosi applausi anche se in verità, e qui parla il cronista e non l’amico, dobbiamo dire che l’esibizione di Peppe non è stata delle migliori (alla fine del concerto si è giustificato dicendo che le basi delle canzoni non erano quelle che lui usa normalmente). Comunque il successo è stato strepitoso e il pubblico come sempre ha mostrato di gradire la sua interpretazione e gli ha regalato oltre che un’accoglienza calorosa, una ‘standing ovation, culminata quando Peppe si è tolto la giacca e la lanciata ai suoi fan in visibilio.
Tra ringraziamenti, premiazioni e saluti la serata ha avuto termine e Peppe ci ha dato appuntamento alla prossima estate, al 3° Trofeo Arancino d’oro, ricco di sorprese, si è affrettato ad aggiungere, come del resto conoscendolo è nel suo stile.

martedì 6 settembre 2011

Il malocchio

Non c’era verso, non c’era esca che tenesse, avevo cambiato tutti i posti, moli nuovi e vecchi, Sutta a Frunti, sui massi di pietra della scarpata ferroviaria tra Favazzina e Bagnara, non c’era un cazzo da fare, non prendevo più un pesce.
Per giunta la mia gloriosa canna presentava segni di cedimento al terzo elemento, rumori sinistri, e ciliegina sulla torta un’infezione ad un piede che mi costringeva a zoppicare.
Ho provato con la barca a traino, niente, ho provato al fondo a surici, sono riuscito ad arroccare pure nella sabbia, addirittura pure il motore s’era rotto costringendomi ad un poco glorioso rientro a remi.
Non è che io ci tenga molto a prendere i pesci, molto spesso li libero, ma non sentire nemmeno un tocco mi faceva sentire solo, come rifiutato, come se la natura non facesse il suo corso.
Allora misi le canne in un angolo, niente più sveglie mattutine e pomeriggi assolati, solo lettura, sudoku, e orzate, quelle con lo sciroppo, fanno veramente schifo.
Il piede era guarito ed io m’annoiavo a morte, mi mancavano i massi, la maretta, il silenzio del mare, i gabbiani e pure i rompipalle che ogni tanto mi venivano a trovare.
Mia madre mai abituata a vedermi girare per casa mi chiese.
:- Cosa c’è Micuzzu ? – nell’intimità mia madre mi chiama così
Allora raccontai dei pesci che non mangiavano più, della canna quasi rotta, del motore che non partiva, del mare deserto.
:- E’ malocchiu, veni chi tu cacciu – disse sicura
Voi lo sapete come la penso su queste cose, ma per farle piacere e per la curiosità d’assistere direttamente al rito o meglio alla stregoneria, accettai.
Versò in un piatto dell’acqua, fece con la mano una serie di croci sullo stesso, recitando nel contempo, in un latino molto improbabile, una specie di litania.
Dopo avermi fatto segnare ,toccandomi la testa, intinse un dito in un bicchiere d’olio facendone cadere una goccia nell’acqua del piatto.
Dalla macchia d’olio subito se ne formarono altre.
:- C’è u malocchiu – mi spiegò – ma ora u cacciamu-
Rifece l’operazione fino a quando dalla macchia iniziale non si formarono altre macchie, alla fine il malocchio non c’era più, andato via.
Io ridendo la prendevo in giro :- Adesso sono guarito, saranno cazzi amari per i pesci -
All’indomani aggiustai la canna con l’Attak e me ne andai a pescare.
Mangiavunu paru paru, mezzu pagghiulu, e pure la canna sembrava nuova, non si lamentava più.
Ora non è che basta questa storia per farmi cambiare idea, ma una curiosità mi rimane, atroce:
:- Cu cazzu è chi mi fici u malocchiu ? –

