Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

venerdì 3 aprile 2009

Una tragedia sfiorata

Su Milano gravava un’afa opprimente e quando giunsi alla stazione Centrale, dopo aver viaggiato sul metrò schiacciato come una sardina, ero madido di sudore, attaccaticcio e la maglietta mi si era appiccicata addosso. Davanti alla biglietteria vi erano delle file lunghissime, mi accodai in una di esse e attesi pazientemente che arrivasse il mio turno per fare il biglietto. Poi, dopo essermi sorbito quella coda interminabile, con in mano il biglietto, mi diressi ai binari ad attendere l’arrivo del treno. Sul marciapiedi vi era una calca indescrivibile che rumoreggiava e spingeva per accaparrarsi i posti migliori, quelli davanti, quelli che avrebbero consentito poi di salire per primi sul treno. Un fischio prolungato annunciò che il treno stava entrando in stazione e nel contempo avvertiva di fare attenzione e di allontanarsi dai binari. Ma nessuno sembrò preoccuparsi del pericolo, anzi l’agitazione crebbe e divenne concreta la possibilità che qualcuno finisse tragicamente sotto le ruote. Stridendo, lentamente il treno si arrestò e la gente lo prese letteralmente d’assalto. Addirittura vi erano alcuni, che rischiando più del dovuto, erano già saliti col treno in movimento ed ora affacciati ai finestrini, si sbracciavano per richiamare l’attenzione dei parenti o degli amici rimasti a terra. Fui sospinto da quella marea umana, quasi senza accorgermene e senza poter opporre resistenza mi ritrovai di colpo sul treno. Avessi voluto rinunciare a salire, non avrei potuto. La gente sembrava impazzita, urlava , sbraitava e vi era persino qualcuno che era quasi arrivato alle mani per contendersi il posto. I bambini più piccoli sballottati di qua e di là, piangevano disperati, facendo crescere ancora di più il nervosismo, che già era notevole. Poi pian, piano il flusso si chetò e ognuno prese coscienza della situazione. Gli scompartimenti erano al completo e in alcuni posti erano seduti persino in due. Il corridoio era pieno oltremisura e per passare occorreva spintonarsi e farsi largo coi gomiti, tirandosi addosso le ire e gli improperi degli altri viaggiatori. Soprattutto delle persone anziane, consapevoli del massacrante viaggio che li attendeva. Un tizio esageratamente grasso, si era addirittura insediato nel cesso e ne aveva preso pieno possesso, rifiutandosi, almeno per il momento, di uscire e obbligando chi ne aveva urgenza a trattenere il bisogno. Poi, finalmente il treno partì e la confusione e il via vai sembrarono chetarsi del tutto, tranne riprendere ogni qualvolta qualcuno doveva recarsi al cesso.
Con me nello scompartimento vi erano quattro ragazzi e una donna sulla trentina. Avevamo appena fatto le presentazioni e stavamo parlando tra di noi, quando la porta si aprì di colpo ed entrarono due tipi poco raccomandabili. Il più giovane e con una cicatrice sulla guancia lunga almeno dieci centimetri, con fare prepotente e in dialetto calabrese disse «M’aia a sittari!»
Nessuno rispose e questi alzando il tono della voce ripeté «Vi rissi chi m’aia a sittari!»
Silenzio! Io e gli altri ci guardammo, increduli per la pretesa di quel tizio.
«Sintistu o no chi m’aia a sittari!»
Due dei ragazzi nel compartimento lì con me, erano di Milano e spaventati si strinsero per fargli posto.
A quel punto non riuscii più a trattenermi e parlando anch’io in dialetto per fargli capire che ero calabrese come lui gli dissi «Non viri chi postu non d’avi, pirchì non viri mu tu trovi a natra parti?»
Lui vedendo che i due ragazzi di Milano avevano paura, mi ignorò e ordinandogli di stringersi ancora di più si sedette. Io fremente di rabbia lo aggredii verbalmente«Si furtunatu chi truasti a sti dui se no viriumu se ti sittavi»
«U stessu mi sittava» mi rispose con arroganza
«U rici tu! Se ti pigghiamu e ti ittaumu fora ru scumpartimentu vuliva sapiri chi facivi»
«U voi sapiri chi faciva?» e tirò fuori dalla cintola dei pantaloni una pistola esagerata
«A viri? Vi mazzava a tutti»
«E avivi u coraggiu mi ndi mazzi a tutti pi nu postu» gli dissi fingendo di non essere impressionato dalle sue minacce, mentre in realtà un po’ di paura me l’ero presa.
«Certu chi vi mazzava, chi criri chi mi schiantava»
Non so se l’avrebbe fatto e davvero ci avrebbe sparato o se le sue fossero solo minacce campate in aria, ma durante il viaggio lui e il suo compare ci raccontarono le loro bravate. Soprattutto le violenze che facevano alle ragazze che chiedevano l’autostop all’uscita dalle discoteche. Gli davano un passaggio e poi le violentavano. Era vero? Da come ne parlavano credo proprio di si. Posso aggiungere che quando il treno arrivò a Gioia Tauro, stazione nella quale avrebbero dovuto scendere, i due rimasero seduti e scesero a Villa San Giovanni, per poi, con fare guardingo, prendere come me il locale per Lamezia.
Che fossero due delinquenti non vi era alcun dubbio, come non vi era alcun dubbio che avessero la coscienza sporca e parecchie cose da nascondere.

3 commenti:

arcade fire ha detto...

Bella Mimmo.Ndavi cazzuni o mundu? Ca pistola, doppiamenti cazzuni!

romanaccia ha detto...

ossantamaria io restavo lì secca morta di paura. Mi compiaccio della partecipazione di uno spirito libero come te. Grazie Spusiddha.

u'longu ha detto...

Bella Spusidda, mi facisti ricurdari u trenu ri disperati, era talmente tanta la voglia di tornare a casa, specialmente a Natale, che uno viaggiava puru supra na gamba sula.
Purtroppo quello che incontrato tu e uno di quelli che ci facevano trattare poi tutti da delinguenti, e si che ce n'era e ce n'è di persone oneste, specialmente calabresi, ma bastava unu e 'ndi ruvinava a tutti