Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

venerdì 26 febbraio 2010

UN FAVAZZINOTU A PARIGI

Al Charles de Gaulle ho aiutato il pilota a frenare durante l'atterraggio, che paura ragazzi, me la facevo sotto.
Ho frenato solo stringendo i denti, comu fici Vicenzu u Muzzu prima di tamponare la macchina da bonanima i Cicciu u Piloru.
Un favazzinotu a Parigi perchè io le distanze le calcolavo come se fossi a Favazzina.
Ad esempio, per andare dalla Place de la Concorde a l'Arc du Triomphe attraverso le Champs Elysees, è come andare da Favazzina a Bagnara a piedi.
Alla Tour Eiffel, sbagliando fila, siamo capitati dalla parte dove si sale a piedi, come da Favazzina a Solano Inferiore senza l'ausilio dei pianori, tutta 'nchianata.
Il primo giorno siamo andati a piedi dall'hotel vicino alla Gare de l'Est fino a Notre Dame, comu i Favazzina a Villa S.Giovanni.
Non ci crederete, ma pur di sedermi, mi sono ascoltato la messa in francese, poi dicono che le chiese non servono.
Ho avuto solo qualche problema con l'acqua santa, bruciava, per mia moglie invece era normale.
Al Sacre Coeur a Montmartre, n'autra 'nchianata, come andare a Micuni, altra messa in francese, stavolta non mi sono avvicinato all'acqua santa.
Al Louvre e al Musèe d'Orsay quello che ricordo con gioia, erano i sedili molto comodi che ogni tanto s'incontravano, sembravano divani.
La metropolitana parigina ce l'aveva con me, abbonamento giornaliero e mia moglie passava, io no, il mio si smagnetizzava all'istante e non potevo passare.
O mali viruti, i francisi pinzavuni chi vuliva 'mbrugghiari.
Con la lingua, lo sapete, non avevo problemi, quando ne sorgeva qualcuno parlavo il gramelot, formato di favazzinotu strittu, italiano, milanese, bagnarotu ra marinedda, e na spolverata di palmisanu con sfumature chianote.
Ho arrichito il mio calendario, specialmente quando mia moglie, nei vari boulevards, si fermava ad ogni vetrina.
Vuoi mettere S. Germain, S. Lazare, S. Michel, S. Martin, S. Apollinaire, le Sacre Coeur e via dicendo, un altro mondo, altra classe.
Comunque, cari lettori, Parigi è bellissima, vale la pena sia di fare tanti chilometri sia di calarsi tutto il calendario

giovedì 25 febbraio 2010

Il sesso degli angeli

L'ecografia ha eliminato il problema. Le onde ultrasonore disegnano la figura del bambino e con certezza quasi assoluta rivelano il sesso del nascituro. Le coppie gradiscono molto: sapere il sesso è già un pò programmare il futuro, dal colore del corredino e della cameretta alle attività artistico-sportive, danza per lei, calcio per lui, pianoforte per entrambi.
Ci sono però gli irriducibili che non vogliono sapere, maschio o femmina sempre un figlio è, in ogni caso i nomi sono già scelti, Naomi o Noemi, Nic(h)olas o C(h)ristian, i naturisti del parto in casa, coi pannicelli, l'acqua bollente, la levatrice.
Come un tempo, quando si auguravano che fosse maschio ma cosa sarebbe venuto non lo sapeva nessuno.
Eppure uno che poteva sapere c'era: P* L* di Favazzina. Tra una chiacchiera e l'altra, in piazza Santa Croce, diceva all'amico dell'esistenza di un metodo infallibile per conoscere in anticipo il sesso del bambino. Non era difficile per un esperto come lui: gli sarebbe stato sufficiente guardare la forma, l'orientamento delle svasature, valutare la globosità.
-Ra panza?- chiese l'amico
-No, ru culu- rispose P.
-Comu no? ora ti fazzu viriri u culu i me mugghieri.
-Ou, ieu non ti circaia nenti. Sei tu che vuoi sapere.
La storia è questa, ufficiale e documentata.

La leggenda tramanda di un appuntamento sul campo per l'osservazione. Lo scienziato guardò, misurò, soppesò senza toccare nulla e annunciò il risultato.
-Masculu e fimmina-
-Chi voli diri?- chiese il futuro padre, leggermente preoccupato.
-Gemelli.

...un metodo scientifico non può prescindere dal risultato che deve essere prevedibile, misurabile e riproducibile. Ci possono essere piccoli scostamenti dal risultato atteso, sono tollerati e non inficiano la correttezza formale del metodo...

Nacque un figlio maschio e lo chiamarono Rocco, come suo nonno.

martedì 23 febbraio 2010

Passeggiate filosofiche (en attendant le maître)

Aveva piovuto la notte prima, ora il sole scaldava l'aria e il boulevard St Germain finiva d'asciugarsi, Lipp non ci aveva pensato due volte a piazzare sulla strada i tavolini per la prima colazione. Seduto a uno di questi tavolini, leggeva Libèration e versava nel bicchiere vino alsaziano: Le Long beveva e si leccava i baffi. Allo stesso tavolino, mangiava aringa marinata e beveva birra alsaziana: il gatto si leccava i baffi. Assorti nelle loro attività ignoravano il rumore di fondo della città e le ciacole dei passanti, si godevano le ultime ore rimaste prima del rientro in Italia. Le Long sollevò il bicchiere di vino per osservarne il colore e poi bere, lo vide e riconobbe quelle lenti spesse come culi di bottiglia, la capigliatura, la grandeur della sua andatura tra la folla.
-Democrito, tieni la testa bassa e fai finta di niente. C'è il rompicoglioni.-
Il gatto infilò per intero il muso nella scodella delle aringhe, Le Long affondò la faccia nel mezzo tra le pagine 24 e 25 del giornale.
-Olalà, quelle coïncidence! Il professor Le Long, c'est extraordinaire.-
Le Long tenne duro, non si mosse e non parlò. Il gatto fece lo stesso.
-Mon cher Dominique, vi ho ascoltato da Gallimard hier soir. J'admire votre pensée philosophique.-
Abbassò il giornale, rassegnato. Il gatto sollevò la testa.
-Le cynisme favazzinien, voglio ammettere, è une théorie très intéressante.-
Le Long represse uno sbadiglio dentro il palmo della mano, ne venne fuori un pernacchietto in sordina.
-Mais trop élémentaire, je pense, voi dovete venire définitivement à Paris. La mia scuola è toujours ouverte a un discepolo come voi.-
-Mi sposto poco da Favazzina, con la mente mai, e quel poco ça suffit. Comprenez-vous, monsieur...monsieur?-
-Vi piace scherzare, mio caro, tutti mi conoscono, tout le monde. Anche il vostro gatto Eraclito, ci scommetto.-
Il gatto lo guardò in cagnesco, Le Long corresse: -Democrito, monsieur.-
-Mais oui, mais oui, Democrito, Eraclito, il n'y a pas différence. Io non prendo in considerazione queste filosofie vecchie.-
Le Long lo guardava fisso negli occhiali senza parlare, il gatto pure.
-Io considero la vostra filosofia, Le Long, tributaria del grande fiume che è l'existentialisme come io l'ho concepito.-
Le Long come prima, il gatto pure.
-Per questo voi siete un mio discepolo e dovete venire alla mia scuola.-
Continuavano a guardarlo.
-Io sono pronto a insegnarvi, voi dovete imparare, io perfezionerò le vostre idee, io sono...-
-Un cazzone!-
Le Long immobile, il gatto pure.
-Chi ha parlato? Chi si è permesso de dire ça?- sbraitò irato.
Le Long e il gatto non risposero.
Si passò una mano sui capelli incollati al cranio, si aggiustò gli occhiali sul naso e si tuffò tra le onde umane che scendevano lungo la rive gauche finché divenne irriconoscibile alla loro vista.
Le Long riprese a leggere il giornale dalle pagine culturali, il gatto lo guardava. Lo sport e poi gli spettacoli, le previsioni del tempo e i necrologi, il gatto continuava a guardarlo.
Era insopportabile e non sopportò, abbassò il giornale, voltò la testa verso di lui e disse:
-Va bene, te lo dico. Sono ventriloquo. Embè?-