sabato 3 settembre 2011

I nuovi mostri


Le tuffatrici


Primo pomeriggio di fine luglio, abbastanza fresco data la stagione, ero sul nuovo molo, quello nano, quello in pietra di sciumara , pescoso, pulito e non molto frequentato.
Accanto a me, mentre ero intento a non farmi fregare dai cefali, comparvero quattro fanciulle bellissime, sorridenti, quattro modelle di Botero.
Si volevano tuffare ma non osavano, data la mole, poi finalmente trovata la rampa adatta, la prima si lanciò con uno strillo acuto, seguita dalla seconda urlante e la terza roboante.
La quarta aveva paura, le altre dal mare l’incoraggiavano strillando e lei si scherniva sempre strillando, poi prese coraggio e si tuffò alzando uno spruzzo chi mancu na bumba i Caratella.
Incominciò così una serie interminabile di tuffi, sempre a bumba, sempre strillando, fottendosene completamente di me, della canna e dei cefali che nel frattempo avevano pensato bene di andare a mangiare in posti più tranquilli.
Mi stavo incazzando, poi di fronte a tanta gaiezza, giovinezza, pensai :- Chi sono io per disturbare questa felicità ? – posai la canna mettendomi a fumare.
Non riuscivo però a capire il motivo degli strilli, di quel baccano.
La risposta mi arrivò dalla base del molo.
Erano due ragazzi, adolescenti anche loro, spalle strette e gambe storte, sicuramente collinari, che attratti dagli strilli come gli squali dal sangue, erano pronti all’approccio.
Mi sembrava di vedere una scena di fine anni 60, pasoliniana, stessi personaggi, stesse atmosfere, ero affascinato, come vedessi un film del maestro.
La presero larga, nel senso che s’immersero alla base del molo poi, nuotando come solo i collinari sanno fare, s’avvicinarono alle tuffatrici venendo dal largo.
Più si avvicinavano più gli strilli aumentavano, quando furono veramente vicini gli strilli cessarono.
L’approcciò fu tra i più romantici che io ricordi :- Malanova un dai comu ti tuffi bonu –
E una delle ragazze, finalmente, invece di strillare, sorrise

La moto d’acqua


Stesso molo, stesso periodo, tardo pomeriggio.
Ad una ventina di metri di fronte a me una moto d’acqua, ferma come ancorata, bianca come la schiuma del mare, lucente al tramonto.
La cavalcava un essere peloso, ma veramente peloso, sembrava una ragno, un Vedovo Nero (era maschio) di bianco aveva solo la pelata .
Guardava fisso verso la spiaggia, puntava qualcuno.
La moto accesa in folle tossiva, come affogasse, lui puntava immobile.
All’improvviso partiva a razzo, faceva quattro piroette, poi ritornava allo stesso posto e puntava.
Quando ormai sulla spiaggia non c’era più nessuno anche lui se ne andava, verso Bagnara.
Il giorno dopo stessa scena, puntamento, piroette, fino all’imbrunire.
Lo stesso il giorno dopo.
A questo punto la pesca non m’interessava più, dovevo scoprire chi era il soggetto di tanto interesse, di tanto accanimento.
Venne allo scoperto.
Era enorme, quadrata, muscolosa, costume, manco a dirlo, nero con scollatura a spalanco e due vezzosi orecchini d’oro.
Era bella nella sua bruttezza, era fisica, cadente e tonica, non l’avrei toccata nemmeno con la mia canna e sono sette metri, non per ribrezzo ma per paura, mi dava la sensazione di una che finito il coito te lo stacca e se lo porta a casa.
Parlavano fitto fitto in dialetto separati dagli scogli, quando dalla riva arrivarono buci.
Era il marito, un mingherlino incazzoso, che armato di palo d’ombrellone richiamava la moglie che, lesta, rientrò verso la riva.
Il puntatore sfogò il suo dolore sulla moto d’acqua, accelerate, impennate, piroette, ed alla fine, peli al vento, si diresse verso il sole al tramonto.




