Molti anni fa, prima ancora che io fossi nato, quando Favazzina era un paese rigoglioso ed il commercio,soprattutto dei limoni, era fiorente, viveva una donna, della quale non dirò il nome, che si racconta avesse due palle grosse così e che non avesse paura nemmeno del diavolo. Aveva avviato un florido commercio di frutta che acquistava dai contadini per andare poi a vendere nei mercati e nei negozi dei paesi vicini. Il contadino le portava la frutta, concordavano il prezzo, lei pagava e poi la rivendeva, preferibilmente all’ingrosso. Talvolta, in particolari casi, il contadino preferiva vendere la frutta direttamente sull’albero. In quelle occasioni lei si recava all’orto o alla vigna, valutava il raccolto, stabiliva il prezzo e se il contadino era d’accordo, ci pensava lei ad andare a raccogliere la frutta man mano che questa maturava. Un giorno un contadino si recò da lei per contrattare la vendita di un albero di pesche, siccome lei ne aveva parecchia di frutta e stava andando a Bagnara a venderla, rimandò l’appuntamento per il giorno dopo. Caso volle che il negoziante le chiedesse se aveva delle pesche da portargli per l’indomani e lei, sicura di concludere l’affare col contadino, gli disse di non dubitare che gliel’avrebbe portata. Tornata a Favazzina andò subito a trovare il contadino e insieme si recarono all’orto per valutare il quantitativo di pesche e il prezzo. Purtroppo non riuscirono a mettersi d’accordo e il contadino, piuttosto che vendergliele al prezzo che lei aveva stabilito, le disse che preferiva tenersele sull’albero. Ma lei, siccome aveva promesso al negoziante che il giorno dopo gli avrebbe portato le pesche, in un modo o nell’altro, si disse, avrebbe mantenuto la promessa. Passata la mezzanotte quatta, quatta uscì di casa e, portando con se una capiente cufinetta, si avviò verso l’orto del contadino. L’orto si trovava proprio di fronte al cimitero e quando lei arrivò si accorse con disappunto che il contadino stava ‘mbivirandu. Ma non si perse d’animo e giocando sul fatto che il condotto passava accanto al muro del cimitero, spostò il portello deviandogli l’acqua, nel tentativo di far credere al contadino che fosse stato lo spirito di un morto a spostarglielo. Ovviamente dopo un po’ al contadino venne a mancare l’acqua ed egli irritato uscì sulla strada per vedere cosa fosse successo. Accortosi che il portello era spostato nel rimetterlo a posto pensò < Cu sapi a quali figghiu i bona mamma ‘nci mangiunu i mani >. La donna era rimasta nascosta e vedendo che il contadino non si era preoccupato più di tanto, glielo spostò di nuovo. Poco dopo il contadino riuscì, ancora più incazzato e, sebbene fosse buio, prima di rimettere a posto il portello si guardò intorno e a voce alta disse < Vuliva sapiri cu è stu curnutu chi mi sposta u purteddu >. A quel punto la donna capì che in quel modo non avrebbe ottenuto niente. Per nulla demoralizzata si diresse verso casa e munitasi di un lenzuolo fece ritorno all’orto. Per l’ennesima volta spostò il portello deviandogli l’acqua e col lenzuolo addosso si nascose davanti alla porta del cimitero in una rientranza del muro. Il contadino uscì subito dopo più incazzato che mai, ma prima che potesse rimettere a posto il portello o dire qualcosa, la donna uscì allo scoperto e si mise a lanciare urla e a sventolare il lenzuolo come un fantasma. Al poverino per poco non gli venne un colpo e in preda al panico si mise a correre verso il paese a gambe levate. Giunto a casa si mise subito a letto, poiché nel frattempo, per lo spavento, gli era venuta la febbre a quaranta. Non disse niente alla moglie, e rimase sveglio tutta la notte a tremare ancora dalla paura. Due giorni dopo ripresosi dallo spavento si recò all’orto per finire di ‘mbivirari, e nel guardare il pesco si accorse subito che sull’albero non era rimasta neanche una pesca. Capì in un lampo chi era il fantasma e come la donna lo avesse fatto fesso. Quando ripenso a questa storia, mi piace sempre immaginare che lei, mentre le rubava, forse voleva fargli credere che le pesche si erano volatilizzate come un fantasma.
Benvenuti a Favazzinablog
Finalmente, dopo anni che ho in mente di farlo, ho deciso di aprire questo piccolo blog su Favazzina. L'obiettivo è quello di creare una comunità virtuale delle varie persone che negli anni hanno preso parte alla vita della nostra mitica Favazzina in modo che, almeno attraverso internet, possano sentirsi e non perdere i contatti, ma anche quello di scrivere e non dimenticare le varie storie che per tante estati ci hanno fatto morire dalle risate.
Se vi va di partecipare potete contattarmi su skype (mauro.fuca) o scrivere un commento anonimo al blog (scrivete in ogni caso la vostra email) così vi faccio diventare autori del blog e potrete darmi una mano.
Salutamu!
UGRECU
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Salutamu!
UGRECU
sabato 13 settembre 2008
Le pesche e il fantasma
U scriviu: Spusiddha u iornu: sabato, settembre 13, 2008
Argomento: Storie 'i Favazzina
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3 commenti:
Spusiddha,
su questa donna straordinaria conosco un'altra storia che sconfina nella leggenda.Un gruppo di uomini un giorno la sfidò ponendole una scommessa.
"Si capaci mi vai i notti nto cimiteru mi sciuppi na cruci e mi nda porti cca"?
Lei accettò la sfida e quella notte in compagnia di un cane andò a staccare una croce.Sembra,e qui si entra nella leggenda, che prima di allontanarsi abbia rivolto al defunto un saluto:"Bonasira" e che udì questa risposta:"Se non era pu cucci cucci (ndr il cane) ti la davu la bonasira".
Ricordo che rimanevo affascinato quando gli anziani raccontavano queste storie fantasiose.Ho riprovato le stesse emozioni nella lettura di alcuni autori sudamericani.(I.Allende e G.G.Marquez)
Minchia Galanti, u pinzaia puri ieu...G.G.Marquez..il maggiore del Realismo Magico...sicundu mia sta donna apparteni a famighia i Josè Arcadio Buendìa...
.... proprio vero... questi racconti pare escano direttamente dalle pagine de "la casa degli spiriti" o "evaluna"....
che storie misteriose...
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