lunedì 22 febbraio 2010

Il Gatto e la Vicina

La mattinata si preannuncia veramente noiosa, mia moglie è andata a lavoro, il gatto sonnecchia sul divano, e a me non rimane che guardare fuori dalla finestra la pioggia che cade giù. La vicina di casa ha cominciato a gridare, sbraita contro i suoi figli e il micione salta dal divano. E’ completamente fuori di testa, e mi rompe i maroni. Tipica vicina invadente, appena mi vede mi chiede del gatto, “guarda che il tuo gatto è venuto a fare le sue cose nel mio giardino”. Scusami! La prossima volta chiamami, così raccolgo la sua cacca. Stronza! Pallino è un gatto maschio ed è sempre a caccia nel suo giardino, a caccia di che poi? L’erba, quella che rimane è bruciata dal gelo, gli alberi sono spogli, forse cerca il topo di questa estate, un grosso ratto che usciva dal tombino della sua fogna a cielo aperto. Non si dovrebbero avere vicini di questa taglia, è grassa, poi quando sorride fa spaventare il mio gatto. Pallino è magro, tranquillo, ogni tanto si alza, sbadiglia e si stira, poi torna di nuovo a dormire tra il cuscino e il poggiabraccio del divano. Intanto ha finito di piovere, adesso mi faccio un caffè, la giornata è lunga e mia moglie arriva sul tardi.

giovedì 18 febbraio 2010

Carnelevare



Viva Carnevale

mercoledì 17 febbraio 2010

UN VIAGGIO NEL TEMPO

Arieccomi.. con delle chicche!
Chi le conosce queste?

All'epoca del binario unico (a sinistra c'è il casello dei miei nonni, sparito dopo il secondo binario).
La distesa di limoneti fa impressione..




e la Chiesa, la strada in pietra e un pezzo di casa della romanaccia (tale e quale)






Vineddi e Filanda..




Per finire in bellezza, a casa ru Longu e... a casa ru Grecu aundè???




martedì 16 febbraio 2010

L'ultimo carnevale

Sentite, vi sparo l'ultima bombetta di carnevale: se avete fornelli accesi, smorzate, se dovete mangiare fatelo prima mi si rifridda, ma il mio consiglio è di impiegare meglio il vostro tempo e evitare.
Se non avete seguito il mio consiglio seguitemi ancora, vi insegno un bellissimo gioco di carnevale ormai estinto. Se si sono estinte le civiltà precolombiane cosa volete che sia la scomparsa del gioco ru ligneddu, il nostro baseball che andava in scena al Giant's Rimembranza. E scarricasali chi lo ricorda? era un ponteggio umano fatto da ragazzi sistemati a pecurumbè uno dietro l'altro, gli avversari ci montavano sopra dopo una rincorsa e dovevano farlo crollare concentrando il peso su un preciso elemento, quello che valutavi il più fragile.
C'era mmucciatedda nta filanda, il reticolo di viuzze si prestava, c'erano le ciappe e c'era tanto da fare che non s'aveva tempo mancu mi si vai a luttrina.
Questo a Favazzina, ma il gioco estinto di cui vi voglio parlare si faceva a Reggio, si poteva fare solo in città. Era il vero gioco di Carnevale e si chiama cacciacappeddu. Occorre un viale da passeggio quando è sera, un filo aereo (i cavi telefonici sono perfetti) esteso tra un edificio e l'altro di una traversa che confluisce nel viale, uomini con il cappello, almeno cinquanta metri di pilivermu di spessore adeguato ( non so di che calibro, anzi sono ammirato quando sento quelli che dicono del 14, no del 18, meglio del 22, non ci capisco), una molletta di legno quella da stendere i panni: il gioco è pronto. Non mi dilungherò, avete capito come funzionava.
Si lega la molletta a un capo del pilivermo, si lancia in aria facendole oltrepassare il filo sospeso della Sip, il cacciatore di cappelli nasconde la molletta in tasca e aspetta, il manovratore controlla la cattura qualche metro più in là nella traversa, gli altri ragazzi fanno le comparse cercando di rallentare l'andatura del soggetto preso di mira.
L'agguato si porta alle spalle, si pinza la tesa del cappello e contemporanemente si aiuta lo scappellamento scalzando leggermente dalla testa, il manovratore tira e il cappello e là beffardo a mezz'aria che galleggia e fluttua. La reazione dello scappellato in genere è mite, di sorriso, lo stesso che ti viene istintivamente quando il vento te lo porta via e rotola per la strada, a quel punto il cappello si fa scendere alla portata ma quando il legittimo proprietario l'ha quasi ripreso glielo sfili sollevando e qua ci vuole la perizia del manovratore: ce n'erano di quelli che avevano una fama tale da essere chiamati a manovrare sul Viale Quinto, in via Aschenez, a Tremulini, dovunque si scappellasse.
Lo scenario più importante dove si faceva questo scherzo era corso Garibaldi. Vuoi per l'abbondanza di passeggio, vuoi perchè c'è la tribuna offerta dalla scalinata del Teatro Comunale, il cacciacappeddu nel corso era spettacolare, una location ambita anche per la varietà delle vittime.
Il parroco di Sant'Agostino saliva la vasca verso nord, la faccia dipinta dell'usuale bonomia, quando vide il suo cappello, quella specie di disco volante che poco fa aveva in testa, salire a mezz'aria reagì da uomo pio qual era, benedetti figliuoli ma che birbantelli. Sarà che quella specie di torta era pesante, sarà che il cacciatore l'aveva agganciato male, la molletta cedette e il cappello finì sul tetto del 7 barrato Eremo botte-Gebbione. Occazzu, u me cappeddu, disse il reverendo. Tutti a schignazzare a urlare a curriari l'autobus. L'autista fermò agli schiamazzi ma si rifiutò di far salire sul tetto chicchessia. Il cappello lo recuperarono i pompieri venuti appositamente da Piazza Castello.
La mia banda faceva il cacciacappeddu sul viale Galilei, prossima periferia sud. Rione di ferrovieri e pescatori, altro che lustrini e luci del palcoscenico come al corso, qua passavano uomini che ne avevano per le palle di scherzare dopo una giornata di lavoro duro, qua rischiavi puntati nto culu di brutto.
Sono ancora convinto che l'uomo avesse subodorato, finse di stare al gioco poi come un lampo saettò verso il posto di manovra. Scappammo e mentre scappavamo Consolato Z. spero involontariamente mi sgambettò. Mi spaccai il naso sull'asfalto, qualcuno mi accompagnò a casa che ero stordito e nzanguliatu.
Mio padre s'incazzò per tre motivi: era sicuro che avevo fatto a botte, vedeva che le avevo prese e aveva dovuto interrompere la visione di uno dei suoi western televisivi preferiti.
Ero avvilito, il dolore non era importante mi faceva più male non essere creduto. Non credo c'entrasse l'emulazione forse capì che doveva allentare la tensione scherzando, venne al mio lettino con la bottiglia in una mano e un bicchierone nell'altra, disse :
-Bevi un goccio di whisky, ti farà bene-.
Avevo la testa e gli occhi offuscati , sicuro, ma vi giuro che lo riconobbi, col fazzoletto attorno al collo e un gilet di pelle. John Wayne, preciso.