giovedì 1 settembre 2011

NONSOLOPIZZA UN ANNO DOPO

E bene si, anche se non sembra ancora vero, è passato un anno dall’apertura della rosticceria “Nonsolopizza”, rosticceria che, per i pochi che ancora non lo sanno, Peppe e Luca De Franco hanno voluto fortemente a Favazzina.
Un anno, è giusto ricordarlo, ricco di soddisfazioni e che ha visto la rosticceria incrementare il numero dei suoi già numerosi estimatori.
Quest’estate oltre alle svariate prelibatezze che la rosticceria già proponeva (pizza, pasta al forno, lasagne, cannelloni, parmigiana, panzerotti, arancini, tramezzini, piadine, tortine, patatine, ecc.) i De Franco, grazie anche all’inventiva della cuoca Patrizia, hanno voluto incrementare la pur ricca scelta facendoci gustare anche la pizza ai fiori di zucca (deliziosa), l’arancino al pescespada (una vera sorpresa) e un ottimo, novità assoluta, pollo allo spiedo.
Ma se siamo qui, dopo un anno di distanza, a parlare ancora della rosticcerie “Nonsolopizza” è soprattutto per dare il suo giusto merito all’arancino che ha avuto (anche se un po’ c’è l’aspettavamo) un successo davvero strepitoso.
Sotto la sapiente regia della signora Patrizia una cuoca, non ci stancheremo mai di dire, bravissima e con l’aiuto di Lina, la moglie di Peppe, anche lei molto brava e di Lorena, la figlia, che sta facendo passi da gigante apprendendo rapidamente, a detta di Patrizia, i segreti della cucina, l’arancino, preparato con le loro sapienti mani, è diventato il simbolo della rosticceria, facendosi conoscere oramai in tutta la zona, varcando addirittura i confini dello Stretto e arrivando in Sicilia considerata, come tutti sanno, la patria degli arancini.
La soddisfazione maggiore, mi raccontavano Patrizia e Lina, è stato quando un siciliano, che si trovava a Favazzina di passaggio, assaggiando gli arancini, dopo averle fatto i complimenti, ha detto che sarebbe tornato ancora, e grande è stata la loro sorpresa quando, qualche giorno dopo, l’hanno visto entrare in rosticceria a comprare ancora degli arancini.
Se è giusto dare il merito a Peppe e Luca De Franco per aver avuto l’idea di aprire la rosticceria, non possiamo altresì riconoscere i meriti delle cuoche, Patrizia in testa, senza le quali, bisogna ammetterlo, la rosticceria non avrebbe avuto il successo che finora si è ampiamente meritato, poiché se i prodotti non sono buoni è difficile che la gente ritorni e come si dice dalle nostre parti “na sula vota si futti a vecchia”.
Con l’augurio che la rosticceria “Nonsolopizza” ci sappia regalare sempre nuove sorprese, come ha fatto quest’estate col gazebo in piazza e non finisca mai di stupirci con la bontà dei suoi squisiti manicaretti, noi saremo ancora qui a decantarne le lodi poiché, lo diciamo senza voler fare della retorica, il successo, grazie all’abilità dei De Franco, padre e figlio e alla bravura delle cuoche Patrizia, Lina e Lorena, la rosticceria se l’è saputo conquistare.

mercoledì 31 agosto 2011

L'Assunzione

Era il 15 agosto dell’anno di grazia 2011, due settimane fa,ferragosto per i vacanzieri, festa dell’Assunzione della Madonna per i credenti, un giorno qualunque per chi se ne fotte, giorno della finale del torneo di briscola e tresette, appuntamento annuale imperdibile per Le Long ed il suo inseparabile amico Natale.
Due volte in finale, due volte sconfitti, puttanazza della miseria ladra e leghista.
Ma parliamo dell’Assunzione, se no pari che era più importante la finale del torneo della festa.
Io immagino l’Assunzione con la Madonna ferma sulla cima di una collina, tipo Brancatò, e dopo un conto alla rovescia -10 -9 -8……..0 parti a razzu cu na scia di angioletti, rose fuori stagione e gigli impassuluti. Rientro con lo shuttle dopo qualche anno a Fatima supra a na pirara, sbagliando completamente atterraggio, vuliva andare in Vaticano.
Misteri della fede
Torniamo al torneo, la terza volta come finalisti.
Vittoria, vittoria, vittoria, ripeto vittoria, ribadisco vittoria, a li voti non capiscistu bonu, vittoria.
Merito di Natale che finalmente oltre alla classe a messo un po’ di culo e forse merito anche della Madonna che passando con lo shuttle per andare a Fatima, ci ha dato uno sguardo.
Come i grandi generali ho dormito prima della battaglia, anche perché non sapevo l’orario dell’incontro e ancor di più mi ero alzato all’alba per andare a cavagnole con mio fratello, una strage anche li, insomma giornata fortunata.
Ho visto tante cose al paese, avremo modo di parlarne, adesso dedico questo post al mio amico Natale anche se lui, d’altronde come me, leggermente se ne fotte.

