Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

martedì 21 aprile 2009

La postina

Peppina V. era la procaccia del paese, ma da sempre svolgeva anche funzioni di postina, ed era una delle poche donne di Favazzina rimaste nubili, più che per scelta, per un errore di gioventù.
Perdutamente innamorata, pur di incontrarsi nottetempo col suo amoroso, aveva sfidato i pregiudizi e le convenzioni di allora, dando ovviamente scandalo.
Aveva trovato i piaceri dell’amore tra le braccia del suo amante, ma aveva dovuto pagare a caro prezzo la sua condotta spregiudicata perdendo, agli occhi dell’intero paese, onore e rispettabilità.
E anche quando quel mascalzone l’aveva abbandonata, non si era affatto abbattuta per le dicerie della gente ed era rimasta la stessa donna fiera e orgogliosa di sempre e aveva continuato a camminare a testa alta, senza vergogna.
Naturalmente aveva dovuto dire addio ai sogni di matrimonio e rassegnarsi a rimanere zitella poiché, a quei tempi, era praticamente impossibile per una donna sposarsi se non era considerata, a torto o a ragione, assolutamente onesta.
Da molti anni ormai viveva da sola, da quando purtroppo le era morta la madre e non avendo altri interessi si dedicava al suo lavoro con estrema dedizione.
La posta era divenuta la sua seconda casa e, a parte il tempo necessario per svolgere la sua attività di procaccia, passava tutta la giornata a servire e ad accudire l’impiegato postale, un uomo di Solano al quale, oltre il lavoro, la legava una vecchia e consolidata amicizia.
E sovente d’estate la moglie e i figli dell’impiegato postale, un ragazzo e una ragazza, trascorrevano qualche giorno ospiti a casa sua, al mare a farsi qualche bagno.
Poiché a Solano, paese di montagna, i ragazzi il bagno al massimo potevano farlo nei torrenti oppure, quando erano in secca, in qualche gebbia.
«Quella maledetta caduta, mi ha rovinato l’esistenza», non si stancava mai di ripetere la postina a chiunque capitasse di parlare con lei, «E mi ha tolto almeno dieci anni di vita!»
Era stata davvero una brutta caduta la sua e d’allora non si era più ripresa.
Stavano rifacendo il manto stradale e, tutto intorno alla piazza della chiesa, le strade erano completamente dissestate.
Lei nel fare la discesa che dalla piazza svoltava sulla via Marina, in un attimo che si era distratta, aveva messo un piede in fallo ed era caduta pesantemente, rompendosi il ginocchio.
Rimase inferma per parecchi mesi e quando tornò al suo lavoro zoppicava vistosamente.
Non era mai guarita completamente ed era rimasta claudicante, con il ginocchio che aveva sempre continuato a farle male soprattutto, si lamentava, nei cambi di stagione.
Con gli anni, poi, il dolore si era accentuato ancora di più, così come era aumentato il suo odio per il comune che, avendo lasciato per anni le strade in malora era, secondo lei, il vero responsabile della sua caduta.
Infine aveva dovuto arrendersi, non c’è la faceva più ad andare due volte al giorno a piedi fino alla stazione, e seppure a malincuore aveva dovuto dire basta.
E così, dopo tanti anni, con la morte nel cuore, aveva lasciato il suo amato lavoro.
Non era un lavoro pagato lautamente, ma era comunque sempre un buon lavoro, che impegnava poco e lasciava, a chi lo svolgeva parecchio tempo libero.
Doveva infatti, due volte al giorno, al mattino e alla sera, recarsi alla stazione a ritirare e a consegnare il sacco con la posta ai colleghi sul vagone postale.
Era tutto lì il servizio, dopodiché si aveva tutto il tempo libero a disposizione, in quanto a distribuire la posta ci doveva pensare il postino, ma che invece, finché aveva avuto forza, aveva svolto sempre lei, “La postina della Val Gardena” come qualcuno rifacendosi ad una vecchia canzone di Jula De Palma, spiritosamente la chiamava.

Tratto dal mio romanzo “Una storia sbagliata”

7 commenti:

trilly ha detto...

Peppina, Peppina!
Che bel ritratto, Spusy.
Io la conoscevo bene.
Mi manca non vederla più seduta fuori nella vinella...

arcade fire ha detto...

Con mio padre si parlavano poco ma ella aveva sempre quel rispetto che le derivava dal fatto che quando mio padre faceva il treno (era capotreno)lo faceva sempre fermare con il bagagliaio vicino alle sale d'aspetto dove Peppina aspettava per prendere i sacchi con la posta. Diceva:-Oggi caminaia pocu, Ninuzzu mi favuriu e fici firmari u trenu nfaccia a mia.
Come al solito, grande Spus.

chinnurastazioni ha detto...

Una bella pagina dedicata ad una persona che ricordo volentieri. Spuntava dalla curva infondo alla strada, è arrancava fino alla stazione. Si sedeva in ufficio ,quattro chiacchiere con mio padre, una carezza, sulla mia guancia e intanto aspettava il treno che portava la posta

Spusiddha ha detto...

Viristi Ninu, tu vulivi mi scrivu quarcosa i me za Peppina e ieu subitu ti ccuntintaia!

chinnurastazioni ha detto...

Grazie Mimmo, sono andato a salutarla qualche mese prima della dipartita.E' stata una donna molto affettuosa nei miei confronti.

u'longu ha detto...

Spusidda fai certe fotografie veramente belle, senza macchina fotografica.
E vai, cugino, ch'inda ponnu ...

Alessandro L.A. ha detto...

La mia cara Zia Peppina... Come mi manca... Ricordo che ogni volta che ripartivamo per tornare a Milano, piangeva sempre (aveva un cuore d'oro)... Da bambino, quando lavorava ancora (era la postina appunto), ogno mattina quando mi svegliavo, mi preparava una tazza di latte e mi diceva: "Ti ho comprato i biscotti del Mulino Bianco!".

Inoltre lei mi racconto' che si ruppe un piede, non il ginocchio, una volta appunto mi disse: "Se non era pe' 'sto pere, me sentivu comu 'na cavaddra (cavalla)!!"...

Un'altra volta (l'ultima estate che la vidi, nel 1997), stavo preparandomi per uscire e con non poche difficolta' stavo tentando di reinfilare "le boccole" nell'orecchio (all'epoca avevo 5 buchi alle orecchie)... Non riuscendoci, ad ogni (vano) tentativo, partiva una iastima degna di un Conte fiorentino...
Alla trentesima iastima sento: "Ahh! Ecconde 'na atra"; allorche' penso: "Nooooo, mi ha sentito e c'e' anche lo zio Franco con la Zia Teresina giu'... Sono fottuto!"
Quindi pensai che se fossi sceso in tutta fretta sarei stato in grado di fuorviare l'ira di mia Zia... Errato!

Mi sto appropinquando all'uscita, sono sull'uscio quando vengo bloccato sulla porta dalla zia che mi guarda con occhio sanguineo e mi dice: "'Nta a ma casa nun si iastima!". Al punto che mi racconto' che una donna (che non conosco) bestemmio' in casa sua e non la fece piu' entrare.

Una sera prima che andasse a dormire la saluto e le mando (facendo il gesto con la mano) 3 baci, lei mi guarda un po' stupita e mi dice: "E che sugnu? 'A Maronna 'i Lourdes???"

Last but not least: Torno a casa alle 3 del mattino, entro in casa, si sveglia e mi fa: "A bellizza!! 'A Rulcizza!!!!"