lunedì 15 febbraio 2010

Google e Favazzina

Ieri sera mi stavo divertendo a fare un giro su Google Maps e ho deciso di provare Streetview. Per la verità l'avevo già provato qualche anno fa, ma mi sono accorto che nel giro di poco tempo è molto migliorato. Faccio un giro per Parigi, Londra, Barcellona.... poi ..... mi viene in mente una strana idea. Digito "Favazzina" il buon Google Maps mi restituisce la foto satellitare del nostro Paese. Vabbè. Nulla di nuovo, ma noto che l'omino di Street view è giallo. Non posso crederci. Trascino l'omino giallo sopra Favazzina e.... mi trovo a fare un giro virtuale nel Paese. Vi faccio vedere qualche foto, ma scommetto che a quest'ora sarete già a provarci personalmente.










a me casa










a Piazza










a Spiaggia

Ma qualcuno di voi ha mica visto la macchinina di Google aggirarsi per il Paese?

Spusey e l'altruismo

Un famoso detto calabrese dice :- Non ciangiu pirchì mi muriu a iatta, ciangiu pirchì a morti s'imparau a porta i casa -
Infatti a cummari Nunzia 'nc'iva morutu a iatta e a morti, c'ormai sapiva a strada, sa pigghiau ri peri, na notti i 'mbernu, cu na tramuntana fridda.
Spusey odiava i funerali, ma conoscendo tutti era costretto ad andarci spesso, mentre Le Long e lo Smilzo, non se ne perdevano uno, erano parte attiva, addirittura 'mbuttavunu 'nto tambutu, anche se Le Long creava qualche problema, scompensava,sparigliava, metteva fuori squadro la salma.
Tutti pensavano quanto fossero bravi quei ragazzi, Spusey invece sapeva che c'era qualcosa di perverso, come se divertissero.
Erano arrivati al punto di unirsi alle donne per piangere il morto, specialmente Le Long, amava ripetere, sottolineare le doti, le virtù del defunto, anche quando si trattava, sempri bonanima, di emerita testa di cazzo.
Erano diventati pure amici dell'impresario funebre, tutti lo evitavano per via di una noiosa scaramanzia, loro invece no, lo coccolavano, l'assistevano, lo chiamavano maestro.
Quel giorno al funerale di cummari Nunzia, Spusey cercò i suoi amici con lo sguardo, c'era lo Smilzo, Le Long no.
Strano, molto strano.
Il funerale s'avviò dalla casa dell'estinta verso la chiesa, Sppusey chiese allo Smilzo
:- Aund'è Le Long ?
:- Perchè me lo chiedi ? sono forse io il suo custode ? - rispose lo Smilzo
:- Chi fai rispundi comu a Cainu ? E' semplice curiosità -
Non era risposta normale, sapeva ma non diceva, lo copriva.
Approfittando della pausa della messa fece un salto sul molo, nonostante una mare interessante per la pesca, nessuno, al ritorno suonò il campanello di casa, nessuno.
Era preoccupato, Le long che si perdeva un funerale, impossibile, forse era successo qualcosa.
In fondo non c'era niente di male, un giovanotto che non partecipava ad un funerale era una cosa normale, naturale.
Ma il suo animo d'investigatore era in subbuglio.
Aundi cazzu era ?
Il funerale arrivò alla porta del cimitero, il prete fece la solita doccia d'acqua santa a quelli ch'imbuttavanu davanti e si beccò le solite malanove sottovoce.
Era talmente strambato che al commiato, invece di esprimere il suo cordoglio, si complimentò con i parenti della morta.
Apparve all'improvviso, alla fine della coda per il cordoglio, cu sciatuni, aviva na faccia sbattuta, i capiddi all'aria.
Parrava zittu zittu cu Smilzo.
:- Aund'eri Le Long ? - chiese Spusey
:- Non tu pozzu diri - rispose Le Long
:- Stai attentu le Long, conosci la lunga mano della legge -
:- No, conosciu i corna longa di qualcuno, comunque non tu pozzu diri, questioni d'altruismo -
E allora Spusey capì che Le Long aveva tolto qualche pruriggine approfittando del funerale.
Il sole calava lentamente allungando le ombre dei limoni, Spusey si sentiva sollevato mentre tornava a casa.
Rallentò il passo per aspettarlo, quel maledetto puttaniere, fuorilegge, comunista e senza Dio.
Era sempre suo cugino

Lo “Sfusato di Favazzina”