sabato 27 agosto 2011

Favazzina on my mind




.....che dire ??? Le Maldive ciaponnu....

giovedì 11 agosto 2011

La ricrescita dei capelli







Non parunu tri rikk-neddi?
Aò, i tre di sotto

sabato 23 luglio 2011

Luglio a Favazzina

Eccoci qua, nonostante gli anni, e cominciano essere veramente tanti, e nonostante che la combriccola non sia al completo, ed è sempre più difficile rivedersi tutti quanti insieme, noi siamo ancora qui. Con lo stesso spirito, la stessa voglia di stare insieme..... ma non con gli stessi capelli!

Un saluto a tutti gli amici blogger. Non sapete quanto sarei felice di riuscire a passare una serata tutti quanti insieme.

mercoledì 29 giugno 2011

Stupefacenti e stupefatti


Sostanze Stupefacenti e Psicotrope
nel territorio di Favazzina



Spazzanasi - bacche di consistenza lignea prodotte dall'albero bagolaro. Si consumano previa masticazione che produce il caratteristico suono che fa pensare alla frattura del setto nasale, in realtà la frattura avviene in uno dei molari prescelti per la masticazione. Stupefatto Spusidda ne fa una precisa descrizione in uno dei suoi libri più riusciti: L'albero dei rosari.

Zucameli - steli di trifoglio, forse, acetosella, forse, agretti, forse. Si consumano prevalentemente per suzione, da cui il nome. Stupefatto, Linneo: "vafacitila nto culu cu tutti sti nomi!"

Vinocito malumbrico - si produce per pigiatura, fermentazione e ossidazione di bacche rosse locali chiamate racina. Stupefatto Bacco si dimette da ministro dell'agricoltura.

Cucuzza joint - stelo semilegnoso della cucurbita pepo, si consuma per aspirazione. Stupefatto il cavaliere che aveva sempre creduto di fumare marlboro.

Ficazzani - Opuntia ficus-indica, il frutto è ricco di vitamine e sali minerali e presenta una potente attività occlusiva. Stupefatto Statua A, ricordandosi di Cola, ha deciso di smettere definitivamente.

Sunna - pianta erbacea che cresce esclusivamente nei paraggi della stazione nuova. Serve da nutrimento all'unico boi di Favazzina, quello di cugginu Santu C. abbandasciumara. Il bue munito di regolare abbonamento a/r fa il pendolare per mangiare, come tanti. Stupefatto Chinnu dall'assillante domanda: " O Ninu, a sunna chi minchia è?"


Aggiornamento 28/06/11

Tortera d'alici fatta con le sarde - tortera d'arancia, pinoli, pangrattato, passuli, pistacchi di Bronte, mare di Mondello, barocco di Noto, teatro di Taormina, olio e sale. Rimanete nel dubbio fra alice e sarda e non mettete nè l'una nè l'altra. Stupefatto 'u Longu, unico commensale fra gli aristogatti.

