Benvenuti a Favazzinablog

Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU

venerdì 6 marzo 2009

Le pesche

Mia zia Mariangela e suo marito dopo molti anni passati in America, decisero di trascorrere la loro vecchiaia a Favazzina e così verso la fine degli anni sessanta fecero ritorno in paese.
Sistemarono la vecchia casa che avevano nel vicolo, dove abitava la nostra Mariuzza, e l’arredarono in stile americano. Non so se a qualcuno di voi è mai capitato di entrare in quella casa, ma pareva di trovarsi in un negozio di antiquariato, ed io tutte le volte che vi entravo, quasi in punta di piedi, rimanevo sbalordito delle innumerevoli bambole, anfore, cuscini, soprammobili, arazzi, quadri, quadretti che facevano bella mostra sui mobili, sulle poltrone, in cucina, in sala, sulle pareti, sulla scala, insomma dappertutto.
Non avevano avuto figli e tra tutti i nipoti, Longu compreso, ero io quello a cui mia zia rompeva sempre i cabasisi, per dirla alla Camilleri.
Stabilito che era lei quella che comandava, quando aveva bisogno, raramente mi veniva a chiamare e mandava sempre suo marito, oppure la prima persona che passava da casa mia. Talvolta inventavo delle scuse per non andare, ma mia madre non transigeva e mi obbligava a recarmi da lei. Comunque era sempre gentile con me e mi regalava o mi offriva sempre qualcosa per i servigi che le facevo. Il problema era che io a 18 anni già ne avevo piene le scatole per tutti i lavori che mi faceva fare mio padre, in più ci si metteva pure lei, capite che un po’ mi giravano.
«E fammi chistu e fammi chiddu. E cogghimi i pira, e cogghimi i pruna» due palle che non vi dico.
Aveva una vigna a Brancatò, vicino ad una delle mie, e ogni volta che ci andavo, appena mi vedeva, mi chiedeva a che punto era la frutta e mi raccomandava di cogliergliela quando vedevo che era matura. Tra gli altri vi era un albero di pesche (pescrichi i giugnu) che era una meraviglia. Quell’anno non era particolarmente carico e le poche pesche che aveva fatto erano fantastiche, una gioia per gli occhi. Ogni tanto anche lei, insieme al marito, saliva alla vigna e controllava che tutto fosse a posto, che non mancasse niente, soprattutto le pesche. Le curava con amore e aspettava con impazienza che maturassero. Quando invece ero io a salire, al ritorno mi chiedeva a che punto erano e se mancava ancora molto prima che potessi coglierle.
Come le mie palle, anche le pesche finalmente maturarono e mia zia, dopo averla informata, mi disse se la prima volta che salivo a Brancatò gliele prendevo.
Una mattina, senza dire a mia madre di preciso dove andavo, di buon’ora salii a Brancatò.
Giunto alla vigna mi arrampicai sul pesco e alla faccia di mia zia mi feci una scorpacciata di pesche esagerata. Erano buonissime e le assaporai con gusto.
Quando fui sazio, raccolsi quelle rimaste e pienamente soddisfatto scesi verso casa.
Il giorno dopo mia zia si presentò a casa mia con una faccia che non vi dico e mi chiese quand’era stata l’ultima volta che ero salito a Brancatò.
«Du iorna fa» le risposi.
«Viristi a carchirunu nta vigna?»
«No! Pirchì chi succiriu?» le chiesi a mia volta, fingendo curiosità.
«Mi rubaru tutti i pescrica»
«Mi dispiaci ma non vitti a nuddu!» mentii spudoratamente.
«Stu curnutu mi vosi fari nu dispettu, da nterra era chinu i scorci, apposta si mangiau».
Mentre mia madre cercava di rabbonirla io, trattenendo a stento le risa, mi allontanai.
Chissà che casino se avesse scoperto che ero stato io a rubarle le pesche!
Ma non lo seppe mai e ogni volta che mi comandava a farle qualche servigio, visto che non mi potevo rifiutare, a parziale rivincita, tra me e me dicevo «Tantu ti futtia ieu i pescrica!»

6 commenti:

trilly ha detto...

Che soddisfazione!
Immagino la faccia di tua zia...

u'longu ha detto...

Bella Spusidda, un ritratto di zia Mariangela perfetto.
Mi facisti ricurdari i pesrichi i giugno, penso che pochi abbiano conoscenza del loro sapore.
Forse non esistono più

arcade fire ha detto...

Ne ho sentito il sapore di quelle pesche come sento il sapore di favazzinità nelle cose che scrivi Mimmo. é il miglior sapore

chinnurastazioni ha detto...

Eccellente Mimmo.Raccogli queste storie in un libro ciao...

Malumbra ha detto...

Spusidda iapria u blog e mi pinzava chi a rubrica ra settimana eranu i pesrica

Spusiddha ha detto...

Ciao Malumbra bentornato, la rubrica settimanale, qualunque essa sia è, un argomento che non mi piglia, mi piace spaziare liberamente senza vincoli.