Quando a Favazzina si parla di limoni, senza voler far torto ai giardini che c’erano a Favareca, a quelli nta Villa o a tutti gli altri sparsi nel paese, il pensiero corre immediatamente a Sena e soprattutto a Saperi, le regine dello Sfusato, una varietà del Femminello, il limone tipico della nostra zona, conosciuto in Italia e all’estero, come “Sfusato di Favazzina”.
Definito da alcune fonti “un vero e proprio miracolo della natura” e inserito nelle perle calabresi ossia, il bergamotto, il cedro, la cipolla rossa di Tropea, le clementine di Calabria, il limone “Sfusato di Favazzina”, la liquirizia e il peperoncino.
A Sena e a Samperi era concentrata quasi tutta la produzione del limone e i contadini, dalla metà di settembre fino a maggio, accantonati momentaneamente i lavori in campagna, si dedicavano alla più remunerativa raccolta del limone.
Io, tutti i giorni, prima che iniziassero le scuole, da solo o in compagnia di qualche mio amico, quasi sempre Tonino u Gneddu,(più che altro per una questione di vicinanza), poco prima di mezzogiorno, portavo a “spisa” a mio padre e, invece di tornare subito a casa, mi fermavo volentieri ad osservarlo, mentre insieme agli altri contadini, armato di scala e panaro, coglieva i limoni, i virdeddi che, sebbene non ancora maturi, già ricchi di sugo, una delle principali caratteristiche dello Sfusato di Favazzina.
A me quei limoni verdi parevano tutti uguali e incuriosito, chiedevo a mio padre come facesse a scegliere quelli buoni da cogliere e lui, mettendolo in pratica, mi spiegava che per stabilire la giusta grossezza, nel prendere in mano il limone, il pollice e l’indice non si dovevano toccare, un metodo abbastanza semplice, ma altrettanto efficace.
Gironzolavo poi negli orti alla ricerca di qualcosa che mi potesse interessare, oppure di qualche bastardo, da mangiare poi sulla strada del ritorno. Quando mi capitava di andare a Samperi, rimanevo affascinato dalla grandiosità di quel giardino, il più vasto che vi era a Favazzina, e mi perdevo quasi, a girovagare in quel mare di alberi di limoni e finivo sempre davanti al grande caseggiato che il proprietario, un ingegnere che abitava a Messina, credo un discendente dei Florio, (grandi proprietari terreni originari di Bagnara, creatori della famosa casa di liquori e dell’ancor più famosa corsa automobilistica, la Targa Florio) aveva fatto costruire per la villeggiatura.
Dato il mio continuo andare a Samperi (durava parecchi giorni la raccolta dei limoni) ero diventato amico del figlio, un ragazzo pressappoco della mia età, e quando si trovava con i suoi nella casa, talvolta mi invitava a salire a giocare con lui, oppure, attraverso il ponte che vi era sotto la ferrovia, scendevamo al mare a giocare sulla massicciata proprio a ridosso della spiaggia .
Talvolta anziché giocare ci fermavamo a guardare le donne che, munite di un tronchesino, con una velocità sorprendente, tagliavano i piedi ai limoni. Li mettevano poi nelle ceste e li trasportavano sulla Nazionale, dove vi era il camion pronto, una volta carico, a portarli a stufare.
La stufa era in realtà una camera chiusa ermeticamente, una sorta di camera a gas, dove venivano posti i limoni e del carburo a sciogliersi nell’acqua, il gas che si produceva, l’acetilene, intaccava la buccia facendola diventare gialla, trasformando così i virdeddi in limoni maturi. (u Magu, Peppino F., ne aveva creata una a Favareca, in un vecchio gabbiotto dell’Enel, proprio davanti all’entrata della Snam).
Ricordi ormai lontani che si perdono nel tempo, quando il limone, insieme al vino, erano una delle fonti principali dell’economia favazzinota, il sostentamento per la maggior parte delle famiglie contadine.
Con questo mio scritto era mia intenzione celebrare la magnificenza del nostro limone, la sua eccellenza, ma con l’abbandono ormai di tutti i giardini, sono costretto mio malgrado e con la morte nel cuore, a celebrare la sua scomparsa, la fine del personaggio più illustre del paese lo “Sfusato di Favazzina”.

sabato 13 febbraio 2010

..E comu l'annu scorsu...

..-Gli Juventini quando facevano i derbi con il torino cantavano propio cosi...
... E COME L'ANNO SCORSO "2 PALI E NA TRAVERSA... e poi na sacciu cchiu!!! sugnu milanista!!!!
Tutto questo per anticiparvi il derby di oggi con i bagnaroti!!!! loro primi e noi in fase di ripresa!!!
Al solito noi nelle partite importanti simu na caterba!!!! 8 giusti giusti pi miraculu!!!!loro oltre ad essere piu forti di noi MA SOLO FISICAMENTE PARLANDO!!!! erano in 9.
FAVAZZINA BEACH : u loscu in porta,u marzianu,u marisciallu,e u bagnarotu (non chè unu ri iocaturi cchiu forti caimu nta squadra(attaccanti))... u mister u piazzau comu terzinu!!!..uummha!!!!!!!nonostante le lamentele e i mugugni del resto della FB U BAGNAROTU IUCAU IN DIFESA!!!!
centrocampo il ribbelle,il tavy e by mulia, attaccante U MISTER!!!!
partita bella e combattiva!!!! loro 7 tiri in porta noi 3...(di cui 2 ru mister fora!!!) al 12cesimo lancio nella nostra aria u marisciallu accecato dal sole... (diciamo!!!!) valuta male il rimbalzo del pallone e il REAL BAGNARA passa in vantaggio!!!! il primo tempo si chiude cosi!!!!!
secondo tempo uguale al primo... bella partita,occasioni da un lato e dall'altro... da una palla vagante nella nostra metà campo un tiro da fuori aria si rivela inparabile per il nostro portiere!!! 2 a 0 per loro!!!!!!...malumori????abbattimenti???? MA CHé!!!!!!mancano 10 minuti al termine, U BAGNAROTU si lancia sulla fascia palla al piede supera lametà campo,defilato sulla destra ....BHOUUUUUUUUUUUUU scocca il tiro!!! na cannunata destinata,haimè,fuori.... Aspettate!aspettate! incredibile U MISTER CI CREDE!!!! SI AVVENTA SULLA PALLA CALCIATA CON POCA FORTUNA DAL COMPAGNO ,E DI COSCIA INSACCA IL GOAL DEL MOMENTANEO 2 a 1 !!!!...GOALLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLL il pubblico è in disibiglio!!!!! partita riaperta!?!?!? la FB ci crede... e dopo 2 minuti avanzata travolgente del TAVY che d'esterno destro mette la palla nell'angolino... là dove il portiere non ci puo arrivareeeeeeee!!!!!!!GOALLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLL ED è 2 a 2 !!!!!...esplode la FAVAZZINA BEACH!!!!!..ultimi 3 minuti di assedio del REAL BAGNARA ma npocu u losku npocu u marisciallu (che si fa perdonare, immolandosi ad respingere 2 cannonate da distanza ravvicinata prima con la PANZA e poi con la testa!MA NONOSTANTE A BOTTA NON SA GIUSTAU!)... FAVAZZINA BEACH PORTA A CASA UN PUNTO D'ORO!!!!
Anche l'anno scorso fini in pareggio (3 a 3)e per quel pareggio hanno rischiato di perdere il campionato!
CONCLUSIONI: scelte rischiose del MISTER ma alla fine un pareggio STRAMERITATO!!!!!!

NB:: TREMATE -2 per la doppia cifra!!!! cu capisci capisci !!! hehehehehhe
alla prossima!

Spusey, u ballu i carnulivari e u blaccaut

Compare Nino, il delegato, ci aveva lavorato tanto e alla fine c'era riuscito: la serata si sarebbe fatta. Nella via marina, sotto all'abitazione del ragionier Lo Faro, le due sale del circolo erano pronte. Avevano accostato il bigliardo alla parete laterale e l'avevano usato come ripiano per le prelibatezze nostrali: buccacci di livi scacciati, mulingiani sutt'ogghiu, giardinera e pumaroru sicchi e ogni ben di dio. La rastrelliera delle stecche era stata coperta con un drappo rosso, alcune donne del paese ci avevano ricamato a doppio filo giallo-oro la scritta Ballo di Carnevale Favazzinoto. Fatti sparire i tavoli nella vicina cantina del di sopra ragionier Lo Faro, le sedie furono addossate ai muri perimetrali. Nella sala interna, un giradischi avrebbe suonato tanghi, valzer e, a richiesta, tarantella. Nella stessa sala, naturalmente più riservata, si sarebbe ballato.