lunedì 27 giugno 2011

NONSOLOPIZZA

Sembrava un azzardo, una scommessa persa in partenza, quello che Peppe De Franco l’estate scorsa si apprestava a fare. Aprire una rosticceria a Favazzina dove il mercato era praticamente saturo e da sempre vigeva il monopolio, pareva ai più un’impresa difficile da realizzare. Invece grazie alla sua caparbietà e all’intraprendenza di suo figlio Luca, un giovane dinamico e molto capace, quello che prima, come detto, poteva sembrare un azzardo, si è rivelata , alla faccia degli scettici, una scelta molto azzeccata.
Grazie alla bravura della signora Patrizia, una cuoca eccellente, e della moglie Lina, la rosticceria ha riscosso un successo davvero inaspettato, ma oltremodo meritato.
La decisione di puntare su prodotti locali e genuini e di mettere prezzi molto contenuti è stata la mossa vincente dei De Franco, padre e figlio, premiati oltremisura per la loro oculatezza.
Come lo stesso nome “Nonsolopizza” evidenzia, nella rosticceria non si prepara solo pizza, peraltro ottima e di diversi tipi, ma un po’ di tutto, dagli arancini, ai tramezzini, ai panzarotti, alle piadine (ottima quella con pecorino e capicollo) alla parmigiana, alla pasta al forno e alle lasagne.
Ma quello che più di tutti l’ha fatto da padrone è stato l’arancino, realizzato dalle due cuoche in diversi e svariati modi. Da quello più tradizionale con ragù e piselli, a quello ai formaggi, al salmone, ai frutti di mare e alla nduja, a quello più originale, senza riso, a base di salsiccia e melanzane.
Grazie all’idea di Luca, un favazzinoto davvero brillante, di suo padre Peppe e alle bravura delle due cuoche, l’estate scorsa abbiamo gustato dei prodotti eccellenti, che ci hanno fatto ricordare sapori oramai dimenticati (chi si prende più il tempo e la pazienza per fare la parmigiana o la pasta al forno come la facevano le nostre madri?).
Mi auguro che anche quest’estate e per molto tempo ancora noi tutti, villeggianti e non, possiamo godere delle prelibatezze che la rosticceria “Nonsolopizza“ saprà regalarci.
Io, conoscendo molto bene sia Peppe che Luca e la loro originalità, non ho alcun dubbio in proposito, anzi sono certo che ci regaleranno altre novità, e la domanda che mi pongo e che pongo a tutti voi è questa, cosa dobbiamo aspettarci ancora da Peppe e Luca De Franco?

venerdì 24 giugno 2011

L'esame di maturità

Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca
Esami di Stato conclusivi dei Corsi di Studio di Istruzione Secondaria Superiore

PROVA DI FAVAZZINOTO
(per tutti gli indirizzi: di ordinamento e sperimentali)

TIPOLOGIA A - TEMA DI ORDINE GENERALE
"Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti"
Il candidato, prendendo spunto da questa “previsione” di Andy Warhol, analizzi il valore assegnato alla “fama” (effimera o meno) nella società odierna e rifletta sul concetto di “fama” proposto dall’industria televisiva (Reality e Talent show) o diffuso dai social media (Twitter, Facebook, YouTube, Weblog, ecc.).

"Se Cola cacava non muriva"

Il candidato analizzi il valore scato-escatologico di questa affermazione del Caratozzolo proponendo un confronto critico in relazione alla previsione del Warhol.

TIPOLOGIA B - ANALISI DEL TESTO
1)"Petra chi non faci lippu sa leva a sciumara"
2)"Petra chi non rucciulìa faci a muffa"

Il candidato proponga un'interpretazione complessiva del testo numero 1, valuti l'affermazione in positivo del Galanti "speriamo m'è petra chi faci lippu"(cfr Favazzina blog post W gli sposi) e la confronti con l'affermazione del Mariuzza "non c'intra nenti ma va bene lo stesso"nel post Accademia della Fava.
Il candidato analizzi il testo numero 2 "Petra chi non rucciulìa faci a muffa", svolga una comparazione fra i due testi proposti e spieghi che cosa dovrebbe fare una pietra a Favazzina.
Infine il candidato conduca un'indagine etimologica del termine "lippu".

TIPOLOGIA C - TEMA DI ARGOMENTO STORICO
Lo storico Eric J. Hobsbawm definisce Secolo breve gli anni che vanno dalla pavimentazione della via marina fino al collasso del Circolo Autonomo Sportivo (CAS). A suo giudizio, “la struttura del Secolo breve appare come quella di un trittico, di un sandwich storico o al più comu na pagnotta china di pumaroru e mulingiani friuti. A un’Età della catastrofe, che va dal 1950 sino ai postumi della prima versione (o toccu) di Patruni e Sutta, hanno fatto seguito una ventina d’anni di straordinaria crescita economica e di trasformazione sociale, che probabilmente hanno modificato la società favazzinota più profondamente di qualunque altro periodo di analoga brevità. Guardando indietro, quegli anni possono essere considerati come una specie di Età dell’oro, e così furono visti non appena giunsero al termine all’inizio degli anni ’80. L’ultima parte del secolo è stata una nuova epoca di decomposizione, di incertezza e di crisi – e addirittura, per larghe parti del paese come 'a Rimembranza, l’ex Pastificio e il litorale Sena-Suttafrunti, un’Età di catastrofe”.
Il candidato valuti criticamente la periodizzazione proposta da Hobsbawm e si soffermi sugli eventi che a suo parere caratterizzano gli anni ’80 di Favazzina.


