IL CANTANTE, L'IMPRESARIO, E BIASI

Eravamo verso la fine degli anni sessanta.
Tempo di Natale, faciva nu pocu friddu, ma questo non impediva ai tre di inerpicarsi, a piedi,
sulla salita verso Porelli, quartiere alto di Bagnara, nel senso di 'supra' e non borghese.
I tre erano, Maciste u cantanti, u Longu impresario e consigliere, e Biasi, accompagnatore fedele e fan del cantante.
Biasi aveva un'unica incombenza perentoria - stare zitto - perche quando si emozionava balbettava, 'ngagghiava, e non si putivunu fari mali virute all'estero.
Erano diretti ad una manifestazione canora, molto numerose in quel periodo, indetta dal locale oratorio, la prima alla quale partecipava il cantante e per questo era molto nervoso.
- Mimmu chi dici, u giubbottu mu mettu du latu ri cedda o du latu ri sciuri? -
- Megghiu du latu ri sciuri, chisti su previtari e penzunu mali, piuttosto ripassiamo la canzone -
La canzone, manco a dirlo, era una di quelle di Mino Reitano, frisca, frisca, con grande successo di pubblico, specialmente calabrese.
Maciste portandosi la mano alla bocca a mò di microfono, la cantò tutta, bella, liscia, intonata, con una bella voce a volte acuta a volta baritonale.
Pariva Reitano
- Bella Peppi, sa canti cusì, vincimu sicuru -
Cari lettori, vi devo dire una cosa che stenterete a credere
Maciste era un timido, ma veramente timido, da panico.
Ma torniamo alla manifestazione canora
I primi che cantarono furono quattro sciacqualattughe, facivano Piccola Katy dei Pooh, ca vuci fina fina, parivunu ricchiuni (secondo Biasi lo erano veramente, ma non poteva parlare)
Poi fu la volta di una ragazza di peso, in tutti i sensi, cantava Nessuno mi può giudicare, di Caterina Caselli.
Brava, ma siccome aviva na minigonna inguinale, figuratevi se i previti nci davuno u votu a idda
Poi venne la volta di uno siccu siccu, chi capiddi tall'occhi, cantava una canzone dei Beatles
Fottuto, se ne accorsero ch'ittava paroli a casaccio, spacciandole per inglese.
Da buon manager disprezzavo tutti, incoraggiavo solo il mio assistito, e le cose si stavano mettendo bene, potevamo vincere.
Biasi stava sempre zitto
Finalmente arrivò l'ora fatidica
Maciste salì sul palco, bello come il sole, mu mangiava cu l'occhi
Capelli un poco ossigenati con accenno di frangetta, giubotto famoso, camicia verde marino, pantaloni rosso mattone, stivaletti in tinta con tacchi leggermente consumati, quasi nuovi.
Il pubblico era ostile, solo io e Biasi urlavamo come due scimmie che si accoppiano su un ramo e idda non voli.
Si fece silenzio, attaccò la musica
PICCHIA NELLA MENTE UNA CAMPANA... DARADAN....
Colpo di scena, la musica andava avanti, Maciste muto
Intervenni subito - Signori scusate, l'emozione, prego orchestra (orchestra:quattru cani malati) di nuovo -
Stacco - PICCHIA NELLA MENTE UNA CAMPANA... DARADAN....
N'atra vota muto, si ricordava solo la prima strofa
A questo punto i previtari divennero caprari, fischiati da Madonna, fischiavano tutti, previti, previtari e figlie di Maria, che com'è noto, sono le prime a darla via.
Sulla strada di casa, sempri a peri, Peppi diceva - Maladetti bagnaroti. Incompetenti, 'mbiriusi e puru porcarusi, tuttu stu casinu pi na dimenticanza -
Io ribattevo - A poi tu Peppi, cazzu, sulu na strofa, minchia da dimenticanza -
E ancora lui - Però a cantai bona -
Per la prima volta della serata parlò Biasi - Vaffanculo Macisti, ndi facisti fari na figura i merda -
ed io che quando sentenziavo mi sfuggiva l'italiano - Lascialo stare Peppe, non sa che tutti i migliori artisti hanno avuto un inizio travagliato......- e Biasi
- Ma vaffanculu puru tu, Longu, tu e a toi filosofia du cazzu -
Era incazzato e aveva ragione, tutta na sirata senza mi poti parlari
La discussione durò fino alla curva di Angiulazzo, poi come d'incanto, ci siamo dimenticati di tutto, contenti di essere giovani, amici, e favazzinoti

P.S. - questo racconto lo dedico a Spusidda, Enzo G. e Biasi
per anni vittime mie e di Maciste, e a Georgie che me ne ha fatto richiesta