Arrivavano. Soprattutto coppie ma c'era pure qualche scapolone incallito e alcune zitelline lor malgrado. Vestivano, le donne rigorosamente in nero anche quelle che non avevano eventi familiari da rispettare, gli uomini più liberi, chi vestito intero, chi spezzato. Saverio, giacca i so zi Peppi, pantaluni i so cuginu Micu, a camicia a soi, si presentò senza cravatta. Quella sera inventò il casual ma non lo seppe mai. Non sapeva nemmeno come poter dire a Caterina, abballa? si sedette a osservare le coppie ballare il tango scivoloso e il roteante valzer, il casqué degli esperti e il guancia a guancia dei più audaci. Macerava nell'impotenza. E Caterina manco per sbaglio, aspetta, ora pare che si gira. Andò via la luce. Buio, nta ddu scuru qualche rumore di sedia, murmuriamenti, qualcuno chiese se c'erano candele. Non servirono, un minuto poco più e la luce tornò, le coppie ripresero seguendo il giradischi che con uno strido da rizzicari i carni suonò il valzer da dove l'aveva lasciato. Saverio riprovò a puntare Caterina, virimu se si vota. Andò via la luce. Il brusio divenne burdellu, la solita sedia che qualcuno aveva travolto, il rumore di un pirito scustumatu e vigliacco, forse fatto con la bocca. L'urlo di una donna.
-Mi rubbaru a collanina d'oru. Aiutatimi!-
Trovarono tre candele, le accesero. La signora Ciccina, era lei che aveva urlato, dopo aver oltrepassato l'orlo di una crisi di nervi diceva a Pedro, pardon Petru, suo marito:
-Mi rubbau a collanina. Mi maniau nte minni. Si ppuiau puru r'arretu.
-Maronna, disse Petru, hanno strupratu a me mugghieri!
-Aundi ta mparasti sta palora, Petru? rissi chi si ppuiau-
-Mi vannu mi ncia ppoiunu a to mugghieri, Cicciu, pensa e to corna.
-Ieu ri corna i me cugnatu Cicciu mi ndi futtu, ma rassa stari a me soru- s'intromise Pascali.
-Ma chi è stu burdellu? Paisani, non pisciamu fora ra cannata!
-Delegatu, chista è discussioni civili, facitivi i cazzi voshri-
-Senti craparu, porta rispettu o primu cittadinu!
-Parrau u lordu ngrisi. Me frati è zappaturi, i crapi i rringa to patri-
-Ecconciò? tu non mbali mancu nu cacocciulu ri me crapi
-...
-...
Spusey seduto accanto a Saverio pensava a quello che si diceva dei grandi bestemmiatori di Toscana e pure dell'Umbria. Robetta. Pura teoria, arabeschi d'aria e ghirigori barocchi.
I miei compaesani, veri ncazzusi, veri sciarreri, aund'è chi partunu maschiati e pacchiri addaparu. Scorrerà sangue, megghiu mi mindi vaiu.
-Ciao Saverio, me ne vado. Se per caso a sirata si giusta, se piccasu torna a luci, tu devi solo andare da lei e dire:
-Caterina, vuoi ballare con me? Se dice: -Grazie, preferisco di no! rassila futtiri pi sempri.

Ritornava dalla strada del cimitero, non voleva passare dalla piazza, avrebbe sentito le urla provenire dal circolo, attraversò la rimembranza verso la marina e risalendo la spiaggia fino al molo avrebbe preso il vicolo che scende dalla filanda per rientrare a casa. Spusey dalla caserma vide una luce intermittente sul primo molo.
-Caspita, hanno messo un faro sul molo? Vado a vedere.
C'era un giovane seduto con una canna da pesca in mano.
-Buonasera, Le Long. Che fai, peschi?
Tirò una boccata lunga, spense il mozzicone sul masso, soffiò il fumo con forza.
-No, mi curo l'insonnia
-I pesci non dormono, di notte?
-Metti caso che ci sia un sarago o anche un cefalo che come me non prende sonno.
-Allora?
-Metti caso che come me va a cercare un frigorifero.
-Non capisco.
-Io sono il frigorifero
-Non capisco
-Non importa. Comunque dopo che ha mangiato lo ributto in mare.
-Si stannu sciarriandu, nto circulu.
-Lo so.
-Ci rubbaru a catenina a signora Ciccina.
-Lo so, ma non è vero. Ciccina mbrogghia.
-E tu comu i sai sti cosi chi mancu nc'eri?
-Mu rissi nu buddaci.
-I pesci parlano?
-Roccu i Missina sì.
-Sì, lui c'era al ballo.
-Appunto. Ha notato che quando è tornata la luce Ciccina non aveva più la collana.
-Avrebbe dovuto urlare al primo buio.
-Bravo cugino, ci sei arrivato
-Ciccina quindi è...
-Simulatrice, esibizionista e un poco altruista.
-Che osservatore, u buddaci.
-Le minne lo attraggono, più di ogni altra cosa.
-Che devo fare, Le Long?
-Niente, siediti che ci fumiamo una sigaretta.-
-Non fumo ma va bene, mi siedo. Un poco altruista? spiegami il concetto, Le Long.

Al tempo di questo fatto capitava frequentemente che a Favazzina venisse a mancare l'energia elettrica. Quando succedeva c'era sorpresa certo ma era una sorpresa che non ti sorprendeva mai del tutto. Dire -Si ndiau a luci- si diceva con un tono di voce che non so rendere sulla carta, forse per approssimazione, se si aggiunge un -Ma quandu mai?- ci si avvicina al risultato. La luce se ne andava ma poi tornava, non sapevi quando. Da pochi istanti fino a una notte intera, tutto era possibile. Nelle case erano pochi gli elettrodomestici, non se ne aveva un gran danno. Si accendevano le candele e si stava attorno alla conca a veder la brace diventare cenere. Mi dispiaceva che il televisore non funzionasse, per fortuna il nonno "contastorie" riempiva quell'attesa nera, nella semioscurità le sue parole, per me, diventavano verbo. Poi mi rassegnavo e andavo a letto: anche se la luce torna, Carosello ormai è andato e Belfagor mi mette paura.

-Varda, Le Long, è tornata la luce in paese, biancheggia dietro a Brancatò, brisci u iornu. Torniamo?
-Il filosofo similmente al poeta sa quando è il momento. Questo è il momento di tornare, Spusey.
-Perchè, Le Long?
-Finiru i sigaretti.