TIPOLOGIA D - REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE”
"Ava cazzu! rissi Labbati quandu vitti a so soru prena
.
"Cola cula u cafè".
"Spetta mamma, prima mi lavu i mani e poi u culu".

L'ironia favazzinota è motivo di disaccordo. Alcuni studiosi la considerano una forma della cazzunaggine. (Longu: "Cazzunaggine e stortami: similitudini e differenze"; Spusidda-Longu: "Cazzon chi legge"). Altri autori negano l'autonomia di tale ironia che non presenta tratti distintivi dai caratteri comunali (Croceocrocè: "Perchè non possiamo non dirci cucuzzi longhi").

CONSEGNE
Sviluppa l’argomento o in forma di «saggio breve» o di «articolo di giornale», utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti.
Se scegli la forma del «saggio breve» argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi.
Se scegli la forma dell’«articolo di giornale», indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato.
Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.

giovedì 23 giugno 2011

Fiat lux

Per gli amanti del genere



venerdì 17 giugno 2011

Scene d'agosto a Favazzina

In estate u terraneu è l’aria condizionata dei poveri nel nostro amato paese.
Scindi a sira da sciumara senza far rumore, muove al massimo qualche fogghia i nespulara e poi ti rinfrisca, ti rende tonico.
A casa mia basta na ‘ngagghia i barcuni e si dormi i padreterno, burdellu pirmittendo.
A proposito i burdellu chiddu ri motorini è terrificante, na vota si corteggiavano le ragazze a peri, ora si usa il motorino, ‘mpinnati, accelerate, frinati, alle tre di notte, menu mali che nessuna Entità Superiore ha mai accolto le malanove chi ‘nci mandu, mi sarebbe dispiaciuto.
Il paese è fatto per non dormire e forse è meglio così,
A matina intesa come alba, chiddu ru pani, immediatamente dopo u camion ra spazzatura che si ferma per il caffè lasciando il motore e la puzza accesi, poi chiddi ra frutta, poi passa chiddu ch’aggiusta cucine (novità) comu se le cucine si spasciassero un giorno si e l’autru puru, poi chiddu chi vindi materazzi, comu cazzu si faci mi s’accatta nu materazzu an’mezzo a purbiri ra strada ?
Poi arrivano i ciclisti a prendersi la granita con il pirla o megghiu u cazzuni, che racconta agli altri, urlando, come ha affrontato a ‘nchianata i Sant’Elia e tu che speri che prima o poi faccia un frontale cu l’atabus i Bergumu, senza farsi niente, solo perdere la voce per la paura.
Nell’immediato pomeriggio arriva chiddu di muluni a prova o senza prova, questione di fiducia, il vero problema è fare entrare u muluni rintra o frigoriferu, poi arrivano le bagnarote con le spatule invendute a Bagnara, inseguite dai gatti randagi e da sciami di vespe, la bandiata ti penetra nel cervello specialmente se accennavi ad un pisolino pomeridiano.
E allora Sutta a Frunti, per riposare, ma anche lì è diventato un casino.
Da qualche anno proprio Sutta a Frunti fanno un raduno di motoscafi, gommoni, si ancorano e fanno il bagno, fin qui niente di male.
Siccome la mamma dei cazzoni è sempre incinta, alcuni si ancorano a pochi metri dalla riva, musica ad alto volume, di quella che rimbomba di scoglio in scoglio, ma dico io, puttanazza di quella spundatazza, il mare è talmente grande, immenso, infinito, e tu proprio in questo angolino devi venire a rompere i coglioni.
Poi ci sono i sub, i cacciatori subacquei, esplorano ogni centimetro quadrato di fondale armati di fiocine, arpioni, sparano pure alle viole, se non stai attento sparano pure a te sullo scoglio scambiandoti per un tonno a pinna gialla per via del colore della maglietta.
La maggior parte vengono dagli altopiani, molto spesso confondono le lardite con le meduse e le raccolgono, sai che bruciore di stomaco.
Finalmente la sera in piazza, dove pare che tutti i bambini della provincia si siano dati appuntamento.
Ragazzi non c’è lavoro, non c’è futuro, ma si tromba alla grande.
Passeggiata con gli amici tra biciclette che ti sfiorano, bambini che cadono, mamme che urlano, gelati che si sciolgono, amari che si scaldano, non rimane che la ribba o mari, sperando di non disturbare qualche coppietta.
Eppure non saprei come e dove divertirmi di più, amo questo casino, amo non dormire, mi piace l’aria, gli odori, la gente, il rompimento di palle poi mi passa, rimane il gusto amaro e dolce, tenero e gentile del mio paese.

