Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

mercoledì 9 giugno 2010

Il ciliegio

In dialetto si chiamano “maitiche” e sono una qualità di ciliegie che maturano a maggio (spero di non scatenare un'altra diatriba).
Pino F. ne aveva un albero nel suo orto, quello a ridosso della strada che porta alla stazione, precisamente all’altezza ru campu, dietro l’orto ru Tighiri.
Era in bella vista e chiunque passasse per quella strada non poteva non vederlo.
Tutte le mattine mentre mi recavo a prendere il treno per andare a scuola, davo una sbirciata all’albero e verificavo lo stato di maturazione delle ciliegie.
Ma non ero il solo poiché, come me, vi erano anche altri ragazzi che tenevano sotto costante controllo le ciliegie. Era una gara contro il tempo e chi prima coglieva l’attimo, meglio si serviva, in quanto tutti gli anni gliele rubavamo.
Il padre di Pino faceva il commerciante di agrumi e non aveva tempo per andare all’orto a coglierle, Pino era ancora piccolo, per cui le ciliegie erano a nostra disposizione.
Divenuto grande, Pino si lamentava che mai, lui e la sua famiglia, erano riusciti a mangiarsi una sola ciliegia di quell’albero e piuttosto che averne bene gli altri, suo padre aveva deciso tagliarlo.
« St’annu ma viru ieu e i cirasi non mi fazzu futtiri», così andava dicendo a chi gli faceva allusione sulle ciliegie e al fatto che fossero quasi mature.
Le curò per tutto il tempo fino a quando, ormai mature, sia lui che noi aspettavamo il momento propizio, lui per coglierle, noi per fregargliele.
Di me si fidava e quando glielo chiesi mi confidò che il giorno dopo sarebbe andato a coglierle.
La sera stessa informai gli altri ragazzi e insieme andammo nell’orto e gliele spazzolammo tutte.
Non ne lasciammo nemmeno una sull’albero.
Al mattino mentre andavamo a prendere il treno, vedendo l’albero completamente spoglio, tra lo stupito e l’arrabbiato esclamò «Sti figghi i buttana, puru sta vota mi futtiru i cirasi».
Feci una faccia di circostanza e cercando di consolarlo gli dissi «Tu rissi ieu chi l’avivi cogghiri prima»
Fu l’ultima volta che mangiammo quelle ciliegie poiché suo padre, mantenendo fede alla promessa, purtroppo per noi, lo fece tagliare.
Dice un proverbio calabrese “l’arburu chi non da frutta, sciunetta e focu”, ma quel ciliegio la dava la frutta e anche buona!

1 commento:

arcade fire ha detto...

ecchiè? i cirasi non mbalunu?

Mimmo quando tu cominci un racconto con "maitiche" vado in brodo di giuggiole, e ti vedo come il cantore, l'unico, della Favazzina ancestrale.
Molto bella, ciao.