(Non sono riuscito a tagliare questo coso troppo lungo, non sono riuscito nemmeno a resistere alla vanità e ho pubblicato. Mi scuso)

mercoledì 10 febbraio 2010

L'uomo più forte di Favazzina

Il recente carteggio Domenico Velardi-Domenico Velardi, detti Mimmo, riguardante la controversa definizione di cazzunaggine favazzinota, la reale esistenza della stessa e l'eventuale casistica inerente mi ha fatto venire in mente un episodio realmente accaduto nelle terre di Favazzina. Penso possa essere d'aiuto nella disputa in atto.
Sulla strada che conduce a Falazzina in località Micuni, un mio lontano cugino raccontava a due amici le sue dolenti vicissitudini causate da una temeraria scalata a uno scoglio suttafrunti che si era conclusa con decine di aculei di rizzo di mare conficcati nella pianta del piede destro. Aveva sopportato il dolore dell'inoculo e anche quello dell' esoculo (?) durante l'estrazione delle spine. Se ne avesse conosciuto il significato questo mio cugino si sarebbe definito stoico, a non sapendu rissi: -Pirchì ieu aiu du cugghiuni cusì, chi mancu l'omu chiù forti i Favazzina.-
L'amico N., che non voleva essere da meno, ascoltato questo fatto s'inerpicò comu na crapa per raggiungere una zambara sopra a un'armacia, staccò una ficazzana e la mprumunò nel palmo della mano. -Io sono l'uomo più forte di Favazzina!- disse guardando il frutto scufazzatu nella mano.
G., l'altro amico meno che meno, scorse un folto roveto al margine del sentiero, prese la corsa e vi si tuffò a pisci. Uscì dal rovo cumbinatu a ecceomo, gridò: - Sono io l'uomo più forte di Favazzina!-
E' tutto.
Lascio questa testimonianza ai due studiosi affinchè traggano le conclusioni.

lunedì 8 febbraio 2010

Il congresso balneare

Poteva capitare che un gruppo di giovani favazzinoti, in piena estate, facessero il bagno in circolo in un metro d'acqua, come gli antichi romani alle terme, come se i "scaluni" si fossero trasferiti nel mare.
Gli argomenti erano vari, dipendeva dai partecipanti al congresso.
Io facevo parte del gruppo degli intellettuali progressisti, quindi i nostri argomenti variavano tra le ghiandole mammarie sempre più scoperte delle signore ed i fondo schiena delle stesse, sempre più rotondi.
Qualche volta, raramente, si parlava di novità letterarie, mai di sport, ce ne fottevamo altamente della campagna acquisti della Reggina.
Un anno, credo nell'80, mio gradito ospite, Danilo, detto il principe.
Danilo era fiorentino purosangue, amante delle colline toscane e umbre, appassionato di funghi e tartufi, odiava il mare.
Grande bestemmiatore, quando s'incazzava (molto facilmente)una sua bestemmia su unico soggetto, poteva durare un quarto d'ora, faceva la biografia del santo malcapitato, con una dovizia di particolari chi mancu un processo canonico di beatificazione del vaticano, e non era ripetitivo.
A volte, gli amici, lo facevamo incazzare apposta.
Soggetto ad anemia congenita ne menava vanto, era dovuta, secondo lui, alle sue chiare origini nobiliari, etrusche per l'esattezza.
Mentre, sempre secondo lui, noi eravamao un miscuglio di razze, greci, arabi, fenici, latini, normanni, tutti mezzosangue per questo scuri, olivastri, mentre lui era bianco, di un pallore lunare, diafano, quasi un fantasma.
Era anche un grande affabulatore, intenditore come pochi di pilu, uomo di vaste letture, insomma uno di noi, ma bianco e di collina.
In quel principio di agosto partecipava felice ai nostri congressi, tenendosi sempre vicino alla riva. Non sapeva nuotare.
Un maledetto mattino, maretta.
Durante il congresso si presentarono onde discrete che noi favazzinoti, con un leggero piegamento in immersione, bucavamo.
Il principe invece, con gran disonore, veniva scaraventato a riva, proprio sul più bello della sua dissertazione.
Lui si rialzava, con il costume mezzu calatu, e riprendeva posizione continuando il discorso che l'onda aveva interrotto, poche parole e un'altra onda lo riportava a riva.
I pigghiava i faccia, non conosceva la tecnica, e poi i nobili non si piegavano facilmente alle onde del basso tirreno. Onde terrone.
Inutile nascondere che mentre si trovava sommerso nella risacca, risate a crepapelle, quando bene o male riemergeva, seri.
Dopo aver bevuto qualche litro di mare e perso diverse volte il costume, s'incazzò :-
Oh bischeri, bucaioli, quella maremma maiala, e che si fa il bagno con il maremoto ? o venite a riva o vò a casa - e giù una disquisizione sui S.S. Pietro e Paolo, sulla loro famiglia, amici, parenti lontani, sulla loro posizione all'interno di Santa Croce, su come l'Arno volesse portare via le statue, l'Arcivescovo di Firenze, la curia e l'Opus Dei.
Dopo un paio di giorni rientrò in ferie sulle sue amate colline.
Raccontava a tutti che avevo tentato di farlo annegare e quando ridendo negavo, ricominciava, qualche volta con i santi Cosma & Damiano, altre volte mettendo fortemente in dubbio le virtù di S. Teresa d'Avila.
Ancora oggi, quando raramente ci sentiamo, mi chiede :
:- Ma come facevate a stare fermi con le onde ? eravate legati ?
Io rispondo quel che lui vuol sentire, che eravamo indigeni, se no ricomincia con la litania dei santi, non ha perso l'abitudine.

sabato 6 febbraio 2010

I NOVANTA PERI

Una striscia di verde pallido con sfumature gialle si estendeva al di là del muro della scuola . Quando guardavo dalla finestra di casa mia, aveva l’aspetto di un enorme rettangolo. Quello che un tempo fu un giardino di rigogliosi Limoni era oramai ridotto a scheletri di legno, era un posto bellissimo per giocare tanto che a noi bambini pareva un’affascinante e misteriosa foresta piena di strani rumori.
Era un pomeriggio d’estate, io e il mio amico B. scivolammo dentro il giardino a caccia di lucertole, grilli e nidi di uccellini e fu proprio durante una delle nostre scorribande che ci imbattemmo in una serpe nera. B. intento a tenere in un pugno un grosso grillo, non aveva visto la serpe scivolare sul muretto del condotto dell’acqua. Allora gridai: “Corri, corri..!” E scappammo con tutte le nostre forze, ma io inciampai e andai a finire dritto dritto dentro un cespuglio di rovi, allora B. mi tirò fuori ed io pieno di spine e sangue tornai a casa. Dopo non ricordo bene cosa è successo , so solo che mia madre mindi resi na cadda. Nte Novanta Peri non tornai più. Fra tutti i posti di Favazzina questo è uno di quelli mi è rimasto nel cuore, un posto felice.
Spesso i posti mutano nel tempo, cambiano forma, migliorano l’aspetto, arricchiscono l’ambiente, ma ti lasciano dentro il prezioso ricordo della loro forma originale.