mercoledì 15 giugno 2011

EVVIVA GLI SPOSI!!!

l'11 giugno Enza a figghia ra bagnarota si maritau
auguri



saluti

un caro saluto a tutti gli amici "Favazzinoti"...

lunedì 13 giugno 2011

I giochi della mia infanzia

L’altra sera guardando un programma in televisione, ho visto un filmato in bianco e nero risalente agli anni ’60 dove dei bambini facevano gli stessi giochi che anch’io quando ero ancora ragazzino facevo a Favazzina coi miei amici.
Devo confessare che mi è venuta una struggente nostalgia ed anche un po’ di commozione pensando a quei tempi vissuti in modo spensierato dove ci bastava davvero poco per divertirci ed essere felici.
Per quelli nostalgici come me e per quelli più giovani, che sicuramente non li conoscono, cercherò di elencare i giochi che facevamo allora, sperando di ricordarmeli e, alcuni spero, nel modo giusto.
-Cu palluni
-Cu ligneddhu
-Cu palorgiu
-A mucciateddha
-A surdati e briganti
-A venga
-O masru (chi chiappi)
-O ngioppu
-A scarricasali
-A linia (chi sordi)
-O parmu (chi sordi)
-Chi nuciddhi (a Natali)
-Chi ligna nto cunduttu (chi nomi ri corridori)
-Chi brigghia
-Ca fionda
-Cu circu
-A l’indiani (Sutt’a Frunti)
-E pirati (chi spadi i lignu)
-O schiaffu
-O cucuzzaru
-E statui (nta marina, non sugnu sicuru ru nomi)
-O campanaru (cchiù i fimmini)
-Cu mari forti (i ‘nbernu)
Spero, soprattutto a quelli della mia età o a quelli più grandi, di avervi fatto ritornare indietro con la memoria e di avervi ricordato la Favazzina dei nostri tempi.
Se nell’elencare i giochi della nostra infanzia me ne sono dimenticato qualcuno o non l’ho detto in modo corretto, potete sempre aggiungerlo o correggerlo.

sabato 4 giugno 2011

Informazioni Referendum del 12 e 13 giugno 2011

Informazioni un pò di parte, la parte che tiene al bene comune! E al diavolo la par condicio. Ovviamente chi ha idee contrapposte può farsi avanti, non è vietato.



Per il quarto quesito riguardante il "legittimo impedimento", si deve votare " SI" se
si vuole eliminare la facoltà degli attuali e futuri Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministri, di poter sottrarsi ad eventuali processi giudiziari a loro carico.Votando " SI" quindi si mantiene ben saldo il significato de "La legge è uguale per tutti" secondo l' articolo 3 della Costituzione che recita testualmente:"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

Come avrete intuito, per il su detto quesito manca il video informativo, a cui ho cercato spero decentemente di sopperire mediante scrittura, perchè non son riuscito a trovarne uno nel quale non vi sia la presenza di simboli o rappresentanti dei partiti vari.

In verità un video attinente, se così si può dire, al legittimo impedimento l'avrei pure trovato...
ma così... giusto per "ALLEGGERIRE" un pò i toni...