venerdì 5 febbraio 2010

L’elicottero e la bomba

Parecchi anni fa, troppi per l’esattezza, un elicottero dei carabinieri, mentre sorvolava il cielo sopra Favazzina, per un’improvvisa avaria al motore, fu costretto ad atterrare sulla spiaggia, vicino a Sutta a Frunti, dove adesso c’è il metanodotto.
Durante la manovra di atterraggio, il pilota non si avvide di una sbarra di ferro nascosta nella sabbia e un piede dell’elicottero posandosi sopra, la fece sbattere sulla cabina, procurando una grossa crepa al vetro.
Sia noi ragazzi ed anche qualche adulto, saputo dell’accaduto, andammo a vedere l’elicottero, ovviamente parecchio incuriositi, e lo trovammo proprio sulla spiaggia, vicino alla riva, con accanto il pilota, in attesa dei soccorsi che intanto aveva chiamato via radio.
Riparato il guasto al motore e sigillata la crepa nel vetro, l’elicottero riprese il volo e i meccanici e i carabinieri che erano venuti in aiuto del pilota, ritornarono in paese, dove avevano lasciato le camionette.
Qualche giorno prima una forte mareggiata aveva gettato sulla spiaggia una grossa bomba, residuo della seconda guerra mondiale, ed io non so se per incoscienza o altro, decisi di portarla ai carabinieri, che ancora si trovavano sulla spiaggia.
Con me c’era Rocco nChiumbu e nonostante la sua iniziale ritrosia, lo convinsi ad aiutarmi a prendere la bomba. La tirammo su e portandola un po’ per uno ci dirigemmo verso i carabinieri. Appena arrivammo vicino a loro, come se avessimo in mano un trofeo, gli mostrammo la bomba e loro visibilmente spaventati, ci urlarono di metterla subito giù. Stupiti dalla loro reazione la posammo prontamente sulla sabbia, non capendo perché fossero arrabbiati, convinti com' eravamo di aver fatto una cosa buona.
I carabinieri dopo aver tirato un sospiro di sollievo, ci fecero una bella lavata di capo, facendoci presente il rischio che avevamo corso. Troppe persone ci avevano rimesso la vita maneggiando ordigni inesplosi e noi, era bene ce lo ricordassimo, non dovevamo mai più toccarli.
Ancora oggi quando penso al rischio che io e Rocco abbiamo corso, mi vengono i brividi lungo la schiena. Bastava un niente e adesso, mi auguro che nessuno sia dispiaciuto, non sarei qui a raccontarvi questa vicenda.

L'autista

Fummo poveri e ce ne fottemmo altamente, come diceva Santino. Nemmeno ce ne accorgemmo delle privazioni, ci sembrava che nel paese ce ne fosse abbastanza per i nostri bisogni di bambini con le croste di sangue alle ginocchia e di muco alle narici. La campagna forniva di che vivere e di che spaccarsi le ossa, qualche impiegato delle ferrovie o di altro ente dello stato conduceva un'esistenza leggermente meno gravosa, per tutti c'era il circolo e c'era la chiesa. E c'era Santino, l'autista. Le automobili, quelle sì che erano rare e prima che diventassero superflue furono utili: capitavano spesso l'appendicite acuta di un bambino, il malore di un anziano, l'accidente a un contadino. Per questo c'era Santino, servizio pubblico con auto privata, con la millecento bianca. La rimessa l'aveva alla filanda per cui doveva passare sempre dalla piazza. Quando vedevo quella macchina bianca pensavo che c'era qualcuno da qualche parte che stava male e mi stupivo di quella guida sempre tranquilla non sapendo che perlopiù trasportava verso uffici senza nome chi aveva premura, tanta da non potere aspettare il treno ma non tanta da scapicollarsi e allora Santino guidava così, fottendosene altamente. Mi sarebbe piaciuto salire sulla millecento bianca ma non ci riuscii mai, nemmeno quella volta che mi spaccarono l'arcata sopraccigliare sinistra con una mazzacani nta marina. Mi soccorse il signor Aurelio e mi portò con la sua auto all'ospedale di Scilla: sutura con due graffette metalliche e che bravo questo bambino che non piange. Che ne potevano sapere? avevo cazzi per la testa, meditavo vendetta: il feritore, mio vicino di casa nta vinedda, me l'avrebbe pagata se non oggi stesso, domani. Domani, sì l'indomani, partì per l'Australia e non l'ho più visto, è la verità e se non ci credete me ne fotto altamente.
Fummo ricchi e non ce ne accorgemmo, la campagna dava frutti miseramente sproporzionati allo spaccamento del mazzo, altri bambini si sbucciavano le ginocchia su strade ora asfaltate, c'era il circolo e c'era la chiesa. C'era Santino, gestore di telefonia. Ora che le macchine aumentavano di numero aumentava pure il numero nelle targhe, quelle delle grandi città del nord quasi non riuscivamo a decifrare, mancava il puntino del decimale, un amico di Solano riferendosi all'auto del cognato emigrante disse ch' aiva na murra i numiri e nu TO.
Era evidente che un servizio pubblico di trasporto non serviva più. Tutti avevano la loro automobile e andavano e dove cazzo andavano dovevano comunicare. Occorrevano telefoni. Nell'ingresso della sua casa alla filanda Santino adibì, piazzò una specie di scrittoio come segreteria e chiamò la Sip che collocò una cabina telefonica nell'angolo diagonalmente opposto all'entrata.
L'ambiente era pulito ma angusto e si muriva di caddu, figuratevi dentro la cabina, per questo il signore del nord lasciò la porta socchiusa sperando in un refolo d'aria e mentre parlava al telefono s'avvide che Santino armeggiava nei pressi. Mise giù la cornetta e uscì incazzato, dopo aver educatamente offeso quel paese di zulù dove non c'era nemmeno una cabina telefonica per strada, dove non si pretende l'aria condizionata ma almeno un ventilatore, concluse dicendo che non è educato stare ad ascoltare la gente che parla al telefono.
Santino lo guardò con gli occhi placidi del guidatore prudente e disse:
-Di quello che dite del ventilatore, nci pozzu pinzari. Di quello che dite al telefono, me ne fotto. Altamente.

mercoledì 3 febbraio 2010

U MISTER & FAVAZZINA BEACH

Dopo una lunga assenza (non giustificata per voi..) ma per i miei ragazzi e per FVZB si!!!!
Un lungo ritiro tra le campagne di MICUNI,U IANCU,A FAVARECA E A FRUNTI.. Ha portato bene alla squadra!!!! ..propio quando incominciavamo a vincere 2 squadri (varda casu cu 1 vincimmu e cu l'atra pareggiammu) si ritiraru!!!! naturalmente in questi casi vengono tolti a tutti i punti presi con queste squadre...
Ma non ci siamo demoralizzati!!! e abbiamo continuato con un ruolino di marcia da far invidia a l'inter...!!!!
Morale della favola oggi avremmo avuto 19 punti ma per quello che è successo ne abbiamo 16!!!!
..anzi ciangimu cu n'occhiu!!!!
U MISTER è saldamente al suo posto in panchina,superato il "momento esonero",il mister e la FVZB pensano in grande... *
...adesso ci temono tutti!!!!!

PICCOLA COMUNICAZIONE AGLI ALTRI PARTECIPANTI AL CAMPIONATO!!!!!


VARDATIVI I SPADDI!!!!! FAVAZZINA BEACH STA ARRIVANDO!!!! E NON FARA SCONTI A NESSUNO!!!!

...Pensate che su 17 componenti della squadra signaru tutti !!!! eeeeee... udite udite... a tutti coloro che sparlavano del MISTER è a cuota 5 goals!!! pinzati vui si chiuru u campionatu in doppia cifra!!!!!! ..... E CU VI SAAAAAAAAAARBA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! ..atru chi polemichi !!!!


Vi salutu... per ora.... ihihihihiihihihihi

Storia.... vera...

Cari amici mi collego alla "storia ra guerra" ru longu.... ma no al passato ma in un recentissimo presente!!!!
qualche settimana fa un sub pescava tranquillamente nel nostro mare davanti a snam , dopo una discreta pescata si inbatte in uno strano "oggetto" a circa 6 metri di profondità...
sub: Minchia chi è dda cosa?????
pensiero del sub: ora calu e vardu megghiu!!!!
il sub arrivato all'oggetto misterioso, tempu 5 secondi riemerge con foga e cu ddu brazzati arriva sulla battigia!!! si cogghi i bacattelli arriva alla macchina,là,al sicuro telefona alla capitaneria di porto e ai carabinieri dicendogli: C'é UNA BOMBA DELLA GUERRA SUTTACQUA!!!!! A FAVAZZINA!!! SIISIII SI.... A FAVAZZINA RAVANTI A SNAM!!!VINITI SUBITU... chi ieu mindi vaiu....
e cosi grazie a pincopallino è stato ritrovato un reperto bellico nella nostra costa!!!
effettivamente era un ordigno molto vecchio,chi sa, gia la da anni e sommerso di sabbia???? ...o portato nella nostra costa da chi sa quale posto???
Cmq a cacciaro ed è tutto apposto!!!! scriviru puru 4 righi nta gazzetta ru sud!!!!
Un tizo dopo qualche giorno mi dice: .....sempri bumbi,barchi ecc truvamu nti stu favazzina!!!!!
non truvati mai carcosa i bbonu???? ....U MISTER nci rispundiu... : FAVAZZINA é IL MIO TESORO!!! SCECCU!!!!

martedì 2 febbraio 2010

Storie

Seconda guerra mondiale, estate 1943, sbarco in Sicilia degli Alleati, con i B28 e i B29, le fortezze volanti, bombardavano i porti e le ferrovie, compresi quelli di Messina e Villa S. Giovanni, qualche bomba per sbaglio, perchè lanciata da oltre diecimila metri, cadeva pure nel nostro amato paese.
Evacuazione
Parte dei nostri paesani, non impegnati in guerra, si diressero a Solano, altri nella galleria di Sutta a Frunti, altri rimasero beatamente a casa, e ficiru bonu.
La famiglia di mia madre, comandata da mio nonno Peppi, detto Peppi u Nappa, decise altrimenti.
Mio nonno divise la numerosa famiglia, allargata ad altri nipoti sfollati da Villa S.G., in due parti.
La prima, dove c'era la mia futura madre allora quattordicenne, in una vigna a Rusticu, dentro una cascina (più che cascina erunu quattru tavuli addritta, cu dui ceramiri)
La seconda, con mio nonno, in una vigna 'nto Grecu (non datemi del latifondista chi m'incazzu) in un'altra cascina (dui ceramiri tenute da quattru tavuli addritta).
Differenza sostanziale
Come avrete notato il bunker di Hitler a Berlino, al confronto con le cascine di mio nonno, era nu pagghiaru.
La divisione aveva una sua logica, se veniva bombardata una cascina, gli abitanti dell'altra sarebbero intervenuti in soccorso, e viceversa.
Il caso volle che una bomba, sicuramente per errore ('nci fuiu), cadesse su uno spuntone di roccia sopra la vigna del Greco, provocando una frana che distrusse metà vigna di mio nonno.
Ancora oggi mia madre è convinta che volessero uccidere suo padre, cioè che gli americani da diecimila metri d'altezza e di notte, avessero mirato al mio povero nonno, mancandolo di poco.
Mancu se era Mussolini
Ho tentato di spiegare, forse un pò cinicamente, che gli americani davano più valore ad una bomba di cinquecento chili che alla vita di un anziano contadino cu tutti i vigni, a meno che non avessero scambiato le armacie per bunkers, i pirari pi contraerea e i pesrichi pi bumbi a manu.
Niente da fare - "sceccu, chi ti mandai a fari a scola ?"
Dopo lo spavento ripararono a Solano per tornare a bombardamenti finiti, accorgendosi che dopo tutto quel pellegrinaggio, era megghiu se si stavunu a casa, intatta come le altre del paese, tranne qualche rara eccezione, niente, se si considerano gli eventi.
Quando racconta queste storie, mia madre, lo fa con tale enfasi che pare che tutto lo sforzo bellico sia passato sulle sue spalle.
Ma quali Fronte Russo, quali Campagna d'Africa, quali Lotta partigiana, quali Hiroshima e Nagasaki, lutti, distruzioni, deportazioni di massa, genocidi.
Per mia madre la guerra vera è passata da Favazzina, distruggendole mezaza vigna.
-"E tu sta zittu chi non c'eri"-

lunedì 1 febbraio 2010

Si chiamava Massimo

Si chiamava Massimo ed era un ragazzo di Milano. Era venuto a Favazzina un’estate con mio cugino Silvio, ed era divenuto subito uno di noi. Aveva imparato molte parole del nostro dialetto e le infilava sempre tra una parola in italiano e l’altra, inoltre anziché col nome chiamava tutti simpaticamente “cuginu”.
Era sempre allegro e scherzava sovente con noi ragazzi, talvolta ci caricava tutti sulla sua macchina, una decapottabile, e tra lo schiamazzo generale ci portava in giro per il paese a farci divertire.
La sua passione era la pesca subacquea che praticava con le bombole a grande profondità in tutta la zona. Era molto bravo e prendeva sempre pesci molto grossi, come murene e saraghi, i più grandi che ricordo di avere mai visto. Una volta prese una cernia di quindici chili e la sera, parenti e amici, la mangiammo a casa da mia zia Grazia, la madre di Silvio.
Tornò anche l’estate successiva, insieme ad una ragazza, con il gommone e il compressore per gonfiare le bombole e si piazzò con la tenda in una delle spiagge che vi sono nella costiera di Palmi, facendo il naturalista insieme alla sua ragazza.
I pescatori bagnaroti rimasero scandalizzati vedendoli aggirarsi nudi sulla spiaggia, ma gli perdonarono presto questa sua stranezza, conquistati come noi dalla sua simpatia.
Dedicava tutto il suo tempo alla pesca, la sua grande passione, e il pesce che pescava lo vendeva alle pescherie e con i soldi che guadagnava faceva il brillante con tutti.
Dopo quell’estate non si fece più vedere, preferendo le coste della Sardegna alle nostre.
Passarono diversi anni e, a dire il vero, di Massimo ci eravamo quasi dimenticati, quando un triste giorno Silvio ci raccontò che era morto.
Rimanemmo di sasso, stentando a credere a quanto ci stava dicendo, ma purtroppo era la verità.
La sua grande passione per la pesca subacquea l’aveva tradito e mentre cercava di stanare una grossa cernia, fidandosi troppo delle sue capacità, non era più risalito.
Lo ritrovarono il giorno dopo sul fondo, col respiratore di riserva, e capirono cosa era successo.
Massimo, uno che aveva amato Favazzina e che è morto in mare come, serenamente diceva sempre, avrebbe preferito.