Scherzi a parte... Le idee relative ai quesiti a cui siamo chiamati a rispondere nel referendum del 12 e 13 giugno non devono appartenere a nessuna logica partitico-politica, ma devono essere dettate dal sentimento del bene comune.

giovedì 2 giugno 2011

Intervallo

martedì 31 maggio 2011

buongiorno MILANO!!! buongiorno ITALIA






Ben ri-svegliata città che oggi sei la mia città!
spero che quest'aria di cambiamento si estenda
in tutta Italia e che il malgoverno vada a casa
definitivamente...abbiamo bisogno di gente onesta, di
energia nuova che faccia progredire il nostro
Paese.
Spero che il nostro amato Sud si desti e che
capisca che è molto semplice cambiare se il
popolo lo vuole!

Statua non ti abbattere, resisti e vedrai che
presto o tardi le cose miglioreranno. Non vorrei
fare semplice ottimismo ma sono sicura che
ce la possiamo fare, c'è tanto lavoro ma si può fare!
Baci

mercoledì 25 maggio 2011

notizie da MILANO!!!!

a Milano c'è un'aria meravigliosa...vi faccio partecipi !!!!
resistiamo nonostante le bassezze, le ingiurie, le calunne



lunedì 23 maggio 2011

Favazzina su “Focus”

Una volta tanto, a proposito della Calabria, non si parla di ‘ndrangheta, di cronaca nera o di mala sanità, ma di giovani con idee brillanti che hanno voglia di fare qualcosa di concreto per lo sviluppo della nostra bistrattata terra.


sabato 21 maggio 2011

La primavera e la voglia di Favazzina

Sono sempre più convinto che per tutti noi, Favazzina sia una specie di malattia, tant'è che non appena sento un minimo di caldo mi viene subito voglia di puntare il muso della Yaris verso sud. A volte, la notte, dal terrazzo di casa, mi diverto a guardare le luci dei paesi sulla collina e immagino il mare nella valle buia. Sarà che sono due anni che manco dal nostro Paese, ma forse dipende anche dal fatto che non vedo l'ora di far toccare a mia figlia il suolo favazzinoto. Chissà se le piacerà? Chissà se saprò insegnarle, come mio padre ha fatto con me, l'amore per questi posti. Mi piace sperare che possa trovare nel Paese tutto quello che negli anni ho trovato io, magari anche un po' di più e, soprattutto spero che riesca a conoscere la vecchia Favazzina (o ciò che ne rimane) prima che scompaia per sempre. Vabbè vado a fare i conti per le ferie! Spero di rivedervi presto.

giovedì 19 maggio 2011

Popolo nomade



Il treno come veicolo di pubblicità, e simbolo della grande migrazione meridionale

mercoledì 18 maggio 2011

Maggio e Favazzina

-La prima Comunione
-Le calle (i gigghj)
-Le camelie nell’orto a Favareca
-Le fragole a Fermo e Brancatò
-Le violette a Brancatò
-Il profumo intenso della ginestra a l’Ariedda
-Il profumo delle rose negli orti e nelle vigne
-I mureddhi a Samperi e a l’officina
-Le nespole rubate negli orti
-Le fave rubate negli orti (soprattutto a Sena)
-Le ciliegie rubate nell’orto i Pino F. (non è riuscito mai a mangiarne una)
-I primi bagni Suttafrunti
-Le sere in chiesa per la novena della Madonna, le vecchiette a cantare (...Bella tu sei qual sole, bianca più della luna, e le stelle, le più belle, non son belle al par di te. ),noi per guardare le ragazze.
-Le gare coi legnetti nto cunduttu.
-Le ... quanti ricordi!
Questa era Favazzina a maggio!

martedì 17 maggio 2011

la libertà non è star sopra un albero....

stamattina sono andata in ufficio a piedi, è una giornata
bellissima ..mi sentu megghiu!!


martedì 19 aprile 2011

Aria di Cambiamento, Solito Smottamento


A proposito del fatto che non cambia nulla mai, dopo qualche giorno di pioggia, eccovi l'ennesimo evento franoso nelle montagne tra la nostra Favazzina e Scilla.
Quante volte abbiamo assistito a tali eventi e quante volte ci è stato detto che si sarebbe intervenuti per mettere in sicurezza il territorio?
E pensare che proprio a Marzo erano stati ultimati gli interventi di messa in sicurezza per un investimento complessivo di 4 milioni 500mila euro....
La storiella si ripete....